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16/09/2023

GREGORIO CARBONI MAESTRI
Lettera aperta all’ANPI su una mostra glorificando il Battaglione Azov

Gregorio Carboni Maestri, settembre 2023

Stimati associati, compagni e amici dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ANPI,

In questi giorni di significativi anniversari—l’ottantesimo dell8 settembre 1943, che segnò l’inizio simbolico della Rivoluzione partigiana in Italia e della liberazione del Dombass dall’occupazione nazifascista—è con profondo sgomento che sono venuto a conoscenza del tacito sostegno da parte dell’ANPI della Provincia di Milano a una mostra dal titolo "Occhi di Mariopoli – Uno sguardo negli occhi dei difensori di Mariopoli".[1] Questa esposizione, allestita in Via Dante e nel Museo del Risorgimento, è patrocinata dal Comune di Milano e dalla Zona 1 e riguarda il battaglione Azov, noto per le sue posizioni nazifasciste, antisemite e ultranazionaliste.[2] È stato organizzato e promosso con l’aiuto delle associazioni Azov One e dalla Kvyatkovskyy Family Foundation, entrambe affiliate al suddetto battaglione, come parte della loro campagna per "ripulire" la reputazione di questa unità controversa.


 Nella mostra oggetto di discussione, è stato fatto un tentativo deliberato di nascondere il logo del Battaglione, che era invece visibile nell’edizione della mostra presentata a Leopoli. Questo atto consapevole da parte degli organizzatori evidenzia ulteriormente la problematicità della mostra. Come ha chiaramente espresso l’ANPI di Porta Genova (Milano), le immagini esposte mettono in primo piano le forze militari anziché documentare le sofferenze delle popolazioni oppresse dalla guerra. Inoltre, queste immagini fanno uso di simbolismi che evocano regimi e periodi storici oscuri.

È fondamentale evidenziare che il battaglione Azov trae le sue radici dalle milizie neofasciste affiliate a Pravy Sektor  [Settore destro], che sono state successivamente incorporate legalmente nelle forze armate ucraine.[3] Il simbolo che identifica questo battaglione è l’amo per lupi, un emblema che fu inizialmente associato al Partito Nazista prima della sua adozione della svastica. Tale simbolo è stato successivamente incorporato nell’insieme di simboli runici utilizzati dalle S.S. ed è stato anche adottato da otto divisioni della Wehrmacht, inclusa la 2ª Divisione Panzer S.S. "Das Reich". Va notato che anche il Partito Social Nazionalista Ucraino - Svoboda ha fatto uso di questo simbolo distintivo.[4]

L’immagine emblema della mostra, una fotografia in bianco e nero, è un ritratto di Denys Prokopenko, un comandante del battaglione Azov noto per le sue ideologie suprematiste bianche.[5] Prokopenko ha intrapreso la sua carriera militare inizialmente nel "Club dei ragazzi bianchi", un gruppo ultras neonazista, per poi unirsi alla divisione Borodach. Quest’ultima è distintiva per l’utilizzo del simbolo nazista del "Testa di morto" e tibia incrociate. Prokopenko rappresenta solo uno dei tanti membri controversi di questa unità paramilitare, i cui seguaci sfoggiano tatuaggi che fanno riferimento a simbologie razziste, suprematiste, omofobe, antisemite e nazifasciste.[6]

Il battaglione Azov è stato coinvolto in atti spaventosi di crudeltà e illegalità, inclusi stermini, deportazioni e la soppressione completa di libertà e dignità umana. Hanno persino praticato crocifissioni e morti sul rogo.[7] Contrariamente alla narrativa veicolata dalla mostra in questione, i membri del battaglione Azov non sono dunque eroi ma piuttosto assassini crudeli e vigliacchi. La loro prigione segreta, conosciuta come "La Biblioteca" era situata nell’aeroporto di Mariopoli sotto la gestione dell’SBU, un luogo di tortura e assassinio per miliziani delle repubbliche popolari del Donbas, comunisti, antifascisti e antimaidanisti.[8] Un luogo che evocava tristi somiglianze con lo Stadio nazionale di Santiago del Cile.[9] In un contesto simile, sarebbe stato accettabile ospitare una mostra su Pinochet e i suoi esecutori in Via Dante o al Museo del Risorgimento nel 1973? Per illustrare l’ampio disagio suscitato e le contraddizioni esplose con questa mostra, va notato che il quotidiano La Stampa di Torino ha modificato in modo significativo il titolo di un suo articolo a essa relativo. Il titolo originale, "[…] la mostra in centro sui neonazisti del Battaglione Azov," è stato successivamente cambiato in "[…] la mostra sulla resistenza ucraina a Mariupol," smorzando così il carattere controverso dell’evento.[10]

L’esposizione ha suscitato un diffuso dissenso da diverse componenti sociali, tra cui il pubblico generale, gruppi associativi e formazioni politiche. Un numero significativo di persone ha inviato email di protesta all’ente comunale, e nei giorni più recenti sono state pianificate manifestazioni a cui hanno partecipato centinaia di individui, tutte con l’obiettivo di esprimere opposizione all’esibizione e richiederne la chiusura.

05/09/2023

HILO GLAZER
Nelle Prealpi italiane, degli israeliani fondano una comunità di espatriati. Iniziative simili stanno nascendo altrove

 Nota del traduttore

Una battuta circolava qualche anno fa nei bar di Tel Aviv: “Un ebreo israeliano ottimista impara l'arabo, un ebreo israeliano pessimista impara l'inglese, un ebreo israeliano realista impara a nuotare”. Sembra che quello che i Palestinesi o gli arabi non sono riusciti a fare (semmai ne abbiano avuto davvero l'intenzione), Netanyahu e i suoi accoliti di governo lo stanno provocando: un'ondata di fuggi fuggi si è scatenata fra gli ebrei israeliani. Infatti, centinaia e migliaia di israeliani di varie condizioni socioeconomiche e di ogni età stanno dandosi da fare per trovare un'alternativa di vita allo Stato ebraico. Ed è in questo modo che è nato un nuovo business, che si potrebbe chiamare relocation industry (industria del trasferimento). L'articolo di Hilo Glazer racconta del Progetto Baita, lanciato in provincia di Vercelli, nella Valsesia, e di altri progetti, fra i quali ambiziosi progetti di creazione di "città israeliane" in Europa, da Cipro e Grecia al Portogallo, ed altrove. Uno di loro parla addirittura di creare una “comunità di insediamento”, che ricorda i cosiddetti insediamenti (colonie) in Cisgiordania. Possiamo legittimamente chiederci se questi progetti possano costituire un superamento definitivo del sionismo e del tribalismo, oppure se creeranno semplicemente “piccoli Israele” sparsi come coriandoli per il mondo.-FG

Hilo Glazer, Haaretz, 2/9/2023
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

 Sulla scia del golpe giudiziario [la riforma progettata dal governo Netanyahu], le discussioni israeliane sul trasferimento all’estero non si fermano più ai gruppi sui social media. In una valle lussureggiante dell’Italia nord-occidentale, le idee di emigrazione collettiva si stanno attuando sul campo e iniziative simili stanno prendendo forma anche altrove.

“Mentre il numero di ore di luce nella democrazia del loro Paese continua a diminuire, sempre più israeliani arrivano nella valle montana alla ricerca di un nuovo inizio. Tra loro ci sono giovani con neonati nel marsupio, altri con bambini in età scolare, e ci sono persone brizzolate o pelate come me. Un insegnante, un imprenditore tecnologico, uno psicologo, un toelettatore di cani, un allenatore di basket. Alcuni dicono che stanno solo esplorando, si vergognano ancora di ammettere che stanno prendendo seriamente in considerazione l’opzione. Altri sembrano intenzionati e motivati: si informano su come ottenere il permesso di soggiorno, su quanto costa una casa, su come aprire un conto bancario e trasferire i fondi previdenziali finché è ancora possibile. Alla base di tutto questo c’è uno strato di dolore, il dolore dei bravi israeliani che credevano di potersi riposare sugli allori dopo 2.000 anni, ma che ora stanno riprendendo in mano il bastone del viandante”.

L’autore è Lavi Segal, la zona montuosa che descrive si trova nella Valsesia, nella regione Piemonte dell’Italia nord-occidentale, ai piedi delle Alpi. Segal, proprietario di un’azienda turistica della Galilea, condivide le sue esperienze con i membri di un gruppo Facebook chiamato Baita, che offre informazioni agli israeliani che cercano di immigrare e creare una propria comunità in Valsesia, molti dei cui abitanti originari sono partiti negli ultimi decenni. Il nome del gruppo è un amalgama di Bait (che in ebraico significa “casa”) e Ita - abbreviazione di Italia. Baita in italiano si traduce anche come “capanna in montagna”. E non si tratta di montagne qualsiasi: la Valsesia è conosciuta come “la valle più verde d’Italia”. Segal afferma che quello che sta presentando è un caso di pubblicità veritiera.

“Con tutto il rispetto per i discorsi sulla ‘bella Terra d’Israele’”, dice ad Haaretz in un’intervista telefonica, “Israele è forse bella se paragonata alla Siria o all’Arabia Saudita [sic] [ma] l’Europa e le Alpi sono un altro mondo. Il paesaggio è mozzafiato, il clima è meraviglioso e tutti i noti problemi di Israele - guerre, sporcizia, sovraffollamento, costo della vita - semplicemente non esistono qui”.

Segal vive in Valsesia da due mesi con la moglie Nirit, entrambi sessantenni. “Stiamo facendo un viaggio di familiarizzazione e di esplorazione”, spiega. “Abbiamo affittato una casa qui e ogni tanto parliamo con le agenzie immobiliari della possibilità di acquistarne una. Al momento non stiamo parlando di uno sradicamento definitivo, anche se potrebbe accadere se la vita in Israele diventasse intollerabile. Per il momento stiamo cercando un posto in cui possiamo dividere il nostro tempo tra Israele e l’estero. Israele ci è molto caro: Quando siamo lì partecipiamo attivamente alle manifestazioni” contro i piani del governo per la revisione del sistema giudiziario.

Nirit, che organizza ritiri artistici, ha due idee: “Questo posto è un sogno quando si tratta di creare arte, ma sono molto legata a Israele e, come molte persone del mio ambiente, lo sento soprattutto oggi. Sono preoccupata per le implicazioni dellondata migratoria sul movimento di protesta”.

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13/06/2023

PAOLO PERSICHETTI
Berlusconi, il ‘68 dei padroni e l’edonismo proprietario

Paolo Persichetti, l’Unità /Insorgenze, 12/6/2023

 Cosa è stato il berlusconismo? Come è riuscito ad imporre la sua egemonia? «Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelata in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza (Louis-Napoléon Bonaparte)», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza

Pranzo natalizio a Villa San Martino (Arcore), 2011


Fin dal momento della sua entrata diretta in politica, nel lontano 1994, il dispositivo Berlusconi ha agito come un grande diversivo, un potentissimo magnete capace di captare su di sé passioni contrapposte. Una sorta d’incantesimo che ha permesso al padrone della televisione commerciale di collocarsi da subito al centro della scena scompaginando gli schieramenti, rimescolando le carte, sparigliando il tavolo da gioco. Forse solo riconoscendo questa sua irresistibile capacità illusionistica si può riuscire a spiegare anche l’essenza contraddittoria, quella combinazione di contrari che è l’antiberlusconismo.

Solo in questo modo si riesce a comprendere perché personaggi della destra storica, come Indro Montanelli o populisti di destra come Antonio Di Pietro siano diventati dei paladini del popolo della sinistra, oppure un damerino reazionario come Marco Travaglio abbia potuto ispirare prima le correnti giustizialiste della sinistra, dai girotondi al popolo viola, e poi i Cinque stelle.

Sicuramente Berlusconi ha saputo intercettare e interpretare a modo suo quel nuovo spirito del capitalismo descritto da Luc Boltanski e ève Chiappello in un volume pubblicato da Gallimard nel 2000 e arrivato in Italia solo nel 2014 con Mimesis (Il nuovo spirito del capitalismo). Versione italiana di quella nuova etica della valorizzazione del capitale che, secondo i due sociologi, dopo l’originaria fase puritana e la successiva età della programmazione e della razionalità fordista, ha trovato nuova fonte d’ispirazione e legittimazione in una parte delle critiche rivolte al modo di produzione capitalista durante la contestazione degli anni Settanta. La critica al taylorismo fordista, all’alienazione seriale del lavoro, ai rapporti di società rigidi e gerarchizzati e alla società dello spettacolo, sono state assorbite e metabolizzate fino a fare della creatività e della flessibilità i tratti salienti del nuovo sistema dell’economia dei flussi, del valore aggiunto, del lavoro immateriale incamerato nel prodotto finito. Inventiva, piacere e pazzia – sempre secondo l’analisi di Boltanski e Chiappello – sono diventati ingredienti del successo capitalista molto più dei costipati valori del lavoro, della preghiera e del risparmio che ispiravano gli albori del capitalismo ma anche quella sorta di calvinismo del valore lavoro di cui era intriso il togliattismo.

Se l’immaginazione non è mai arrivata al potere, sicuramente ha trovato posto in piazza Affari. Dimostrazione della capacità dinamica e innovativa dell’«imprenditoria deviante», secondo una categoria forgiata dalla sociologia criminale. L’ambivalenza del comportamento berlusconiano, condotta all’interno e all’esterno dell’ordine stabilito, ha permesso di condurre esperimenti, d’esplorare possibilità anche illegittime. Risorsa necessaria affinché l’iniziativa economica innovativa potesse avere luogo. In questo modo l’uomo di Arcore ha mantenuto «una distinta leggerezza che ha consentito alle sue imprese, in maniera weberiana, di levarsi al di là del bene e del male», come ha scritto Vincenzo Ruggiero in, Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, il Saggiatore, Milano 2005.

Il patron della pubblicità con le sue televisioni è stato il volto italiano di questa rivoluzione del capitale. Con la sua abilità nel produrre ideologia è riuscito a sintetizzare anche interessi e spinte sociali diverse ma accomunate da un’ipertrofica rapacità individualista. Venditore di sogni e d’illusioni, spacciatore di marche, dealer di un mondo ridotto al dominio del logo e delle sue imitazioni. Divenuto sistema-mondo, occupata la società, a Berlusconi mancava solo la politica. Non la politica vera. Quella l’aveva sempre fatta, come una volta vantò in una intervista. La sua rete commerciale non era altro che un partito di tipo leninista. L’unico rimasto. Il partito dei professionisti della pubblicità. Una struttura di quadri selezionati, radicati nel territorio e nei distretti economici, con rapporti diffusi e alleanze con le corporazioni, le organizzazioni di categoria e gli imprenditori legali e illegali. Un vero modello d’organizzazione bolscevica della borghesia. Ed difatti, alla fine del 1993, in pochi mesi riuscì a farne la struttura portante di Forza Italia per lanciare l’attacco alla cittadella della politica-istituzionale, all’occupazione della macchina statale. Grazie ad una scientifica attività lobbistica e alle protezioni ottenute da settori influenti della politica, più che alla capacità di stare sul mercato, ha potuto costruire negli anni Ottanta la sua posizione dominante nel settore delle televisioni commerciali e della raccolta pubblicitaria.

Ma a spianare la strada al suo ingresso diretto nel mondo dei palazzi romani è stato il tracollo del sistema politico dei partiti provocato dalle inchieste giudiziarie. Quando sulle ceneri della Prima Repubblica rivaleggiavano ormai forme contrapposte di populismo, Berlusconi è riuscito a sconvolgere la scena politica del paese sradicando la tradizione dei partiti di massa già in crisi e imponendo il proprio modello anche ai suoi avversari. In grado di miscelare elementi elitari e plebiscitari, premoderni e ipermoderni, quello berlusconiano è apparso un modello di populismo dove vecchio e nuovo s’integravano. Sorretto dal ritorno all’affermazione della leadership carismatica e provvidenziale, nella quale il potere patrimoniale sostituisce la vecchia legittimità paternalista-patriarcale, il paradigma berlusconiano ha accompagnato l’elogio dell’imprenditorialità diffusa dentro la quale riescono a convivere anche forme arcaiche e bestiali di taylorismo. Il sogno e l’inganno di milioni di piccole imprese, nuova configurazione di un rapporto lavorativo che occulta dietro il mito dell’imprenditorialità individuale le gerarchie di un nuovo modello di sfruttamento. Illusione di un facile accesso al ceto medio e all’arricchimento personale modellato con i valori profusi dalle televisioni commerciali, tra gossip, cronaca nera, veline e reality show.

Esaltazione retorica e sognatrice dell’autoaffermazione individuale, della proprietà (tanto più quando questa è insignificante e si riduce ad un’abitazione o un’automobile acquistata contraendo mutui bancari pluridecennali o alla conversione dei propri risparmi in bond e partecipazioni in titoli finanziari). Ideologia che riesce a far convivere con un mirabile gioco di prestigio temi legati alla riscoperta dei valori morali, come patria, famiglia e presunta etica della vita (ostilità verso l’aborto e l’uso delle staminali), insieme ad una sorta di sfrenato “edonismo proprietario”, di ’68 dei padroni (il “bunga bunga”).
«Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelato in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza. Tutto ciò come è stato possibile?

Quando la società dei lavoratori e dei cittadini volontari è messa fuori gioco, ha risposto Mario Tronti: «la politica diventa il monopolio dei magistrati, dei grandi comunicatori, della finanza, delle lobby, dei salotti. Cessa di essere la sede in cui i progetti di società si affrontano e confrontano e diventa il luogo dell’indifferenza, uno spazio indistinto dove l’apparenza prevale sul contenuto, l’estetica s’impone sulla sostanza». Per questo l’antiberlusconismo giustizialista non solo si è rivelato inefficace ma si è addirittura dimostrato dannoso riverberandosi unicamente come riflesso subalterno del suo acerrimo nemico spianando la strada al governo della destra fascista.

2008  


2011

2023

GIANFRANCO LACCONE
Sedersi sulla riva del fiume e attendere
Dopo la scomparsa di Mister B, la destra è nelle condizioni dei comunisti dopo Stalin

Gianfranco Laccone, 13/6/2023

La destalinizzazione giunse nel 1956, a tre anni dalla morte di Stalin, per mano del suo stesso successore, Chruščëv ; i democristiani impiegarono molto meno per liberarsi della figura di Moro (i morotei di Bari, sua città di elezione, lo fecero la notte successiva alla sua morte, migrando nelle varie correnti); quanto tempo ci vorrà per liberarsi del peso di questa figura già santificata che, come dice oggi il manifesto, il 12 giugno 2023 è “asceso in campo”?


Non credo che Tajani rappresenti il Chruščëv italiano, in grado di avviare la necessaria demolizione del mito per permettere al Paese di andare avanti. Il Paese si è identificato con questa figura che, ora che è ufficialmente scomparsa, non so nemmeno se sia mai esistita o se fosse scomparsa da molto tempo e sostituita da una controfigura, ricostruita negli anni come un androide, come ancora oggi si favoleggia nel caso di Mao. Perché questo è stato un personaggio che si è realmente costruito da sé, in modo imperfetto e grottesco, come capitava di fare da bambini con il meccano (un gioco di metallo anni Cinquanta, spazzato via dalla plastica e dal Lego), dove era impossibile costruire dei pupazzi, pupazzi che comunque costruivamo e immaginavamo potessero esistere per popolare un mondo di gru, palazzi e castelli di metallo. Un mio conoscente, verso la fine degli anni ’90, lo incontrò per caso di notte nei corridoi di un hotel di Bruxelles e non lo riconobbe, piccolo, goffo e incerto nell’andare, così diverso dalle immagini che già trent’anni fa la TV ci proiettava.

Non ci vuole molta fantasia nell’immaginare quello che succederà a breve; non esiste un erede politico e i suoi eredi materiali faranno, in un tempo più o meno breve, quello che hanno fatto gli eredi degli Agnelli: cercheranno di de-personalizzare le aziende, creando una rete che permetterà la sopravvivenza, qualunque sistema economico politico subentri tra qualche anno. Perché siamo in guerra e alla fine del conflitto (che finirà prima o poi) non si sa bene cosa accadrà. Se non ripeteranno gli errori della famiglia torinese, che ha perso il treno dell’auto elettrica, daranno un senso al lavoro svolto nella società italiana dal mondo berlusconiano.

Perché quello del Cavaliere è stato un mondo che la sinistra non ha saputo creare per dare un sogno al Paese ed un esempio al mondo. Senza il mazzarinismo di Dell’Utri, senza il colbertismo privatistico di Tremonti, senza il talleyrandismo di Gianni Letta la sua dimensione politica non sarebbe esistita e non sarebbe stata possibile la creazione di quella zona d’ombra che unisce il sogno alla terribile realtà. Un sogno in cui attori da Commedia dell’arte come Mike Buongiorno, Corrado o Raimondo Vianello sono diventati personaggi della Commedia, in grado di fare della loro vita uno spettacolo e di bloccare persino i ladri nello loro attività, con uno stile degno dell’episodio di S. Francesco con il lupo.

Perché figure come Nicolini, in grado di far uscire lo spirito festoso e popolare degli italiani e neutralizzare la tragica notte della prima Repubblica, sono state mortificate dalla sinistra; a loro si è preferito privilegiare figure simili a quelle di Fouché e farle salire nelle responsabilità di Stato.

Mentre questo avveniva, molti degli uomini di sinistra della generazione del Cavaliere sognavano di imitare le sue gesta con il mondo femminile; chi non poteva, si contentava di guardare lo sconcio nazional-popolare che ha travolto prima la TV e poi i nascenti social media. In tal modo la destra ha allevato una generazione di donne con lo stomaco di ferro, in grado di accettare tutto per la conquista del potere, mentre il mondo femminista si contentava di difendere poche e limitate vittorie (divorzio, aborto) e rifugiarsi nell’Aventino della differenza. A don Camillo e Peppone si sono sostituite reali coppie anagrafiche che hanno costituito “gli opposti che si attraggono”, nel reality che viviamo giornalmente e che sostituisce la vita reale.

Politicamente Fratelli d’Italia recupererà il serbatoio elettorale, ma incorrerà nel rischio di morire per il troppo mangiare, evocando così la grande letteratura europea rinascimentale. Perché la bulimia di potere, le cui avvisaglie si sono manifestate nelle nomine fatte in questi mesi di governo in assenza del controllo berlusconiano, è difficile se non impossibile da curare.

Il Cavaliere amava il sistema del libero mercato (così come si è affermato nel tempo, con tutti i suoi falsi miti e le trappole economiche) ma temeva il mercato globale e si preoccupava di mantenersi amici coloro che lo avrebbero contrastato. Amava comandare ma non gradiva la guerra, badava agli interessi di famiglia ma aveva sorrisi ed anche lacrime per tutti (non erano false quelle piante a Brindisi in memoria dei migranti della Kater y Rades, già allora vittime dell’Europa-fortezza, dove nel 1997 non mi sembra sia andato alcuno del governo in carica).

Quando nel 1994, nella tornata uninominale delle elezioni con metodo maggioritario, Berlusconi si candidò in un collegio chiave a Roma, pensai che la sinistra dovesse contrapporgli un simbolo altrettanto nazional-popolare, come la “casalinga di Voghera”; invece candidò Luigi Spaventa, economista di buon livello, ex-ministro ed erede della storia familiare che seguiva quella dello Stato italiano dalle sue origini, e perse. C’erano a Roma tante donne antiberlusconiane, semplici e forti, come Annarella di Trastevere che avrebbero rappresentato bene il popolo che – a naso – non si sarebbe fidato di questa novità dal sapore antico. Invece niente. 

 Oggi la destra è nelle condizioni dei comunisti dopo Stalin: non ha più un sogno, può avere solo rimpianti, e si è infilata in una guerra che non ama ma che è necessaria per fare affari in assenza di potere reale nei media e avere quella patente di “lotta per la democrazia” che ancora le manca. E la sinistra, quella che ama la democrazia ma non ne vede traccia nei governi democratici, cosa vuole fare?

La storia ci ricorda che fermarsi e riflettere è essenziale, difendendo la propria memoria nei momenti difficili come questi, attendendo lungo il fiume e riorganizzando le idee e le forze.

La guerra in Ucraina ha fatto perdere il senso delle cose e ha travolto le coscienze; forse la UE perderà questo conflitto, come la Germania fece nella Prima guerra mondiale, senza avere perso una battaglia. Oppure lo vincerà e farà in quell’occasione come fece la Francia (assieme agli altri alleati): chiese troppo e favorì in tal modo Hitler. O farà come l’Italia nel 1943, si sveglierà all’improvviso dall’incubo e cercherà di allearsi con qualcuno che le avrebbe permesso di leccarsi le ferite di un insulso conflitto fatto per conquistare l’Impero…

La morte di Mr. B affonda le destre pigliatutto al potere, più la von der Leyen che la nostrana Presidente; l’apparenza sembra molto diversa, ma è solo questione di tempo.

Noi, che crediamo in un’onesta democrazia con i suoi piccoli pregi e i suoi reali difetti, abbiamo un futuro solo se abbiamo voglia e capacità di ricostruire il sogno per la democrazia popolare, un tempo chiamata democrazia progressiva. Quel sogno sostituito da Mr B con le luci della ribalta ora spente.

 Giuseppe Veneziano, Non sono un santo, dalla serie Operette immorali, acrilico su tela, 2018

06/02/2023

Al via il 1° Ciclo di seminari della “Scuola Italiana di Pace on line”

Tutti siamo contrari alla guerra, ma purtroppo qui in Italia, come avviene anche in altri Paesi europei e non, ci troviamo ad alimentare con l'invio di armi sempre più potenti un focolaio che se non fermato in tempo rischia di fare terra bruciata di ogni cosa, con indicibili sofferenze per tutti. A fronte di questo rischio, purtroppo sempre più concreto, è chiaro che bisogna cambiare passo, cercando di creare una opinione popolare consapevole, libera e indipendente che sappia opporsi a decisioni belliciste prese da altri, spesso rispondenti ad interessi non nostri e che non rispondono ai principi di fratellanza e solidarietà universale da tutti noi desiderati e cercati.

Per far questo, per cercare di stimolare nuove idee, nuovi germogli di pensiero, per contrapporci alla logica dualistica bene/male, dove il male è sempre quello degli altri, dipinti come 'nemici', l'Associazione Accademia dei 2 Mari ha organizzato una prima serie di tre incontri on line su piattaforma Zoom , con Relatori di chiara fama che illustreranno l'attuale situazione geopolitica. La partecipazione è aperta a tutti gli interessati, gratuita e il link di accesso sarà inviato a chi richiederà l'iscrizione alla Scuola mediante mail inviata a segreteria.a2m@gmail.com

Si terrà su piattaforma Zoom la

PRIMA SCUOLA ITALIANA DI PACE ON LINE, organizzata dall'Associazione Accademia dei 2 Mari

ll primo seminario si svolgerà Sabato 11 Febbraio alle 17.30

"L'Italia in guerra. Conflitto in Ucraina e militarizzazione",

relatore il prof. Antonio Mazzeo, giornalista autore di libri sull'argomento,

Il secondo si terrà il 23 febbraio alle ore 21:

'L'Italia tra produzione ed export di armamenti',

relatrice sarà la dr. ssa Futura D'Aprile, giornalista ed autrice del libro 'Crisi globali e affari di piombo'.

Il primo ciclo di seminari si concluderà il 9 Marzo ore 21 con la relazione su

'L'Italia e le armi nucleari',

relatore il dr..Elio Pagani, coautore di “Nuovo ordine militare internazionale. Strategie, Costi, Alternative”, presidente del Centro di Documentazione “Abbasso la guerra OdV” (Va), attivista di Pax Christi e del Forum Contro la Guerra.

I relatori saranno introdotti dal Dr. Gaetano Arcovito, medico, Presidente di Accademia dei 2 Mari.

La “Scuola di Pace” è coordinata dal prof. Antonio Mazzeo

Per Accademia dei 2 Mari

Gaetano Arcovito

Messina, 05 02 2023
segreteria.a2m@gmail.com






18/03/2022

Verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif


 Il “Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif” nasce per chiedere che si accertino eventuali responsabilità, colpe, omissioni connesse alla morte di un ragazzo che ha subito la sottrazione dei più elementari diritti fino a morirne

 Wissem Ben Abdel Latif è morto il 28 novembre 2021, a 26 anni, in un Servizio psichiatrico di Diagnosi e cura (SPDC) di un Ospedale pubblico italiano, il San Camillo, a Roma, legato per giorni, braccia e gambe, a un Ietto di contenzione. Wissem era già stato legato, il 23 novembre, nell’ospedale Grassi, a Ostia, dal quale, due giorni dopo, viene trasferito "per competenza territoriale”.

Wissem, sbarcato a Lampedusa il 2 ottobre, è stato prima condotto sulla nave quarantena secondo le disposizioni anti-Covid, poi nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, da dove, con una diagnosi che appare affrettata, è inviato al Pronto Soccorso di Ostia.

Questo il breve riepilogo della sua storia, consumatasi in meno di due mesi dal suo arrivo in Italia, senza mai aver vissuto un solo momento di libertà, senza aver potuto esercitare i diritti di richiedente asilo, subendo una detenzione amministrativa che sarebbe dovuta cessare prima della sua morte.

La morte di Wissem Ben Abdel Latif richiama il destino di tante altre tragiche vite spezzate mentre erano legate ai letti, la sofferenza di migliaia di altri uomini e donne costretti in luoghi di internamento che ancora mortificano il diritto alla cura, aII’accogIienza, alla libertà.

Il “Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif” chiede ai rappresentanti istituzionali, ai media, aII’opinione pubblica e alla cittadinanza tutta di mobilitarsi affinché vengano accertate tutte le eventuali responsabilità, colpe, omissioni connesse alla morte di questo ragazzo, partito per cercare un futuro migliore e che, invece, in ltalia, ha subito la sottrazione dei più elementari diritti fino a morirne.

Una morte che non può e non deve essere archiviata senza che sia fatta luce su tutto ciò che è accaduto.

Promotori: la famiglia di Wissem Ben Abdel Latif, Campagna LasciateClEntrare, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Associazione Sergio Piro.

Hanno già aderito molte realtà associative e personalità impegnate nella tutela dei diritti dei migranti e delle persone con sofferenza mentale, e in vari ambiti, dal welfare alla cittadinanza attiva e alla libera e corretta informazione.

Lunedì 14 marzo il Comitato ha presentato le ragioni della sua costituzione, le adesioni ricevute e quanto emerso fino ad oggi sulla morte di Wissem, in una conferenza stampa.

Per aderire al comitato si può scrivere a comitatowissem[at]gmail.com  

Pagina facebook


 

 

 

16/03/2022

L'Esercito italiano ready to move per il warfighting

 Leggete la circolare dello Stato Maggiore dell'Esercito datata 9 marzo, con la quale l'esercito italiano si prepara a combattere.


 

31/01/2022

PAOLO PERSICHETTI
Mille anime morte

 Paolo Persichetti, Insorgenze, 30/1/2022

Dall’urna dove mille anime morte depositavano la loro schede per l’elezione del presidente della repubblica sono usciti tanti nomi: cariatidi imparentate con i palazzinari, capi dei servizi segreti, pornostar, allenatori, presidenti di squadre di calcio, costituzionalisti, banchieri, magistrati, signore in visone, imprenditori scesi in politica. Una sola volta è apparso il nome di Emilio Scalzo, notav estradato in Francia per il suo sostegno ai migranti contro ogni frontiera. 

Nessuno ha scritto il nome di Lorenzo Parelli, lo studente diciottenne vittima di quel sistema di creazione di manodopera senza costo e precarizzazione assoluta che è l’alternanza scuola-lavoro, morto appena tre giorni prima che le camere si riunissero in seduta congiunta. Alla fine è passato l’unico nome che potesse garantire lo status quo, la garanzia dello stipendio ancora per i pochi mesi che mancano alla fine della legislatura.

Una volta si sarebbe detto che questo ceto parlamentare dava l’immagine di un mondo completamente scollato dal Paese. Oggi invece sembrano esserne la quasi perfetta rappresentazione. Scrivo «quasi» perché da qualche parte c’è un pezzo di società che da questo mondo non è rappresentato e mi auguro che non voglia esserlo, ma fare in proprio. Certo è solo, isolato, in un angolo, come quegli studenti che hanno manifestato e sono stati caricati dalla polizia per ricordare Lorenzo e pretendere che il diritto allo studio sia liberato dalla schiavitù salariale e dal comando dell’impresa.