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30/09/2024

ALAIN GRESH/SARRA GRIRA
Gaza – Libano: una guerra occidentale


Alain Gresh e Sarra Grira, Orient XXI, 30/9/2024
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Alain Gresh (Il Cairo 1948) è un giornalista francese specializzato nel Mashreq e direttore del sito web OrientXXI.

Sarra Grira ha conseguito un dottorato in letteratura e civiltà francese, con una tesi intitolata Roman autobiographique et engagement: une antinomie? (XXe siècle), ed è caporedattrice di OrientXXI.

Fino a dove si spingerà Tel Aviv? Non contento di aver ridotto Gaza a un campo di rovine e di aver commesso un genocidio, Israele sta estendendo le sue operazioni al vicino Libano, utilizzando gli stessi metodi, gli stessi massacri e le stesse distruzioni, convinto dell'indefettibile sostegno dei suoi finanziatori occidentali che sono diventati complici diretti delle sue azioni.

 

Il numero dei libanesi uccisi nei bombardamenti ha superato i 1.640 e gli “exploit” israeliani si sono moltiplicati. Inaugurati dall'episodio dei cercapersone, che ha fatto svenire molti commentatori occidentali per la “prodezza tecnologica”. Alla faccia delle vittime, uccise, sfigurate, accecate, amputate, cancellate. Si ripeterà ad nauseam che, in fondo, si trattava solo di Hezbollah, una “umiliazione”, un' organizzazione che, non dimentichiamolo, la Francia non considera un'organizzazione terroristica. Come se le esplosioni non avessero colpito l'intera società, uccidendo miliziani e civili. Eppure l'uso di trappole esplosive è una violazione delle leggi di guerra, come hanno sottolineato diversi specialisti e organizzazioni umanitari.

Gli assassinii sommari di leader di Hezbollah, compreso quello del suo segretario generale Hassan Nasrallah, ogni volta accompagnati da numerose “vittime collaterali”, non suscitano nemmeno uno scandalo. L'ultima frecciatina di Netanyahu alle Nazioni Unite è stata quella di dare il via libera al bombardamento della capitale libanese nella sede dell'organizzazione stessa.

A Gaza e nel resto dei Territori palestinesi occupati, i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ignorano ogni giorno di più i pareri della Corte internazionale di giustizia (CIG). La Corte penale internazionale (Cpi) sta ritardando l'emissione di un mandato contro Benyamin Netanyahu, anche se il suo procuratore riferisce di pressioni “da parte dei leader mondiali” e di altre parti, incluso contro lui stesso e la sua famiglia.
Abbiamo mai sentito Joe Biden, Emmanuel Macron o Olaf Scholz protestare contro queste pratiche?

Da quasi un anno una manciata di voci, che sembrerebbero quasi gli scemi del paese, denunciano l'impunità israeliana, incoraggiata dall'inazione occidentale. Una guerra del genere non sarebbe mai stata possibile senza il trasporto aereo di armi usamericane - e in misura minore europee - e senza la copertura diplomatica e politica dei paesi occidentali. La Francia, se volesse, potrebbe adottare misure che colpiscano realmente Israele, ma si rifiuta ancora di sospendere le licenze di esportazione di armi che ha concesso. Potrebbe anche fare pressione sull'Unione Europea, insieme a paesi come la Spagna, per sospendere l'accordo di associazione con Israele. Non lo sta facendo.

L'infinita Nakba palestinese e l'accelerazione della distruzione del Libano non sono solo crimini israeliani, ma anche crimini occidentali di cui Washington, Parigi e Berlino sono direttamente responsabili. Lontano dalle pose e dai teatrini dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di questi giorni, non lasciamoci ingannare dagli sfoghi finti di rabbia di Joe Biden o dai pii auspici di una “protezione dei civili” di Emmanuel Macron che non ha mai perso occasione per mostrare il suo incrollabile sostegno al governo di estrema destra di Benyamin Netanyahu. Non dimentichiamo nemmeno il numero di diplomatici che hanno lasciato la sala dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite quando il Primo Ministro israeliano ha preso la parola, in un gesto che aveva più a che fare con la catarsi che con la politica. Infatti, mentre alcuni paesi occidentali sono i principali responsabili dei crimini di Israele, altri, come la Russia e la Cina, non hanno intrapreso alcuna azione per porre fine a questa guerra, la cui portata si espande ogni giorno, estendendosi allo Yemen oggi e forse all'Iran domani.

Questa guerra ci sta facendo precipitare in un'epoca buia in cui le leggi, il diritto, le tutele, tutto ciò che impedirebbe all'umanità di sprofondare nella barbarie, vengono metodicamente abbattute. Un'epoca in cui una parte ha deciso di mettere a morte l'altra parte, giudicandola “barbara”. “Nemici selvaggi“, secondo le parole di Netanyahu, che minacciano la ”civiltà giudeo-cristiana”. Il Primo Ministro sta cercando di trascinare l'Occidente in una guerra di civiltà con sfumature religiose, in cui Israele si vede come avamposto in Medio Oriente. Con indubbio successo.

Con le armi e le munizioni che continuano a fornire a Israele, con il loro incrollabile sostegno a un  “diritto all'autodifesa” fasullo, con il loro rifiuto del diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e a resistere a un'occupazione che la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale e ha ordinato di fermare - una decisione che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si rifiuta di attuare - questi paesi sono responsabili dell'arroganza di Israele. In quanto membri di istituzioni prestigiose come il Consiglio di Sicurezza dell'ONU e il G7, i governi di questi Stati avallano la legge della giungla imposta da Israele e la logica della punizione collettiva. Questa logica era già all'opera in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, con risultati già noti. Nel 1982, Israele invase il Libano, occupò il sud, assediò Beirut e supervisionò i massacri nei campi palestinesi di Sabra e Shatila. È stata questa macabra “vittoria” a portare all'ascesa di Hezbollah, proprio come la politica di occupazione di Israele ha portato al 7 ottobre. Perché la logica della guerra e del colonialismo non può mai portare alla pace e alla sicurezza.

 

25/09/2024

PUBLISHERS FOR PALESTINE
International publishers demand Frankfurt Book Fair cut ties with Israel
Des éditeur·trices du monde demandent à la Foire du livre de Francfort de couper ses liens avec Israël
Editorxs del mundo exigen que la Feria del Libro de Fráncfort corte sus lazos con Israel
Internationale VerlegerInnen fordern Frankfurter Buchmesse auf, Beziehungen zu Israel abzubrechen
Editori·trici del mondo chiedono alla Fiera del Libro di Francoforte di tagliare i ponti con Israele



@publishers4palestine

@pubforpalestine

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PRESS RELEASE
 For immediate release

Publishers for Palestine Open Letter to the Frankfurt Book Fair
Contact: Publishers for Palestine
publishersforpalestine[at]gmail[dot]com 

 24 September 2024                                                                         

International publishers demand Frankfurt Book Fair cut ties with Israel

We international publishers stand in solidarity with the people of Palestine, and with resisters of Israeli apartheid and genocide within Germany, including the organizers and participants of the Palestine Congress that was brutally and undemocratically shut down by German authorities. 

While a massive wave of writers, artists and cultural institutions worldwide speaks out for Palestinian liberation, enraged by Western complicity in Israel’s war crimes, crimes against humanity and genocide, the crime of crimes, many German institutions insist on isolating themselves from the world by attempting to censor those expressions of solidarity, contrary even to German public opinion, which generally opposes Israel’s military actions in Gaza. 

Even Pop-Kultur Berlin was forced to dump its years-long partnership with the Israeli embassy after many artists boycotted the flagship German music festival. Many federal German politicians and Berlin senators condemned the campaign, which nonetheless compelled the publicly-funded event to conclusively abandon its partnership with genocidal Israel.

Frankfurt Book Fair, the largest and oldest international book fair in the world, is also complicit in the German state’s deep involvement in Israel’s crimes against the Palestinian people. Despite supposedly standing for “respect, diversity and tolerance”, through its financial operations and cultural presence the fair is enmeshed in Germany’s financial, military, and diplomatic support for Israel’s genocide, and last year engaged in shameful repression of solidarity with Palestine.

As Publishers for Palestine, a coalition of 500 book publishers from 50 countries around the world, we call upon the Frankfurt Book Fair to undertake the following:

1.      Publicly denounce Israel’s regime of genocide and setter-colonial apartheid against the Palestinian people.

2.     Adhere to the long-standing calls from Palestinian civil society, including the absolute majority of writers, scholars, and cultural institutions, to refuse professional engagements with Israeli cultural institutions that are complicit in whitewashing or justifying Israel’s oppression against Palestinians. This means refusing collaboration with Israeli book publishers, including their participation in the Frankfurt Book Fair, unless those institutions fulfil the basic demands to affirm the legally enshrined rights of the Palestinian people according to international law, including refugees’ rights.

3.     Acknowledge and denounce Israel’s deliberate targeting of writers, academics, journalists, book publishers, schools, universities, libraries, archives, and all cultural producers and caretakers of the written word in Gaza and Palestine, acknowledging that these attacks on culture, language, history, and art, are part of a genocidal project that seeks to erase Palestinian life and culture.

4.    Create programming for Frankfurt 2024 that prominently features Palestinian writers, publishers, and narratives, in a way that does not attempt to mask or minimize the truth of Palestinian history, and that does not attempt to minimize or omit the truth of the current Israeli occupation and genocide of Palestinians.

We invite fellow book publishers and writers—particularly those in Germany, and in other countries whose governments, corporations and institutions remain supportive of and complicit in Israel’s genocide and apartheid—to join us in endorsing and amplifying the above demands being made by the international publishing industry of the Frankfurt Book Fair.

Publishers for Palestine

COMMUNIQUÉ DE PRESSE
Pour publication immédiate

Lettre ouverte de Publishers for Palestine à la Foire du livre de Francfort
Contact : Publishers for Palestine/
Éditeurs-Éditrices pour la Palestine
publishersforpalestine[at]gmail[dot]com

24 septembre 2024

Des éditeurs du monde demandent à la Foire du livre de Francfort de couper ses liens avec Israël

Nous, éditeurs du monde, sommes solidaires du peuple de Palestine et des résistants à l’apartheid et au génocide israéliens en Allemagne, y compris les organisateurs et les participants du Congrès de la Palestine qui a été brutalement fermé de manière antidémocratique par les autorités allemandes.

Alors qu’une vague massive d’écrivains, d’artistes et d’institutions culturelles du monde entier s’exprime en faveur de la libération de la Palestine, furieux de la complicité occidentale dans les crimes de guerre, les crimes contre l’humanité et le génocide par Israël, le crime des crimes, de nombreuses institutions allemandes insistent pour s’isoler du monde en tentant de censurer ces expressions de solidarité, contrairement même à l’opinion publique allemande, qui s’oppose généralement aux actions militaires d’Israël dans la bande de Gaza.

Même Pop-Kultur Berlin a été contraint de mettre fin à son partenariat de plusieurs années avec l’ambassade d’Israël après que de nombreux artistes ont boycotté le festival phare de la musique allemande. De nombreux politiciens allemands et sénateurs berlinois ont condamné cette campagne, qui a néanmoins contraint l’événement financé par des fonds publics à abandonner définitivement son partenariat avec l’État génocidaire d’Israël.

La Foire du livre de Francfort, la plus grande et la plus ancienne foire internationale du livre au monde, est également complice de l’implication profonde de l’État allemand dans les crimes commis par Israël contre le peuple palestinien. Bien qu’elle soit censée défendre « le respect, la diversité et la tolérance », la foire, par ses opérations financières et sa présence culturelle, est liée au soutien financier, militaire et diplomatique de l’Allemagne au génocide israélien et s’est livrée l’année dernière à une répression honteuse de la solidarité avec la Palestine.

En tant qu’éditeurs·éditrices pour la Palestine, une coalition de 500 éditeurs de livres de 50 pays à travers le monde, nous demandons à la Foire du Livre de Francfort de prendre les mesures suivantes :

1. Dénoncer publiquement le régime israélien de génocide et d’apartheid colonial contre le peuple palestinien.

2. Adhérer aux appels de longue date de la société civile palestinienne, y compris la majorité absolue des écrivains, des universitaires et des institutions culturelles, pour refuser les engagements professionnels avec les institutions culturelles israéliennes qui sont complices du blanchiment ou de la justification de l’oppression d’Israël contre les Palestiniens. Cela signifie refuser toute collaboration avec les éditeurs de livres israéliens, y compris leur participation à la Foire du livre de Francfort, à moins que ces institutions ne satisfassent aux exigences fondamentales d’affirmation des droits du peuple palestinien consacrés par le droit international, y compris les droits des réfugiés.

3. Reconnaître et dénoncer le ciblage délibéré par Israël des écrivains, des universitaires, des journalistes, des éditeurs de livres, des écoles, des universités, des bibliothèques, des archives et de tous les producteurs culturels et gardiens de l’écrit à Gaza et en Palestine, en reconnaissant que ces attaques contre la culture, la langue, l’histoire et l’art font partie d’un projet génocidaire qui cherche à effacer la vie et la culture palestiniennes.

4. Créer une programmation pour Francfort 2024 qui mette en avant les écrivains, les éditeurs et les récits palestiniens, d’une manière qui ne tente pas de masquer ou de minimiser la vérité de l’histoire palestinienne, et qui ne tente pas de minimiser ou d’omettre la vérité de l’occupation israélienne actuelle et du génocide des Palestiniens.

Nous invitons nos collègues éditeur·trices et écrivain·es - en particulier ceux·celles d’Allemagne et d’autres pays dont les gouvernements, les entreprises et les institutions continuent à soutenir le génocide et l’apartheid israéliens et à s’en rendre complices - à se joindre à nous pour soutenir et amplifier les demandes ci-dessus formulées par l’industrie internationale de l’édition à la Foire du livre de Francfort.

Éditeurs-Éditrices pour la Palestine

COMUNICADO DE PRENSA
Para publicación inmediata

Carta abierta de Publishers for Palestine a la Feria del Libro de Fráncfort  
Contacto: Editorxs por Palestina
publishersforpalestine[at]gmail[dot]com

24 de septiembre de 2024

Editores del mundo exigen que la Feria del Libro de Fráncfort corte sus lazos con Israel

Nosotres, editores del mundo, nos solidarizamos con el pueblo de Palestina y con quienes se resisten al apartheid y al genocidio israelíes en Alemania, incluidos los organizadores y participantes del Congreso Palestino que fue brutal y antidemocráticamente clausurado por las autoridades alemanas.

02/09/2024

Trattamento arbitrario dei rifugiati gazesi in Francia

La giustizia francese di fronte al dilemma dell'espulsione dei palestinesi

Nonostante le decisioni prefettizie di espulsione, i giudici non sono in grado di convalidare le richieste a causa della situazione sul campo. La detenzione di alcuni cittadini stranieri viene prolungata, anche se questo sistema dovrebbe essere applicato solo a coloro la cui espulsione è imminente.

Christophe Ayad e Julia Pascual, Le Monde, 30/8/2024

Tradotto da Giulietta Masinova, Tlaxcala

Era la sesta persona a comparire davanti al giudice delle libertà e della detenzione mercoledì 28 agosto. In questo annesso della pretura accanto al centro di ritenzione amministrativa (CRA, equivalente dei CPR italiani) di Mesnil-Amelot (Seine-et-Marne), il giudice si pronuncia ogni giorno sulla proroga della ritenzione di cittadini stranieri richiesta dall'amministrazione. A pochi passi, gli aerei decollano continuamente dalle piste dell'aeroporto di Roissy-Charles-de-Gaulle.


 

Il centro di ritenzione amministrativa di Mesnil-Amelot (Seine-et-Marne), 6 maggio 2019. CHRISTOPHE ARCHAMBAULT / AFP

In linea di principio, le persone trattenute in ritenzione amministrativa dovrebbero essere espulse entro un massimo di novanta giorni. Ma Issa (le persone citate sona state anonimizzate) non ha praticamente alcuna possibilità di essere espulso. E per una buona ragione: è di Gaza. Il suo avvocato, Samy Djemaoun, ha dichiarato quel giorno: “Non c'è alcuna prospettiva che venga espulso”, anche se la legge stabilisce che uno straniero può essere trattenuto solo “per il tempo strettamente necessario alla sua partenza”.A Gaza c'è una situazione di violenza indiscriminata, non c'è un metro quadrato che non sia bombardato, quindi andare a Gaza significa andare a uccidersi”, ha sostenuto Djemaoun. “E la Palestina non ha alcun controllo sulle sue frontiere esterne, quindi chiedere alla Palestina un lasciapassare consolare è inutile”.

Eppure è quello che ha fatto il prefetto di Seine-Saint-Denis, mettendo Issa in ritenzione ad agosto e rivolgendosi alle autorità palestinesi per il suo allontanamento - anche se la Francia non riconosce lo Stato palestinese. Il 34enne, padre di due bambini francesi e marito di una donna francese, è arrivato in Francia nel 2010. Nel giugno 2022, gli è stata inflitta una pena detentiva di quattro mesi con sospensione condizionale e un divieto di ingresso in Francia per cinque anni per aver introdotto clandestinamente in Francia due siriani. Il suo nome compare anche - sebbene non sia stato condannato - in casi di furto, violenza, danni alla proprietà privata e frode. Secondo le autorità francesi, egli costituisce una “minaccia per l'ordine pubblico”.

“Aberrazione”

Nella tarda serata di mercoledì, il giudice ha infine deciso di rilasciarlo, adducendo un'irregolarità procedurale. Molte altre persone come lui sono state trattenute. In totale, dall'inizio dell'anno, secondo i dati raccolti da Le Monde presso diverse associazioni che lavorano nei CRA, sono stati arrestati quasi venti cittadini palestinesi. Secondo il Ministero degli Interni, tre sono ancora detenuti. In ogni occasione, la Francia si è rivolta alle autorità consolari palestinesi al fine di identificarli ed espellerli. Tuttavia, nessuna di queste persone è stata deportata in Palestina.

Alcuni sono stati invece rimandati in uno Stato di cui erano cittadini, come l'attivista palestinese di estrema sinistra Mariam Abudaqa, che doveva partecipare a diverse conferenze sul conflitto israelo-palestinese e che è stata espulsa verso l’ Egitto nel novembre 2023. Alcuni palestinesi sono stati espulsi anche in un altro Paese europeo dove avevano un permesso di soggiorno o una richiesta di asilo in corso. Altri sono stati infine rilasciati. Per Claire Bloch, della Cimade, un'associazione di aiuto ai migranti, "è un'aberrazione che i giudici prolunghino la ritenzione quando non c'è alcuna possibilità di deportazione in Palestina. E se ci fosse, sarebbe una violazione dell'articolo 3 della CEDU (Convenzione europea dei diritti umani), che vieta la tortura”.

Tuttavia, in una decisione del 16 giugno, un giudice di Bordeaux ha prorogato la ritenzione di un gazese con la motivazione principale che “le autorità consolari di Palestina e Israele sono state informate”. L'uomo rimane tuttora in stato di ritenzione. In un'altra decisione emessa il 17 luglio, questa volta da un giudice di Lille, la ritenzione di un palestinese è stata prorogata di 30 giorni con la motivazione che “una richiesta di lasciapassare consolare era stata presentata alla missione palestinese in Francia”, anche se non era stata ricevuta alcuna risposta.

Secondo una fonte del Ministero dell'Interno, “non esiste un divieto a priori di espulsione verso qualsiasi Paese, anche se ci possono essere impossibilità tecniche o diplomatiche”. Questa fonte sostiene anche che alcune persone che rivendicano la nazionalità palestinese sono in realtà originarie di un altro Paese.

“Rischio di trattamenti disumani”

Le persone ritenute sono principalmente stranieri che rappresentano una minaccia per l'ordine pubblico”, aggiunge Place Beauvau (sede del ministero deli Interni). Ciò si riflette in particolare nelle condanne penali che comportano l'inammissibilità. L'amministrazione non esita a far valere questo punto davanti al giudice delle libertà e della detenzione. “La ritenzione non dovrebbe essere un mezzo per regolare la sicurezzae, afferma Claire Bloch. “È un uso improprio della legge sull'immigrazione ai fini della repressione”.

Giovedì 29 agosto, Djemaoun  si è presentato in tribunale per difendere un altro palestinese, Youssef, trattenuto/ritenuto dal 9 agosto a Mesnil-Amelot. Il prefetto di Seine-Saint-Denis ha deciso di espellerlo dopo una serie di condanne, tra cui una seconda condanna per ricettazione di telefoni cellulari rubati e l'interdizione dal territorio francese. Il 23 agosto, il tribunale amministrativo di Montreuil ha annullato la decisione di determinare il Paese di rimpatrio con la motivazione che la sua espulsione in Palestina lo avrebbe esposto a “un rischio di trattamento inumano o degradante”, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani.

Tuttavia, un giudice di Meaux ha respinto la sua richiesta di rilascio. Egli ha presentato ricorso contro questa decisione. "Il prefetto, nonostante l'annullamento del Paese di ritorno, ha chiesto al Marocco di accoglierlo. Perché il Marocco? Non lo sappiamo”, ha detto Djemaoun ironicamente al giudice. “Se non c'è possibilità di partenza, cosa ci fa il mio cliente in ritenzione?” L'avvocato della prefettura si affanna a dare una risposta sul perché abbia scelto il Marocco, con cui Youssef non ha alcun legame. Il 29 agosto, il giudice ha infine deciso di mantenerlo in ritenzione con la motivazione che la prefettura aveva preso “provvedimenti” - senza ancora ottenere risposta - per espellerlo in Marocco.

Durante la ritenzione amministrativa a Mesnil-Amelot, Youssef, che viveva in Francia dal 2003, ha presentato una domanda di asilo. L'Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi ha respinto la sua domanda perché non si è presentato il giorno del colloquio previsto - era malato e aveva comunicato la sua indisponibilità. L'interessato intende presentare ricorso al Tribunale nazionale del diritto d’asilo.

15/07/2024

FADWA ISLAH
Dopo l'Algeria, il Marocco: nuove rivelazioni sui legami di Jordan Bardella con il Maghreb

  

 

Fadwa Islah, Jeune Afrique, 28/6/2024

Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Dopo aver indagato sulle origini algerine del presidente del Raggruppamento Nazionale, Jeune Afrique ha seguito le orme del nonno paterno, a Casablanca. Rivelazioni esclusive.

Se il presidente del Raggruppamento Nazionale, Jordan Bardella, non si è mai trattenuto dal sottolineare le sue origini italiane, soprattutto per illustrare il modello di assimilazione che difende politicamente, ha sempre ignorato i legami della sua famiglia con il Maghreb.

Permesso di residenza 

Innanzitutto quelli del bisnonno Mohand Séghir Mada, un operaio immigrato algerino arrivato dalla Cabilia in Francia negli anni ‘30 [leggi qui]. Ma anche quelle del nonno paterno, Guerrino Bardella. Si sposò dapprima con Réjane Mada, del ramo algerino della famiglia, e la coppia diede alla luce, nel 1968, Olivier Bardella, padre del potenziale futuro primo ministro francese [questo articolo è stato pubblicato prima del primo turno elettorale, NdT]. Successivamente la coppia divorziò e Guerrino si stabilì in Marocco, dove sposò la sua seconda moglie, una donna marocchina, di nome Hakima.

Sebbene non si conosca la data esatta del matrimonio, il minimo che si possa dire è che risale a diversi anni fa: l’ultimo permesso di soggiorno in Marocco di Guerrino Italo Bardella, ottenuto per “ricongiungimento familiare”, secondo le informazioni di cui dispone Jeune Afrique, è stato rilasciato nel 2016 per un periodo di dieci anni.

Ciò significa che non si trattava del suo primo permesso di soggiorno in Marocco, ma di un rinnovo.

Conversione all’Islam

Con la nuova moglie, questo pensionato, ottantenne dal 1° aprile 2024, vive felicemente a Casablanca, nel quartiere di Bourgogne. Il matrimonio con Hakima implica la sua conversione all’Islam, secondo la legge in vigore in Marocco, che prevede che un cittadino non possa sposare uno straniero di fede non musulmana se prima non si è ufficialmente convertito davanti a un adul (autorità giuridica religiosa) e a diversi testimoni.

Guerrino Bardella è noto come falegname ed ebanista, lavora negli ambienti degli espatriati e della borghesia marocchina ed è registrato nel Regno come cittadino italiano. Come molti dei suoi connazionali che vivono nella capitale economica del Marocco, da tempo frequenta il ristorante del Circolo italiano “Chez Massimo” in boulevard Bir Anzarane nel quartiere del Maarif.

Un futuro migliore

Nato nel 1944 ad Alvito, in provincia di Frosinone, nel Lazio, in una famiglia di quattro figli - ha una sorella, Giovanna, e due fratelli: Honoré Roger e Silvio Ascenzo, tutti e tre deceduti - il figlio di un muratore arriva a Montreuil, in Francia, nel 1960, in cerca di un futuro migliore. Nel 1963 sposò Réjane Mada, figlia di Mohand Séghir Mada.

Poco si sa del rapporto di Jordan Bardella con il nonno, che si era convertito all’Islam e si era stabilito in Marocco. Ancora meno si sa del suo rapporto con le origini algerine, che il Presidente del RN non ha mai menzionato pubblicamente.

 

12/07/2024

Anne Applebaum, horresco referens

EN DE FR ES IT 


Anne Applebaum, the killing messenger
or
the Messenger’s killer

In a moment of disgrace for the German publishing industry, Anne Applebaum has been named recipient of the 2024 Peace Prize of the German Book Trade, an annual award of the German Publishers and Booksellers Association. The Frankfurt Book Fair has also publicly congratulated Applebaum, who is scheduled to receive the award during FBM 2024 on October 20th. The Peace Prize award ceremony will take place on Sunday, October 20, 2024, in Frankfurt's Paulskirche and will be broadcast live on ARD at 10:45 a.m. The Peace Prize has been awarded since 1950 and is endowed with 25,000 euros.
In 2002, Applebaum wrote an article in ‘Slate’ praising the destruction of Palestinian radio and television outlets entitled, “
Kill the Messenger : Why Palestine radio and TV studios are fair targets in the Palestine/Israeli war.“
In 2021, the British Royal Society of Literature (RSL) presented Applebaum with
a fellowship.

Applebaum has been married since 1992 to Radosław Sikorski, the right-wing Polish politician famous for his “Thank you USA” tweet hailing the explosion of the North Stream gas pipeline in September 2022.

Anne Applebaum, die Todesbotin
oder
die Mörderin des Boten

In einem für die deutsche Verlagsbranche beschämenden Moment wurde Anne Applebaum zur Trägerin des Friedenspreises des Deutschen Buchhandels 2024 ernannt, einer jährlichen Auszeichnung des Börsenvereins des Deutschen Buchhandels. Auch die Frankfurter Buchmesse hat Applebaum öffentlich gratuliert, die den Preis während der FBM 2024 am 20. Oktober entgegennehmen wird. Die Verleihung des Friedenspreises findet am Sonntag, 20. Oktober 2024, in der Frankfurter Paulskirche statt und wird live um 10:45 Uhr in der ARD übertragen. Der Friedenspreis wird seit 1950 vergeben und ist mit 25.000 Euro dotiert.

 Im Jahr 2002 schrieb Applebaum einen Artikel in ‚Slate‘, in dem sie die Zerstörung palästinensischer Radio- und Fernsehsender lobte, mit dem Titel „Kill the Messenger : Why Palestine radio and TV studios are fair targets in the Palestine/Israeli war“ [Töte den Boten: Warum palästinensische Radio- und Fernsehstudios im palästinensisch-israelischen Krieg gute Ziele sind].
 Im Jahr 2021 verlieh die britische Royal Society of Literature (RSL) Applebaum ein Stipendium.

Applebaum  ist seit 1992 mit Radosław Sikorski verheiratet, dem rechten polnischen Politiker, der für seinen Tweet „Thank you USA“ bekannt ist, mit dem er die Explosion der North-Stream-Pipeline im September 2022 begrüßte.

Anne Applebaum, la messagère létale
ou
la tueuse du messager

Dans un moment de honte pour l'industrie allemande de l'édition, Anne Applebaum a été nommée lauréate du Prix de la paix 2024 du commerce du livre allemand, une récompense annuelle de l'Association des éditeurs et des libraires allemands. La Foire du livre de Francfort a également félicité publiquement Applebaum, qui devrait recevoir le prix lors de la FBM 2024, le 20 octobre. a remise du Prix de la paix aura lieu le dimanche 20 octobre 2024 dans la Paulskirche de Francfort et sera retransmise en direct à 10h45 sur la chaîne ARD. Le Prix de la paix est décerné depuis 1950 et est doté de 25.000 euros.
En 2002, Applebaum avait écrit un article dans Slate faisant l'éloge de la destruction des stations de radio et de télévision palestiniennes, intitulé « Kill the Messenger : Why Palestine radio and TV studios are fair targets in the Palestine/Israeli war » [Tuez le messagerr : Pourquoi les studios de radio et de télévision palestiniens sont des cibles légitimes dans la guerre israélo-palestinienne].

08/07/2024

HAMZA HAMOUCHENE
La psicologia dell’oppressione e della liberazione
Cosa direbbe Fanon del genocidio in corso in Palestina?

Hamza Hamouchene, Africa is a Country, 28/6/2024
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala


Hamza Hamouchene
è un ricercatore e attivista algerino residente a Londra. Attualmente è coordinatore del programma Nord Africa presso il Transnational Institute (TNI). @BenToumert

Per l'Europa, per noi stessi e per l'umanità, compagni, bisogna rinnovarsi, sviluppare un pensiero nuovo, tentare di metter su un uomo nuovo.
- Frantz Fanon, I dannati della terra


 

26/06/2024

Le origini algerine di Jordan Bardella: indagine su un tabù

Farid Alilat, Jeune Afrique, 24/6/2024
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Il bisnonno di Jordan Bardella, presidente del Rassemblement National, era un lavoratore algerino immigrato. Si era stabilito nella regione di Lione, in Francia, all’inizio degli anni Trenta. Abbiamo indagato su questo antenato nel suo villaggio in Cabilia e a Parigi.

Jordan Bardella à Villepinte le 19 juin 2024. © Daniel Dorko / Hans Lucas / Hans Lucas via AFP

Jordan Bardella a Villepinte il 19 giugno 2024. Daniel Dorko / Hans Lucas via AFP

Jordan Bardella, presidente del Rassemblement National e possibile futuro primo ministro, non parla mai delle origini algerine del suo bisnonno. Nella famiglia Bardella l’argomento è taciuto. All’interno dell’ex Front National di Marine Le Pen, la questione è tabù. Eppure Mohand Séghir Mada, il bisnonno di Bardella, proveniva davvero dalla Cabilia, in Algeria.

Jeune Afrique è andata alla ricerca di questo antenato e della sua famiglia, nel suo villaggio natale di Guendouz, capoluogo del comune di Aït Rzine, nella wilaya (provincia) di Bejaïa*. Erano gli anni ‘20. L’Algeria era allora “francese” e, in questo piccolo villaggio aggrappato alle montagne che si affacciano sulla valle del Soummam, la popolazione sopravviveva coltivando magri campi di ulivi e allevando capre e pecore. Qui, come altrove in Cabilia, la povertà è ovunque. All’epoca, Albert Camus, scrittore e futuro premio Nobel per la letteratura, ne fu talmente colpito da dedicarvi una serie di reportage, apparsi nel 1939 sul quotidiano Alger Républicain con il titolo “Misère de Kabylie” (“Miseria in Cabilia”).

Qui non c’erano fabbriche, né fattorie coloniali, né fabbriche per dare lavoro ed evitare la fame. In effetti, furono proprio la miseria e la fame a spingere centinaia di migliaia di cabili a emigrare dall’inizio del XX secolo per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere della Francia metropolitana. Nel villaggio di Guendouz, la famiglia Mada lotta per sopravvivere. L’indigenza è tale che Tahar Mada e i suoi due figli Bachir, il maggiore, e Mohand Séghir, il più giovane, sono costretti a vendere i loro oliveti o a ipotecarne alcuni.

 Guendouz, dans la wilaya (département) de Bejaïa, le village natal de Mohand Séghir Mada.

Guendouz, nella wilaya (provincia) di Bejaïa, il villaggio natale di Mohand Séghir Mada

11/06/2024

Gustavo Petro: discorso di accettazione del Gran Collare dello Stato di Palestina

Gustavo Petro, Bogotà, 3 giugno 2024
Tradotto da Giulietta Masinova, Tlaxcala

Il 3 giugno 2024, a Bogotà, il Presidente colombiano Gustavo Petro è stato insignito del Gran Collare dello Stato di Palestina, il più alto ordine civile dello Stato di Palestina. Di seguito il suo discorso di accettazione



Foto
: Andrea Puentes - Presidenza della Colombia

“I giovani che escono dalle università degli Stati Uniti, dell'Europa, dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina sono l'espressione genuina di una nuova umanità che, se sopravvive, costruirà un mondo diverso, lontano dal materiale, molto più radicato nella frugalità, ma soprattutto nella saggezza e nella conoscenza, dove l'umanità non trova più pagine dove esseri umani uccidono altri esseri umani”.

Nel corso della mia vita ho ricevuto molte decorazioni. Le prime alla scuola, che sono quelle che ricordo di più; le medaglie di eccellenza che mi ha conferito Padre Pedro - l'ultima non voleva darmela, ma me l'ha data - e devo dirvi che questa è forse la più preziosa che ho ricevuto per il significato che indubbiamente ha nella storia del mondo, nella storia della resistenza e ora in questi giorni fatidici che stiamo vivendo, che segnano un prima e un dopo nella storia dell'umanità.

Non è un evento qualsiasi quello a cui stiamo assistendo: sono i nuovi segni di un mondo terribile, ma che deve anche essere riempito di speranza. Non è un mondo come lo sognava Fukuyama, senza contraddizioni, totalmente pacifico. È un mondo profondamente stressato dalla politica, forse più che nel XX secolo, che ha vissuto due guerre mondiali, che ha vissuto la rivoluzione socialista per gran parte del secolo.