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10/09/2023

LUIS CASADO
Allende e io
Ricordi d’infanzia

Luis Casado, 10/9/2023
Tradotto da
Fausto Giudice, Tlaxcala

Non ho mai saputo come mio padre riuscisse a darci così tanto con il suo modesto stipendio di operaio panettiere.

La lettura e i viaggi erano al primo posto di quel tanto. Per decenni mio padre ha collezionato le riviste sportive Estadio (Santiago), El Gráfico (Buenos Aires) e altre, e ogni settimana ci comprava chili di fumetti, racconti e libri vari. Mia madre leggeva romanzi e El Fausto, un settimanale per signore che riportava racconti romantici a puntate. Ecco da dove viene il mio amore per i libri, dall’incoraggiamento di un padre che non aveva finito il terzo anno di scuola elementare, ma che amava leggere. 

 

I viaggi avevano sempre la stessa meta: l’arcipelago di Chiloé, più precisamente Achao, sull’isola di Quinchao. Arrivarci a quei tempi - gli anni Cinquanta - era un’avventura indimenticabile.

Da San Fernando a Puerto Montt si viaggiava su un vecchio treno trainato da una locomotiva trasandata, manovrata dai tiznados [i fuligginosi], i lavoratori dell’Impresa di Ferrovie dello Stato, così chiamati perché i loro volti portavano il segno indelebile del carbone.

Il treno si muoveva con una piacevole e dolce lentezza. Ci volevano non meno di 14 ore per coprire i 700 km, senza contare le numerose fermate nei capoluoghi di provincia. Se si apriva un finestrino si rischiava di ricevere una scoria di carbone negli occhi. Di tanto in tanto, un uomo in giacca bianca e molto formale passava e ti offriva qualcosa da bere e da mangiare: il servizio era impeccabile, ma troppo caro per le nostre magre borse.

A Puerto Montt si passava la mezza notte in una locanda, fino alle prime ore del mattino successivo, quando il vaporetto salpava per l’isola di Quinchao.

Ad Achao non c’era (e ancora non c’è) né porto né molo di attracco: si sbarcava in mezzo all’oceano scendendo una stretta scala, situata sui fianchi del piroscafo, fino alle barche a remi che venivano a prenderti e sulle quali si saltava, rischiando di precipitare nelle gelide acque del Pacifico meridionale insieme a valigie, borse e fascine varie.

Quando si arrivava alla spiaggia di Achao ci si toglieva le scarpe, si arrotolavano i pantaloni e ci si tuffava in acqua. Così si arrivava, camminando, a destinazione. C’era Luis Soto Romero, mio nonno, sindaco del paese, che esercitava la sua pratica. Mio padre, scherzando, lo aveva soprannominato il Cacique.

Mio nonno era stato praticante nell’esercito. Ad Achao, da civile, era infermiere, ostetrico, chirurgo in chirurgia minore, autorità pubblica, portavoce, giudice di pace... insomma, un cacique.

Mio nonno era un socialista, uno di quelli di allora, da non confondere con quelli di oggi: mio nonno non ha mai avuto alcun canonicato, né ha mai creato alcuna fondazione. Vi sorprenderebbe sapere che era amico e compagno di un certo Salvador Allende?

Proprio così. Salvador Allende.

 

Nel 1958, non avevo ancora 10 anni, quando mio nonno mi annunciò che dovevamo andare in spiaggia per incontrare il nostro candidato. Non capivo nulla di queste cose ma, insieme ai miei fratelli e a una folla di gente del posto, eravamo sulla spiaggia di Achao quando apparve in lontananza una barca a vela di pescatori.

A bordo si distinguevano chiaramente il barcaiolo che manovrava le vele e il timone e due persone vestite in giacca e cravatta, un po’ fuori posto con il luogo, il mezzo di trasporto e gli abitanti di luoghi cosi sconosciuti.

Quando la barca si avvicinò alla spiaggia, i due cittadini vestiti da città compirono il noto rituale del viaggiatore: si arrotolarono i pantaloni, si tolsero le scarpe e i calzini e si tuffarono nelle acque gelide. Uno di loro era Salvador Allende, che visitò anche i villaggi più remoti della nostra tormentata geografia nella sua ostinata determinazione a ottenere il sostegno dei cittadini necessario per diventare presidente e porre fine agli abusi e allo sfruttamento del nostro popolo, nonché al saccheggio delle nostre ricchezze di base.

Altri tempi, altri uomini, altre pratiche. Era difficile essere democratici e praticare l’esempio quotidiano di decenni di attività politica. Allende era già stato candidato nel 1952. E lo sarebbe stato ancora nel 1964, quando i miei fratelli minori scrivevano il suo nome su pagine di quaderno e andavano a incollarle in via Curalí.

Valparaiso, 1962 : Allende candidato al Senato

Era un periodo in cui, in un rituale ciclico, con una periodicità di sei anni, le “brave signore” andavano a visitare i poveri, portando qualche “regalo”. E un messaggio: votate per il candidato dell’oligarchia. Non sapevo che questo si chiamava praticare la corruttela, comprare le coscienze, spaventare gli incauti, predicare l’odio con l’aiuto fin troppo evidente della parrocchia locale.

Io, adolescente che continuava a lottare per gli ideali di suo nonno, partecipai attivamente alla campagna. Così potei constatare che non c’era luogo, per quanto piccolo e modesto, che Allende non avesse visitato nella sua lunga carriera verso l’immortalità.

In un’occasione alcuni minatori di Lota mi proposero, o meglio mi sfidarono, a venire con loro nelle gallerie da cui estraevano il carbone. Si estendevano per chilometri sotto l’Oceano Pacifico e gli incidenti erano frequenti. Ma non volevo farmi prendere dallo spavento e accettai. Confesso che entrai nelle fosse con una paura malcelata. Una volta nelle viscere della terra, il minatore che portava la lampada annunciò: ora conoscerai l’oscurità. E spense la lampada.

I momenti in cui ho sperimentato un buio indescrivibile, un silenzio sepolcrale, la perdita del senso dell’orientamento, sono stati indimenticabili. Nelle miniere di carbone non entra la luce delle stelle.

Quando finalmente uscimmo alla luce del giorno, i minatori mi rivolsero parole gentili per la mia compostezza (evidentemente non sapevano quanto fossi terrorizzato). Ma ciò che mi ha colpito di più è che hanno aggiunto:

L’unico politico che ha osato venire con noi in fondo alla miniera è stato il compañero Salvador Allende”.

Allende a Lota, 1971

In seguito, nel corso dei miei viaggi attraverso il Cile, nel nord arido e desertico, nelle montagne, nella valle centrale, nelle fabbriche, sulla costa, in ogni piccola città che ho visitato, ho potuto constatare che il “compañero” era già stato lì più di una volta, molto prima che la luce della consapevolezza politica, quella dei diritti dei cittadini, si accendesse per me.

Ora che sto raggiungendo l’età canonica, mi stupisco nel ricordare lo sforzo inimmaginabile, le innumerevoli ore, giorni, mesi e anni, le parole sempre piene di speranza e di incoraggiamento alla lotta sociale, l’impegno epico e l’esempio etico di Salvador Allende per offrire al Cile il sogno di un Paese giusto, libero e democratico.

E capisco il valore delle sue ultime parole : “Lo dico al popolo: non rinuncerò”.

Mi resta, iscritto per sempre nel posto del petto che serve a questo scopo, l’orgoglio di averlo conosciuto, di aver contribuito, microscopicamente, a fargli raggiungere La Moneda e a farlo entrare, definitivamente, nella Storia dei grandi uomini di questa Umanità.

Salvador Allende (1908-1973) nel 1938

 

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