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04/04/2024

SERGIO FERRARI
Italia : Politica-spettacolo ed estrema destra in ascesa
Intervista a Michele Sodano ad Agrigento

Sergio Ferrari, 25/3/2024
Originale: Italia : Política-espectáculo y la ultraderecha en ascenso-Entrevista a Michele Sodano en Agrigento
Português Français
Tradotto da
Alba Canelli, Tlaxcala

L’apparente stabilità istituzionale dell’Italia nasconde oggi una realtà sociale complessa. Anche la sua narrativa politica è in discussione.

A soli 28 anni, nel 2018 Michele Sodano è stato eletto Deputato Nazionale per la circoscrizione di Agrigento, Sicilia. Ha fatto parte del Movimento 5 Stelle, organizzazione che in quegli anni è diventata un fenomeno nazionale di particolare interesse per l’incredibile capacità di coinvolgere la popolazione, nonché per la forte differenziazione delle posizioni interne. Sodano ha concluso il suo mandato nell'ottobre 2022, non più come rappresentante del M5S. A causa di divergenze con la leadership legate all’elezione di Mario Draghi a Premier, nel febbraio 2021 è stato espulso dal suo partito insieme a una ventina di suoi colleghi parlamentari. Nonostante la sua giovane età, Sodano ha accumulato un ampio curriculum professionale. Laureato in Economia presso l'Università Bocconi e specializzato presso l'Università di Copenaghen, ha lavorato con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e in diverse aziende private. Attualmente dirige Immagina Aps, associazione/coworking, luogo di riferimento per incontri culturali, progettazione e solidarietà, che può contare su una struttura situata nel cuore di Agrigento. Ecco l’intervista esclusiva a questo giovane intellettuale impegnato, convinto pacifista e riferimento “apartitico” per i gruppi cittadini della sua città.


D: Come lo presento?

Michele Sodano (MS): Domanda difficile. Normalmente, nella nostra cultura, ci presentiamo tutti con ciò che facciamo. Nel mio caso, in questo momento della mia vita, sto dando la priorità a quelle che ritengo attività per la mia comunità; inoltre apprezzo e valorizzo al massimo il tempo che posso dedicare a me stesso, cosa che fino ad ora non ho mai potuto fare. Mi sento molto fortunato se penso di potere rifiutare il modello imperante della società contemporanea che ci vuole tutti impegnati a vivere principalmente per il lavoro in azienda e finire così prigionieri di una logica consumistica che può essere paragonata ad un grande carcere di lusso.

D: Vuole dire che la sua priorità oggi è quasi esistenziale?

MS: Totalmente. Percepisco intorno a me tante persone depresse, tristi; questo avviene perché nella maggior parte delle volte, non sappiamo più nemmeno per cosa si è in vita. I modelli di successo che ci vengono proposti sono molto lineari: produrre per un’azienda attraverso il sacrificio del nostro tempo, andare in pensione e poi vivere in libertà forse solo gli ultimi anni della nostra esistenza. Ma adesso sempre più esseri umani cominciano ad intuire che la loro vita non debba ruotare interamente intorno ai concetti di lavoro e reddito. La vita, nel suo miracolo, deve essere molto più di questo. Io l’ho imparato quando ho dovuto affrontare una pesante malattia all’età di 17 anni. È stato un momento di totale cambiamento per me. Attenzione non sto in alcun modo demonizzando il concetto di lavoro, credo però che questo debba corrispondere a un vero contributo, calibrato sulla nostra natura, le nostre più intime aspirazioni e le nostre capacità, al mondo che ci circonda e agli esseri umani che lo popolano.

 

Politica tradizionale in crisi

D: Una riflessione sorprendente perché espressa dopo quattro anni vissuti in maniera frenetica, da un Deputato Nazionale che ha vissuto a Roma, che ha preso decine di voli tra la capitale italiana e Agrigento, la sua città…

MS: È stata un'esperienza ricca, per niente negativa che non rinnego affatto. Mi ha permesso di comprendere meglio l’essenza di molte cose. Non voglio essere arrogante, ma penso che adesso ho maggiore lucidità per interpretare certe situazioni e fenomeni. In particolare, comprendere nell’interezza del fenomeno l’enorme vuoto della politica. Ritengo, e forse ciò che dico può sembrare provocatorio, che oggi, almeno in Italia, la differenza tra destra e sinistra sia per lo più una questione di narrativa, non di sostanza o di contenuto essenziale. Siamo bombardati costantemente da una narrazione come un episodio di  una serie Netflix, siamo molto lontani da qualsiasi contenuto sostanziale. Ciò è stato particolarmente evidente dopo gli anni del governo Berlusconi, un ventennio che ha ridotto quasi a zero gli strumenti di analisi sociale e che ha trasformato la dimensione politica a quella dello spettacolo. Tutto ciò ha portato la maggior parte della popolazione a non percepire nemmeno che oggi la politica tutta, e il Parlamento in particolare, si è svuotata di ogni potere reale, nessuna capacità di rappresentare il proprio popolo.

D: È un'affermazione molto dura. Allora chi ha il potere oggi in Italia?

MS: La grande finanza, come in tutta Europa, dove domina questo capitalismo neoliberista dominante. Ma l’Italia, in particolare, non ha più difese immunitarie contro questo sistema. Ha una tradizione e una storia straordinaria che ci inducono a pensare di vivere in un buon Paese. Ma in realtà qui multinazionali e capitale finanziario possono fare quello che vogliono, governare come vogliono e porsi all’apice di ogni processo decisionale. Io ho avuto la possibilità di appurarlo per vie dirette, da Deputato della Repubblica. La differenza tra Giorgia Meloni, oggi al governo, il Pd (ex Partito Comunista) e il Movimento 5 Stelle è principalmente di narrativa. Infatti quello che la Meloni sta mettendo in pratica oggi, in 18 mesi di governo, non è dissimile da quanto hanno fatto, nel periodo precedente, Giuseppe Conte o Mario Draghi (ultimi due premier prima della Meloni). Sono stati proprio loro a spalancare le porte a tutte le principali privatizzazioni, come quelle nel settore sanitario e delle società pubbliche, che oggi continuano ad amplificarsi.

Un discorso per vincere la battaglia culturale

D: Secondo la sua analisi, non sembra poi così drammatico che attualmente l'Italia sia governata da un leader le cui origini affondano nella militanza neofascista…

MS: Non voglio negare che sia drammatico, perché la Meloni e la destra, in più rispetto al “campo progressista”, avanzano proposte ideologiche negative per lo sviluppo della coscienza umana. La loro xenofobia, l’esasperazione del concetto di patriottismo, la paura dell'altro, la rabbia verso chi è diverso, dal punto di vista ideologico e sociale creano danni enormi e sono molto pericolose.

D: Pensa che questi impulsi, messaggi e concetti siano irreversibili?

MS: Non posso valutare il livello di reversibilità o irreversibilità degli argomenti imposti dall'estrema destra. La storia è fatta di tesi, antitesi e sintesi. Non posso dire se, dopo tutti questi abominevoli contenuti ideologici propagandati direttamente dalla politica governativa, si raggiungerà una nuova fase di coscienza. Quello che vedo è un tremendo smantellamento, molto accelerato, di tutto ciò che è “critical thinking” e conoscenza nel senso più ampio del termine. Un disinvestimento concreto nella cultura, nell’istruzione, che incide direttamente sulle consapevolezze più radicate dei cittadini. Oggi, per esempio, molte persone reputano che il problema principale di questo Paese profondamente indebolito per mano delle banche e delle mafie, sia la presenza degli immigrati e il ​​messaggio immigrati o rifugiati che vengono solo per rubare e farsi gli affari propri” diventa dilagante, specie nelle fasce meno scolarizzate. Tuttavia, per fortuna, resiste ancora una nicchia consapevole e solidale; minoritaria, troppo piccola per incidere e incapace di organizzarsi. E così, di fronte a una povertà dilagante, molti italiani diventano conservatori e si appropriano acriticamente di argomentazioni bocciate dalla storia.

“Il campo progressista italiano le ha spianato la strada”

D: Ha avuto paura quando ha vinto Fratelli d'Italia, il partito della Meloni, nel 2022?

MS: Preoccupazione e soprattutto una sensazione molto strana: se la Meloni è qui è perché il campo progressista italiano le ha spianato la strada.

D: Le chiedo ancora, per capire bene: secondo la sua riflessione, l'attuale Governo, più che profondi cambiamenti di programma, promuove un cambiamento ideologico e di narrazione politica?

MS: Penso di sì. Ad esempio, i primi provvedimenti approvati sono misure  ridicole, decreti per opporsi ai “rave party” o per rendere illegale la carne sintetica, o ancora circolari per vietare l’uso di parole inglesi. E così la politica trascina tutta l’opinione pubblica e sposta il dibattito popolare su questioni non essenziali. Ma allo stesso tempo, devo anche dire che si porta il Paese nel passato, si condonano i grandi imprenditori con enormi evasioni fiscali, si permette alle multinazionali di avere carta bianca su tutto. Hanno anche cancellato il Reddito di Cittadinanza, che era un importantissimo sussidio di 700 euro per ogni famiglia sotto la soglia di povertà, una delle nostre grandi conquiste quando governava il Movimento 5 Stelle. È terribile, perché con l’enorme propaganda mediatica e sui social la Meloni e i suoi stanno radicando la percezione che questo strumento di redistribuzione della ricchezza era ingiusto e che “la gente deve lavorare”, non importa se perfino senza diritti o sotto sfruttamento. Come se il problema non fosse la povertà strutturale di una parte significativa della popolazione e l’incapacità a inserirsi nel mercato del lavoro, ma la mancanza di volontà di lavorare. Esasperano tutto e approfittano della disperazione della gente. Ecco perché insisto nel parlare del grande problema della narrativa dei gruppi politici dominanti, ma probabilmente anche Draghi e il Pd avrebbero, prima o poi, cancellato il Reddito di Cittadinanza.

D: Narrazione di destra e smantellamento delle conquiste sociali…

MS: Senza dubbio. Quando nel 2018 il nostro movimento ha raggiunto tale forza ed è salito al potere, abbiamo sentito che la giustizia aveva trionfato. Ho vissuto in Danimarca, dove ero già attivo con il M5S. Ho lasciato il mio lavoro lì per tornare in Sicilia e partecipare alla campagna elettorale regionale. Dopo sei mesi e a soli 28 anni, con una candidatura del tutto inaspettata e con il profilo di un giovane dalla parlata decisa e forte, sono stato eletto Deputato con il sostegno di oltre il 50% dell'elettorato della mia città. Molti italiani hanno vissuto tutto questo come una straordinaria rivoluzione. Siamo stati in grado di legiferare e portare a termini progressi impressionanti, come i sussidi per i più bisognosi, o l’obbligo di avere contratti di lavoro stabili e sicuri dopo due anni di lavoro nella stessa azienda. Siamo riusciti ad abolire la pubblicità del gioco d’azzardo in un Paese in cui il gioco d’azzardo era sempre più una piaga e continuava ad aumentare a causa della disperazione economica di molte persone. Ma le concessioni alla destra di Salvini con cui era partito il primo Governo sono iniziate rapidamente e ogni giorno perdevamo sempre più terreno. La stessa classe dirigente del Movimento 5 Stelle ha, a poco a poco, preso gusto e si è affezionata al potere, con la capacità di accettare compromessi sempre più a ribasso.

 

Svanisce una grande illusione

D: Questo ha causato la crisi interna al Movimento 5 Stelle?

MS: Esatto. Un gruppo di noi, che nel 2021 non ha sostenuto la nomina di Mario Draghi a primo ministro, è stato espulso dal Movimento e ha formato un gruppo parlamentare indipendente. Draghi, a nostro avviso, rappresentava l’élite europea neoliberista e globalizzante. Un uomo della Goldman Sachs, era stato direttore esecutivo della Banca Mondiale e poi, per otto anni, presidente della Banca Centrale Europea. Dietro Draghi si sono riuniti nuovamente la destra di Salvini e di Berlusconi, ma allo stesso tempo anche il Partito Democratico e il M5S. La sua nomina era qualcosa che la nostra decenza politica non poteva più accettare.

D: Un momento molto difficile nella sua carriera politica?

MS: L'espulsione del M5S ha rappresentato un evento molto amaro nella mia vita. Ma non potevo fidarmi di quel Governo che, come poi gli eventi hanno dimostrato, non avrebbe apportato alcun beneficio al nostro popolo. È stato triste perché ha rappresentato a mio parere la rottura definitiva di un processo partecipativo, quello del Movimento 5 Stelle, che non aveva eguali. Allo stesso tempo ritengo che la mia espulsione dal partito sia una sorta di medaglia al valore se la guardo dal punto di vista della mia etica. È stata una decisione di principio che ho preso sapendo che non avrebbe portato alcun beneficio personale. Ho fatto ciò che era giusto, non la cosa più conveniente per me ed è per questo che la considero un grande grido di libertà. Da subito, con gli altri colleghi con cui abbiamo creato il gruppo indipendente, abbiamo aperto una nuova fase della nostra vita parlamentare. Abbiamo presentato progetti di legge in totale autonomia e, per la prima volta, ho esposto nei miei interventi parlamentari i miei valori più radicali e le mie convinzioni, senza dover leggere un documento scritto da qualcun altro. Devo confessarti che è stata un'esperienza di cui sono molto orgoglioso. Altri colleghi, amici e colleghi Parlamentari del nostro movimento hanno continuato con la linea ufficiale. Provo per loro una specie di compassione, perché dev'essere molto difficile sentirsi bene, e a posto con la propria coscienza, dopo aver venduto l'anima al diavolo e tradito la volontà di milioni di elettori che ci avevano dato un preciso mandato: sovvertire il sistema.

La crisi di un’Europa con la guerra dentro

D: Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il vostro gruppo di M5S espulsi ha preso le distanze da ogni sostegno militare all'Ucraina e al conflitto in generale…

MS: Infatti. Questa guerra distorce qualsiasi ruolo strategico che l’Europa doveva svolgere. Come Unione Europea, siamo semplici venditori di armi quando avremmo dovuto alzare una voce forte e alternativa a favore della pace. Ritengo che oggi l'Europa, come concezione di un progetto originale nella costruzione di un continente egualitario e giusto, sia molto indebolita.


D: Per finire: la vostra organizzazione IMMAGINA ha appena aperto le sue porte per presentare Grand Hotel Coronda, un libro sui prigionieri politici nel carcere argentino di Coronda durante la dittatura militare. E in quella stessa sala si tengono le riunioni periodiche dei diversi gruppi e forze che difendono la pace in Palestina…

MS: Per noi IMMAGINA è uno spazio aperto, in costruzione, umano e profondamente solidale. L'obiettivo principale che perseguiamo è dare un piccolo senso di eternità a questo momento che viviamo qui oggi. Non è un progetto finito o chiuso. Le porte dei nostri locali sono aperte. Uno degli obiettivi fondamentali per cui abbiamo dato vita a Immagina, è riappropriarci della nostra esistenza. Questo implica due concetti principali: creare una comunità solidale e intellettualmente speculativa e contribuire alla costruzione della felicità collettiva. Con le nostre azioni cerchiamo di avanzare proposte e parlare di umanità, senza mai dimenticare gli aspetti caratterizzanti del nostro territorio. Con grande umiltà, passo dopo passo e con gioia, senza mai lasciarci prendere dallo sconforto.E in questo quadro la solidarietà per noi è un concetto fondante. Combattere tutto ciò che impoverisce oggi la nostra società planetaria: frontiere, guerre a vantaggio di pochissimi, divisioni tra le aree del mondo. Siamo solo esseri umani dello stesso meraviglioso universo e dobbiamo preservarci a vicenda, non combatterci, prenderci cura, insieme, del nostro pianeta.

  

Bakhita, affresco di Rosk & Loste, La Kalsa, Palermo. Foto Sergio Ferrari.


 

18/03/2024

JEFFREY D. SACHS
Cosa potrebbero dover gli USA al mondo per la Covid-19?

Jeffrey D. Sachs, Commondreams, 16/3/2024
Tradotto da Leopoldo Salmaso

L’origine del Covid-19 in un laboratorio finanziato dagli USA costituirebbe certamente il caso più significativo di grave negligenza governativa della storia. I popoli del mondo meritano trasparenza e risposte concrete su questioni vitali

Il governo degli USA ha finanziato e sostenuto un programma di ricerca di laboratorio pericolosa che potrebbe aver portato alla creazione e al rilascio accidentale in laboratorio di SARS-CoV-2, il virus che ha causato la pandemia di Covid-19. Dopo lo scoppio dell’epidemia, il governo statunitense ha mentito per nascondere il suo possibile ruolo. Il governo degli USA dovrebbe correggere le bugie, scoprire i fatti e fare ammenda con il resto del mondo.

Un gruppo di intrepidi cercatori di verità – giornalisti, scienziati, informatori – hanno scoperto una grande quantità di informazioni che indicano la probabile origine in laboratorio della SARS-CoV-2. La cosa più importante è stata l’intrepido lavoro di The Intercept e US Right to Know (USRTK), in particolare della giornalista investigativa Emily Kopp dell’USRTK.

Sulla base di questo lavoro investigativo, la commissione per la supervisione e la responsabilità della Camera a guida repubblicana sta ora conducendo un’importante indagine in una sottocommissione ristretta sulla pandemia di coronavirus. Al Senato, la voce principale in favore della trasparenza, dell’onestà e della ragione nelle indagini sull’origine della SARS-Cov-2 è stata quella del senatore repubblicano Rand Paul.

Le prove di una possibile creazione in laboratorio ruotano attorno a un programma di ricerca pluriennale guidato dagli USA, che ha coinvolto scienziati statunitensi e cinesi. La ricerca fu progettata da scienziati statunitensi, finanziata principalmente dal National Institutes of Health (NIH) e dal Dipartimento della Difesa, e amministrata da un’organizzazione statunitense, la Eco Health Alliance (EHA), con gran parte del lavoro svolto presso il Wuhan Institute of Virology (WIV).

Ecco i fatti che conosciamo ad oggi.

Primo. L’NIH è diventato il centro di ricerca sulla biodifesa a partire dal 2001. In altre parole, l’NIH è diventato un braccio di ricerca delle comunità militari e di intelligence. I finanziamenti per la biodifesa dal bilancio del Dipartimento della Difesa sono andati alla divisione del dottor Anthony Fauci, l’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive (NIAID).

Secondo. NIAID e DARPA (Agenzia per i progetti di ricerca avanzata di difesa) hanno sostenuto ricerche approfondite su potenziali agenti patogeni per la guerra biologica e la biodifesa e per la progettazione di vaccini per proteggere dalla guerra biologica o dal rilascio accidentale in laboratorio di agenti patogeni naturali o manipolati. Parte del lavoro è stato svolto presso i laboratori Rocky Mountain del NIH, che hanno manipolato e testato i virus utilizzando la colonia di pipistrelli del loro stabulario.

Terzo. Il NIAID è diventato un sostenitore finanziario su larga scala della ricerca Gain of Function (GoF), ovvero esperimenti di laboratorio progettati per alterare geneticamente gli agenti patogeni per renderli ancora più patogeni, come i virus che sono più facili da trasmettere e/o con maggiori probabilità di uccidere gli individui infetti. Questo tipo di ricerca è intrinsecamente pericoloso, sia perché mira a creare agenti patogeni più pericolosi, sia perché questi nuovi agenti patogeni possono fuoriuscire dal laboratorio, accidentalmente o deliberatamente (ad esempio, come atto di guerra biologica o terrorismo).

Quarto. Molti importanti scienziati statunitensi si sono opposti alla ricerca GoF. Uno dei principali oppositori all’interno del governo era il dottor Robert Redfield, un virologo dell’esercito che in seguito sarebbe stato direttore dei Centri per il controllo delle malattie (CDC) all’inizio della pandemia. Redfield sospettava fin dall’inizio che la pandemia fosse il risultato di una ricerca sostenuta dal NIH, ma afferma di essere stato messo da parte da Fauci.

Quinto. A causa dei rischi molto elevati associati alla ricerca GoF, nel 2017 il governo degli USA impose ulteriori norme sulla biosicurezza. La ricerca GoF dovrebbe essere condotta in laboratori altamente sicuri, ovvero al livello di biosicurezza 3 (BSL-3) o al livello di biosicurezza 4 (BSL-4). Il lavoro in una struttura BSL-3 o 4 è più costoso e richiede tempo rispetto al lavoro in una struttura BSL-2 a causa dei controlli aggiuntivi contro la fuga dell'agente patogeno dalla struttura.

 

Sesto. Un gruppo di ricerca sostenuto dal NIH, Eco Health Alliance (EHA), ha proposto di spostare parte della sua ricerca GoF al Wuhan Institute of Virology (WIV). Nel 2017, l’EHA ha presentato una proposta al DARPA per ricerche GoF presso il WIV. La proposta, denominata DEFUSE, era un vero e proprio “libro di ricette” per produrre virus come SARS-CoV-2 in laboratorio. Il piano DEFUSE prevedeva di indagare su più di 180 ceppi di Betacoronavirus precedentemente non segnalati che erano stati raccolti dal WIV e di utilizzare tecniche GoF per rendere questi virus più pericolosi. Nello specifico, il progetto ha proposto di aggiungere siti di proteasi come il sito di scissione della furina (FCS) ai virus naturali per migliorare l'infettività e la trasmissibilità del virus.

14/01/2024

GIDEON LEVY
L’albero (136 ostaggi israeliani) che nasconde la foresta (2,3 milioni di ostaggi e 30mila palestinesi morti)

Gideon LevyHaaretz, 11/01/2024
Tradotto da Alba Canelli, Tlaxcala

 Shai Wenkert è il padre di Omer Wenkert, 22 anni, che soffre di colite ed è tenuto in ostaggio da Hamas. La colite è una terribile malattia cronica che può peggiorare in condizioni di stress e in assenza di farmaci e di una corretta alimentazione. Provoca molta sofferenza alle persone che ne soffrono.

Emad Hajjaj

Il padre di Omer ha lanciato avvertimenti da ogni piattaforma possibile: suo figlio è in pericolo mortale. Cerca di non pensare alle condizioni di suo figlio, ha detto in un'intervista, ma non sempre ci riesce. Infatti, pensare a una persona affetta da colite e senza farmaci, prigioniera di Hamas, è come pensare all'inferno. Omer deve essere rilasciato o almeno procurarsi rapidamente le medicine di cui ha bisogno.

Non riusciamo a mantenere la calma di fronte agli appelli di suo padre. Non c'è nessuno che non sia inorridito al pensiero della sofferenza del giovane Omer. Allo stesso tempo, ci si può solo chiedere quante persone affette da colite ci siano attualmente a Gaza, nelle stesse condizioni di Omer, senza medicine, senza cibo e sotto stress.

Omer è imprigionato; i residenti della Striscia di Gaza che soffrono di colite e altre malattie croniche fuggono disperatamente per salvarsi la vita. Non hanno un letto su cui adagiare i loro corpi malati e doloranti, non hanno una casa, le loro condizioni igieniche sono pessime. Hanno vissuto per tre mesi nella costante paura della morte, sotto bombardamenti e colpi di artiglieria senza precedenti.

Omer è stato rapito ed è ostaggio. Anche gli abitanti della Striscia di Gaza sono ostaggi e le condizioni in cui vivono, compresi i malati, non sono migliori dell'inferno di Omer. Anche loro hanno bisogno di aiuto. Anche loro devono almeno ricevere rapidamente i farmaci di cui hanno bisogno. È un peccato che il padre di Omer pensi che negare gli aiuti umanitari a Gaza, anche alle persone affette da colite, sia il modo per salvare suo figlio. Tuttavia, non bisogna affrettarsi a giudicare una persona in crisi.

 

Allan McDonald

Non c'è differenza tra Omer e Mohammed, entrambi affetti da colite. Condividono un destino simile, di insopportabile crudeltà. Provo a immaginare il giovane Mohammed affetto da colite. Nei 16 anni in cui Gaza è stata sotto assedio, è improbabile che abbia ricevuto le migliori medicine disponibili per curare la sua malattia. È stato difficile, se non impossibile, farlo uscire dal ghetto di Gaza per ricevere cure mediche quando la sua malattia è peggiorata.

Oggi Omer è imprigionato in un tunnel buio e spaventoso e Mohammed vaga per le strade, affamato, rischiando di contrarre un'epidemia, un'infezione intestinale o altre malattie. In qualsiasi momento, il prossimo proiettile potrebbe colpirlo. Mohammed e Omer soffrono tormenti che non possiamo nemmeno immaginare.

Ai 136 ostaggi israeliani bisogna aggiungere 2,3 milioni di gazawi, ovvero il numero di loro ancora vivi, anch'essi ostaggi.

Gli israeliani sono ostaggi di Hamas, mentre gli abitanti di Gaza sono ostaggi sia di Israele che di Hamas [sic]. I loro destini sono legati. Quando gli ostaggi liberati da Hamas hanno parlato del magro cibo che ricevevano in prigionia, una pita al giorno con un po' di riso ogni tanto, hanno anche indicato che questo era esattamente ciò che veniva dato ai loro sequestratori. Qui ci sono spunti di riflessione, cosa che nessuno in Israele si è preso la briga di fare. Questo è ciò che sta accadendo adesso a Gaza, agli ostaggi e ai loro sequestratori, ma nessuno ne parla.

Fa male solo la sofferenza di Omer, non quella di Mohammed. Gli israeliani furono portati con la forza all'inferno. Anche gli abitanti della Striscia di Gaza sono stati portati con la forza nello stesso inferno. Hamas sapeva benissimo quanto sarebbe stata intensa la risposta di Israele, ma non si è preoccupata di predisporre alcuna protezione per gli abitanti di Gaza: niente ospedali, niente forniture di medicinali e cibo, niente rifugi. Questo è stato il primo rapimento di residenti di Gaza. A ciò si aggiungeva una nuova occupazione israeliana di Gaza, più crudele di tutte le precedenti.

Il padre di Omer, come è stato detto, cerca di non pensare a quello che sta passando suo figlio. Possiamo provare empatia per lui. È impossibile per un padre immaginare la sofferenza di suo figlio e sentirsi così impotente nel cercare di salvarlo. Ti si rivolta lo stomaco quando senti le grida di tuo padre. Ma non possiamo continuare a chiudere un occhio e indurire i nostri cuori di fronte alla sofferenza del resto degli ostaggi, dell’intera popolazione della Striscia di Gaza, compresi coloro che soffrono di colite.


Fadi Abou Hassan 

 

21/12/2023

A. RUGGERI/M.VIETA
Javier Milei ha colto il malcontento di una nuova classe operaia informale

Andrés Ruggeri e Marcelo Vieta, Jacobin, 14/12/2023
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Pubblicato su Jacobin Italia

Originale: Javier Milei Has Tapped Into the Discontent of a New, Informal Working Class
 Español:
Milei captó el descontento de la clase trabajadora informal
Français:
Javier Milei a su capter le mécontentement d’une nouvelle classe ouvrière informelle


Marcelo Vieta è professore associato nel programma di Educazione degli adulti e sviluppo comunitario dell’Università di Toronto. È autore di Workers’ Self-Management in Argentina e coautore di Cooperatives at Work. Bibliografia. @VietaMarcelo


Andrés Ruggeri (Buenos Aires, 1967) è antropologo sociale (UBA) e dal 2002 dirige il programma Facultad Abierta, un’équipe della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’UBA che sostiene, consiglia e ricerca le imprese di proprietà dei lavoratori. Dal programma ha coordinato quattro indagini nazionali sulle imprese recuperate e diversi progetti universitari di volontariato e di estensione, oltre alla creazione nel 2004 del Centro di Documentazione delle imprese recuperate che opera nella Cooperativa Chilavert Artes Gráficas. È autore e coautore di diversi libri specializzati sull’argomento e ha tenuto conferenze e corsi in diversi Paesi dell’America Latina, dell’Europa e dell’Asia. Dal 2007 coordina l’organizzazione dell’incontro internazionale ¿La Economía de los Trabajadores? che ha già avuto due edizioni in Argentina, una in Messico e un’altra in Brasile, oltre a un incontro europeo in Francia. È anche autore del libro Del Plata a La Habana. América en bicicleta, in cui racconta il suo viaggio del 1998 attraverso l’America Latina in solidarietà con la Rivoluzione cubana. Successivamente, ha fatto il giro del mondo in tandem attraversando 22 paesi del Terzo mondo con la sua compagna Karina Luchetti. Insegna anche un seminario di specializzazione in Antropologia e Storia (UBA) ed è direttore della rivista Autogestión Para otra economía.  Articoli in diverse lingue. @RuggeriAndres1


La cosa più sorprendente dell’elezione di Javier Milei, ultraliberista di estrema destra, è stata la sua capacità di conquistare gran parte del voto della classe operaia. La capacità di parlare alle ansie del crescente settore precario del paese dovrebbe essere un campanello d’allarme per la sinistra

Il «fenomeno Milei» in Argentina ha preso piede quando il politico di estrema destra ha ottenuto una vittoria inaspettata alle primarie presidenziali di agosto. Ora che indossa la fascia presidenziale, Javier Milei è il primo anarco-capitalista e ultraliberista autoproclamato a guidare una grande economia nazionale.

Il Presidente dell’Argentina Javier Milei arriva per una funzione interreligiosa nella Cattedrale Metropolitana dopo la cerimonia di insediamento presidenziale il 10 dicembre 2023 a Buenos Aires, Argentina. (Marcos Brindicci / Getty Images)

Economista di formazione, Milei si è fatto conoscere come personaggio televisivo e dei social media incline alle imprecazioni e ai toni misogini. Il suo ingresso ufficiale nella politica argentina è avvenuto poco dopo, nel 2021, quando ha ottenuto un seggio al Congresso nazionale. Praticante di lunga data del sesso tantrico, devoto ai guru del neoliberismo Friedrich von Hayek e Milton Friedman e proprietario di diversi mastini inglesi clonati che chiama i suoi «figli a quattro zampe», Milei ha proclamato poche ore dopo aver battuto il suo avversario peronista che «tutto ciò che può essere nelle mani del settore privato sarà nelle mani del settore privato».

Milei ha in mente tutte le 137 aziende pubbliche argentine, come la compagnia energetica statale Yacimientos Petrolíferos Fiscales (Ypf), la vasta rete di media pubblici del paese (Radio Nacional, TV Pública e l’agenzia di stampa Télam), il servizio postale e la compagnia aerea nazionale Aerolineas Argentinas. Ha anche lasciato intendere che smantellerà il sistema sanitario pubblico argentino e privatizzerà gran parte dei sistemi di istruzione primaria e universitaria, compreso l’istituto di ricerca sull’istruzione superiore finanziato con fondi pubblici. Milei ha anche corteggiato i capitali statunitensi per condurre un’estrazione non regolamentata delle ingenti riserve di litio e di gas di scisto del paese. Forse la cosa più sfacciata è che ha promesso di eliminare la Banca centrale argentina, di dollarizzare l’economia (seguendo gli esempi di Ecuador, El Salvador e Zimbabwe), di liberalizzare i mercati e di eliminare i rigidi controlli sui cambi del paese.

Scioccante, certo, ma queste proposte neoliberiste non sono nuove in Argentina. José Martinez de Hoz, ministro dell’economia della sanguinosa dittatura di Jorge Videla alla fine degli anni Settanta, e Domingo Cavallo, ministro dell’economia di Carlos Menem nei neoliberisti anni Novanta, hanno dato vita a politiche economiche altrettanto regressive. In effetti, Roberto Dromi, ministro dei lavori pubblici di Menem, proclamò quasi alla lettera lo stesso messaggio più di trent’anni fa: «Nulla di ciò che è di proprietà dello Stato rimarrà nelle mani dello Stato».

Il «piano motosega» di Milei (Plan motosierra, la sua versione del «prosciugare la palude» di Trump) sarà probabilmente contestato nelle due camere del Congresso del paese, dove la sua coalizione La Libertà Avanza è in minoranza. Tuttavia, le minacce di misure di austerità possono essere eseguite dal potere presidenziale di legiferare per decreto e molte di esse verranno senza dubbio attuate. A lungo termine, i risultati saranno devastanti per l’Argentina.

Anche se, ancora una volta, non sono senza precedenti. Negli anni Novanta, l’amministrazione Menem ha supervisionato la massiccia vendita di beni pubblici, l’ancoraggio del peso al dollaro (di fatto, un programma di dollarizzazione) e le liberalizzazioni del mercato, il tutto all’insegna del controllo dell’inflazione e dell’austerità. Queste misure hanno portato a una disoccupazione massiccia (ufficialmente oltre il 20%), a tassi record di precarietà e indigenza (oltre la metà della popolazione), alla delocalizzazione di gran parte della capacità produttiva argentina, alla presa di controllo sull’economia nazionale da parte delle multinazionali e a disordini sociali estremi.

La vittoria di Milei suggerisce che, se non altro, il ricordo di questi anni si è affievolito per gran parte dell’elettorato argentino, sommerso da un tasso di inflazione superiore al 185% per il 2023 e da un forte aumento dell’insicurezza, fomentato dalle notizie quotidiane e dai social media.

I prossimi mesi mostreranno fino a che punto il nuovo governo Milei sarà in grado di portare avanti la sua agenda neoliberale e se il suo governo manterrà il consenso durante l’attuazione delle misure annunciate. La risposta dei settori popolari storicamente militanti in Argentina potrebbe essere decisiva. Quel che è certo è che, per l’opposizione politica e per la maggior parte dei lavoratori, la strada da percorrere sarà dura.


Marcelo Spotti

 «Non ce l’aspettavamo!»

Forse la vera novità dell’agenda ultraliberista di Milei è la sua schietta onestà. I nuovi ministri e portavoce del governo hanno già avvertito gli argentini di prepararsi a giorni austeri. Milei ha anche dichiarato che risponderà a qualsiasi forma di protesta sociale con misure repressive estreme, rievocando i giorni più bui della dittatura civico-militare.

Una delle grandi sorprese della vittoria di novembre è stata quella di aver goduto del sostegno dei settori della classe operaia argentina tradizionalmente orientati a sinistra: Il 50,8% degli elettori salariati, il 47,4% dei pensionati, il 50,9% degli elettori del settore informale, il 52,3% dei lavoratori del commercio e quasi il 30% della tradizionale base peronista hanno votato per Milei. Oltre al 25-30% di elettori che costituiscono la base di destra di Milei, circa il 53% dei votanti sotto i trent’anni, e ai voti trasferiti dalla destra tradizionale e dall’alta borghesia che sostenevano la coalizione Juntos por el Cambio di Mauricio Macri e Patricia Bullrich, che messi insieme hanno garantito una comoda vittoria a Milei.

Eppure, nonostante il clamoroso successo di Milei alle primarie di agosto e al ballottaggio di novembre – per non parlare della sua lunga visibilità mediatica – la frase che circola nella sfera politica e intellettuale argentina è «non ce l’aspettavamo!». Questa è stata la posizione ufficiale del governo di sinistra peronista uscente di Alberto Fernández e del candidato in corsa Sergio Massa. La campagna elettorale di Massa, che ha perso, ha cercato di sminuire Milei a uno spettacolo politico marginale da cartoni animati, senza successo.

Ignorata dall’establishment politico e mediatico, la coalizione di estrema destra di Milei segna l’inasprimento di cambiamenti socioeconomici che hanno ricevuto poca attenzione. A un’analisi più attenta, l’inflazione ostinata e acuta senza una risposta efficace da parte del governo, le sfide persistenti lasciate dalla pandemia, la crescente influenza dei social media e la forte polarizzazione del discorso politico hanno reso l’ascesa di una personalità come Milei – la versione argentina di Jair Bolsonaro o Donald Trump – un fenomeno prevedibile.

L’elefante che nessuno ha visto

Ci si chiede allora perché il «piano motosega» di Milei abbia risuonato tra i poveri e i lavoratori argentini, che saranno i più colpiti dalle sue politiche. Una spiegazione è che Milei arriva sulla cresta dell’onda neoliberale che, per decenni, ha eroso lo stato sociale e la base industriale tradizionalmente forte dell’Argentina (come dimostra il fatto che, tra gli anni Cinquanta e Settanta, il paese ha goduto di lunghi periodi di piena occupazione). L’ondata neoliberista ha portato con sé l’abbraccio totale di una razionalità economica che un tempo sembrava estranea al senso comune argentino.

Durante l’amministrazione neoliberale di Mauricio Macri, dal 2015 al 2019, è diventato un luogo comune parlare degli «elefanti che ci sono passati accanto», riferendosi alle politiche socioeconomiche regressive attuate dal macrismo. Queste politiche comprendevano un massiccio debito finanziato dal Fondo Monetario Internazionale, un’alta inflazione e la fuga di capitali, che i media del paese hanno per lo più ignorato o nascosto. Tuttavia, c’era un altro elefante nella stanza che molti non hanno riconosciuto: la forte crescita del settore lavorativo informale e precario, che esisteva al di fuori di qualsiasi organizzazione sindacale o programma sociale governativo. Il settore informale, in crescita e di dimensioni considerevoli, è stato assente dal dibattito pubblico argentino per un decennio, considerato da economisti e leader politici come un fenomeno passeggero, senza rappresentazione e senza voce politica. Era solo questione di tempo prima che una figura come Milei iniziasse a usare un linguaggio in sintonia con questo nuovo settore della classe operaia.

Costituito da lavoratori dell’economia sommersa, freelance, precarizzati e dei servizi, questo settore è cresciuto in modo esponenziale durante la pandemia. Molti argentini hanno sofferto durante i rigidi periodi di lockdown che si sono protratti per gran parte del 2020 e fino al 2021, ma la pandemia ha colpito in modo particolarmente duro questo nuovo gruppo di lavoratori informali e senza contratto, che hanno continuato a lavorare per tutto il tempo senza le tutele sociali previste per gli altri settori.

Conosciuto ufficialmente come Aislamiento Social, Preventivo y Obligatorio (Isolamento Sociale, Preventivo e Obbligatorio, o Aspo), il mandato di lockdown nazionale ha messo in evidenza le contraddizioni e le complessità legate alla necessità di scegliere tra la cura della salute pubblica e la cura dell’economia. Il governo di Alberto Fernández è salito al potere nel dicembre 2019, pochi mesi prima che la pandemia costringesse la nuova amministrazione ad approvare un pacchetto di misure come l’Atp (Assistenza al Lavoro e alla Produzione) – sussidi salariali per i lavoratori formali per evitare licenziamenti e chiusure di aziende – e l’Ife (Reddito Familiare di Emergenza), una garanzia di reddito rivolta ai lavoratori più precari e disoccupati.

Il governo, tuttavia, ha calcolato male il numero di beneficiari dell’Ife, visto che undici milioni di persone hanno fatto domanda per fondi destinati solo a tre o quattro milioni. Pur comportando un notevole onere per il bilancio nazionale, il governo Fernández alla fine ha concesso l’Ife a dieci milioni di persone. All’epoca si pensò che il governo Fernández avesse commesso una svista, nel peggiore dei casi, dando credito alle accuse di incompetenza amministrativa. In realtà, il nuovo governo non si era reso conto di quanto la struttura del tessuto sociale e della forza lavoro argentina si fosse radicalmente trasformata e deteriorata durante gli anni neoliberali del macrismo.

Le politiche successive del governo Fernández, riprese nella campagna elettorale di Sergio Massa, hanno continuato a ignorare i nuovi lavoratori informali. Negli ultimi quattro anni, la politica sociale ha preso di mira i due gruppi più grandi e visibili di lavoratori argentini: i lavoratori dipendenti e i segmenti di quella che in Argentina è conosciuta come «economia popolare», legata al movimento sociale sindacale di organizzazioni come l’Utep (Unione dei Lavoratori dell’Economia Popolare), che sono formalmente autorizzate a ricevere e ridistribuire sussidi governativi e piani di lavoro per il welfare ai lavoratori informali. Oltre all’errore di calcolo dell’Ife, le esclusioni dell’amministrazione Fernández hanno dimostrato l’esistenza di ampi settori della classe operaia non inclusi in nessuno dei due gruppi.

Questo gruppo di esclusi è costituito da un’ampia gamma di lavoratori non registrati, o in nero, che non godono di alcuna prestazione previdenziale, e dai cosiddetti monotributistas, una categoria eterogenea che raggruppa, tra gli altri, i lavoratori autonomi, i lavoratori delle microimprese, i piccoli imprenditori che non generano entrate sufficienti per rientrare nel sistema fiscale nazionale, vari professionisti e i precari statali. In quest’ultima categoria rientrano anche i lavoratori domestici, i lavoratori delle piattaforme associate alle app di consegna come Uber e Rappi, i commercianti autonomi, i venditori ambulanti, i giovani che fluttuano tra lavori a breve termine e mal pagati e i liberi professionisti. A questi si aggiunge un numero minore di lavoratori di cooperative che, non essendo mai stati considerati come titolari di un rapporto di lavoro distinto, rientrano anch’essi nel sistema fiscale monotributario.

Se analizziamo ulteriormente questo gruppo, scopriamo che, lungi dall’essere una minoranza, costituisce una porzione considerevole della popolazione attiva argentina, è in gran parte giovane e, a parte i lavoratori domestici, è prevalentemente di sesso maschile. Molti di questi lavoratori si sono sentiti ignorati dalla maggior parte delle politiche pubbliche argentine. Ad esempio, durante la pandemia, quando molti di loro non hanno potuto lavorare o hanno dovuto lavorare in condizioni non sicure, non hanno ricevuto l’Atp e sono stati ampiamente esclusi dall’Ife. In quanto monotributistas o lavoratori in nero, continuano a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori sociali argentini.

Sensibili a una campagna mediatica che denigrava la gestione della pandemia da parte del governo, socialmente inibiti dalle misure di lockdown e cronicamente sottopagati, vivevano in condizioni mature per far crescere il loro risentimento. Per la stragrande maggioranza di questi lavoratori, durante la pandemia lo Stato non solo era assente, ma li aveva dimenticati, anche se loro erano considerati «essenziali» e consegnavano cibo e beni consumati dai “garantiti” reclusi per la pandemia.

Come in quasi tutti gli aspetti della vita sociale, la pandemia ha esacerbato e accelerato le tendenze esistenti che stavano già emergendo in modo più lento e stentato. L’elefante dei lavoratori informali è sfuggito a tutti, sia al governo che all’opposizione. È stato ignorato finché il fenomeno Milei non ha attirato la sua attenzione. E Milei ha ricambiato il favore riconoscendo la sua disperazione e capitalizzando i suoi sentimenti.

Un proletariato diviso contro sé stesso

Le trasformazioni nella struttura sociale emergono gradualmente e richiedono tempo per essere viste finché, un giorno, sembrano esplodere. Non è la prima volta che un’esplosione del genere si verifica in Argentina. Negli anni Quaranta, l’intensità del sostegno della classe operaia a Juan Domingo Perón sorprese le classi dirigenti, l’intellighenzia, la sinistra e lo stesso Perón. Il trionfo di Raul Alfonsín nel 1983 per il ritorno della democrazia è stato un altro di questi momenti. Anche la rivolta di massa che ha scosso l’Argentina il 19 e 20 dicembre 2001 è apparsa come un uragano improvviso, inarrestabile e senza una chiara destinazione. L’Argentina si trova ora in un momento simile: il malcontento di massa è palpabile, così come il bisogno sentito di speranza e di un salvatore. Ma perché Milei rappresenta un salvatore per così tanti argentini? Perché l’utopia dell’estrema destra sta seducendo gran parte della classe operaia?

L’attrattiva di Milei per questi settori disincantati e arrabbiati della classe operaia risiede in un discorso che combina soluzioni radicali (anche se da pensiero magico), un nemico facile e un futuro immaginario: una narrativa sgangherata che promette una nuova vita sbarazzandosi dello Stato e della «casta politica» che per troppo tempo ha ignorato i lavoratori e i poveri e li ha lasciati a sé stessi. Il discorso di Milei sulla «rottura» si basa su un’ideologia di neoliberismo estremo il cui fine ultimo, parafrasando David Harvey, è la ricostituzione del potere di classe. Laddove prima i cattivi di questa ideologia erano lo Stato sociale e il comunismo, i nuovi bersagli sono a portata di mano. Per il macrismo, si tratta del populismo del kirchnerismo, il movimento associato al peronismo di sinistra di Néstor e Cristína Fernández de Kirchner. Per Milei, come per Bolsonaro, si tratta di un vago socialismo e comunismo che mette nello stesso cesto i centristi e la sinistra più radicalizzata.

Ciò che rende unico questo nuovo neoliberismo di estrema destra è che la sua ideologia è troppo rozza per le classi ricche, che vogliono il dominio ma anche la prevedibilità per i loro interessi commerciali. Il messaggio di Milei non è un discorso adatto alla classe imprenditoriale, anche se Milei stesso lo ritiene tale e anche se alla fine molti interessi imprenditoriali e commerciali si sono tappati il naso e hanno votato per Milei. In realtà, Milei articola un discorso nichilista per il nuovo proletariato contro sé stesso e i propri interessi.

Il retroscena di questo nichilismo è l’impotenza del governo di Alberto Fernández a soddisfare anche solo nominalmente le elevate aspettative sociali che lo avevano portato al potere nel 2019. L’inefficacia dell’amministrazione uscente può essere legata a diversi fattori: gli obiettivi non raggiunti di un «governo tranquillo» (gobierno tranquilo); la permanente faziosità che l’ha immobilizzata, creando un’opposizione interna spesso più dura di quella ufficiale; e le fallite aspirazioni a mediare accordi con l’opposizione e con i principali settori economici. Nel complesso, l’amministrazione Fernández è stata caratterizzata da una mancanza di acume teorico e politico che si è manifestata quando non è riuscita a rispondere ai problemi strutturali della nuova configurazione sociale dell’Argentina.

Naturalmente, questo non è un problema esclusivo dell’Argentina. I paralleli tra Milei e Trump, Bolsonaro, l’estrema destra europea e altri esponenti dell’estrema destra latinoamericana, come il cileno José Kast e il colombiano Rodolfo Hernández – due figure che hanno sfiorato il governo nelle recenti elezioni – dimostrano che l’Argentina non è l’eccezione ma la nuova regola.

Non c’è futuro?

L’abilità di Milei nel cogliere la frustrazione di un’ampia parte della società argentina non assolve il governo uscente e il progetto politico associato al kirchnerismo. Come in altri paesi in cui l’autoritarismo ha preso piede, la sinistra non è stata in grado di comunicare un progetto alternativo convincente a un’ampia fascia della classe operaia di cui sostiene di essere portavoce. Troppo spesso noi di sinistra – in Argentina e nel mondo – non siamo riusciti a offrire nulla di più di un ritorno ai «bei tempi», ignorando che per i più emarginati quel periodo non è mai stato così bello. Che si tratti di progressismo tiepido o di sinistra radicale, siamo stati così impegnati a difendere le vittorie del passato che raramente abbiamo offerto proposte chiare e complete per futuri alternativi.

A quanto pare, la sinistra argentina non può che offrire ancora la stessa cosa, che è proprio ciò che Milei e i suoi seguaci hanno efficacemente inquadrato come la causa di tutti i mali. Non c’è un progetto, né tanto meno un discorso alternativo, per coloro che si trovano nella parte perdente dell’attuale realtà socioeconomica. Persino l’«economia popolare» e le prospettive, un tempo speranzose, del sindacalismo dei movimenti sociali appaiono troppo conservatrici per i settori informali dimenticati di Milei, e la rivendicazione di programmi di lavoro suona troppo simile alla fatica da cui vogliono fuggire i lavoratori autonomi e informali i freelance, i lavoratori domestici e quelli delle piattaforme.

Se non riusciamo ad articolare un progetto per migliorare il reddito, le condizioni di vita e le capacità produttive di tutti i lavoratori e le lavoratrici, le soluzioni attualmente offerte dalle organizzazioni che rappresentano la classe operaia argentina non saranno mai sufficienti. Se la sinistra non riesce a costruire e a comunicare efficacemente un progetto di trasformazione che dia speranza alle crescenti file del proletariato emergente, il meglio che possiamo fare è aspettare il fallimento di quest’ultima ondata di autoritarismo di ultradestra, che senza dubbio avrà un costo sociale, economico, politico e culturale intollerabile.