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06/10/2025

TIGRILLO L. ANUDO
Le flottiglie che vengono sequestrate ogni giorno


Tigrillo L. Anudo, 6 ottobre 2025
Tradotto da Tlaxcala

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Il mondo cambia poco. Si ripetono schemi storici. Il passato non se n’è mai andato. La cosificazione degli esseri umani continua. La colonizzazione è all’ordine del giorno. La pirateria nelle acque internazionali rinasce con altri attori (chi si è infine tenuto gli aiuti e gli averi degli occupanti della flottiglia umanitaria diretta a Gaza?). Vengono definiti “terroristi” coloro che intraprendono azioni a favore della giustizia.


Il sequestro della Flottiglia Globale Sumud, che portava aiuti umanitari al popolo tormentato di Gaza, è ciò che accade quotidianamente in molti paesi. Sta accadendo proprio ora in Ecuador, Perù, Argentina, dove le politiche neoliberiste sottomettono la popolazione alla fame, alla mancanza di assistenza sanitaria, di istruzione, di alloggio, di lavoro — a una morte lenta.

La differenza è che non si tratta di flottiglie che viaggiano per mare. Sono flottiglie di investimento sociale che restano sequestrate nei Congressi e nelle Assemblee pluto­cratiche e corrotte. La differenza sta nel fatto che questa pratica del capitalismo globale diventa più visibile in una nazione invasa, massacrata e umiliata dall’ideologia sionista, concezione di uno Stato suprematista che realizza una pulizia etnica contro coloro che considera “inferiori” e “terroristi”.

Nei paesi menzionati sono sequestrati i diritti umani di altre etnie (indigeni, afrodiscendenti, contadini, operai meticci), operano regimi dittatoriali, repressivi e antidemocratici. Non uccidono con aerei bombardieri e intelligenza artificiale, ma con la negazione della dignità umana, ignominia resa invisibile dai mezzi di comunicazione imprenditoriali e dagli apparati educativi che programmano analfabeti politici.

Tutto è articolato. Daniel Noboa (presidente dell’Ecuador), Dina Boluarte (presidente del Perù) e Javier Milei (presidente dell’Argentina) sono alleati del governo sionista di Netanyahu. Come loro, Donald Trump (presidente degli Stati Uniti) e altri presidenti di nazioni europee fanno affari con il regime di Israele che difendono. Anche se alcuni governi europei hanno respinto a parole le azioni terroristiche dello Stato israeliano in Palestina (tra questi Italia e Spagna), hanno finito per abbassare la testa di fronte al genocidio. Non c’è fermezza nel rifiuto. Hanno paura di assumere posizioni decise, non vogliono uscire dal Club dei potenti complici del mondo.

Il governo degli USA segue l’ideologia sionista, è il suo riferimento. È l’alleato naturale di coloro che incarnano ciò che è più caratteristico del capitalismo 2.0: usura, controllo delle banche e del sistema finanziario, gestione delle industrie più redditizie, produzione di armi e tecnologie di sorveglianza, servizi di spionaggio e tecniche di combattimento contro i “nemici interni”, sviluppi di Intelligenza Artificiale che aumentano lo sfruttamento del lavoro e la disoccupazione. Il capitalismo 2.0 fa avanzare la tecnologia e arretra l’umanità.

Israele insegna agli USA come fare affari, coinvolgendoli come partner in un ambizioso progetto alberghiero in territorio palestinese. Né il Diritto Internazionale né i Diritti Umani fermano il tasso di profitto. Il mondo politico elitario continua, in gran parte, a essere molto permissivo con il genocidio a Gaza. Conviene loro. Sono i fili invisibili degli interessi commerciali e diplomatici che predominano nell’agenda delle politiche estere. Prevale l’economia politica, non l’etica né la solidarietà internazionale.

Nemmeno i romanzi distopici del XX secolo avevano previsto l’utopia negativa che il mondo vive oggi. Un piccolo paese con un esercito potente, sostenuto dall’impero usamericano, “difende” il proprio diritto a commettere un genocidio. Inoltre, considera l’atto di portare cibo, acqua, medicine e altri aiuti umanitari a un popolo bloccato come atti terroristici finanziati da Hamas. Si concede il permesso di imporre un blocco marittimo alla Striscia di Gaza (da 17 anni), sottomettendola alla sete, alla fame e alla mancanza di medicinali. Si permette anche di violare il diritto al mare abbordando imbarcazioni che si trovano in acque internazionali.

A chi importa la Palestina?

Come affrontare il pericolo rappresentato dal terrorismo di Stato di Israele? Le marce e le flottiglie umanitarie sono più simboliche che efficaci. Tuttavia, sono preziose e devono continuare, perché rendono visibile l’infame offensiva di una macchina che uccide bambini e donne. Esistono anche campagne di boicottaggio contro le imprese che finanziano il terrorismo dell’esercito sionista. Anche la loro portata è limitata, ma si aggiungono al clamore per la pace. Il presidente Petro ha proposto un Esercito di Salvezza dell’Umanità, ma non c’è stata una risposta tempestiva per realizzarlo. Il presidente Trump ha annunciato un “Piano di Pace” recolonizzatore per fermare la “guerra” (non dice genocidio) e amministrare la Striscia di Gaza con Tony Blair (assassino di asiatici). Un inganno e una beffa per il mondo. Annullano l’autodeterminazione dei popoli con un colpo di penna, decidono per la Palestina.

Ahmed Rahma, Türkiye

Tutto indica che il disordine che distrugge il Diritto Internazionale potrà essere compensato solo con l’uso della forza da parte di nuovi e audaci attori. Gli Houthi dello Yemen, un paese povero devastato dalla guerra, hanno osato lanciare droni e missili su Israele; lo fanno per solidarietà con la Palestina, per farsi sentire come nazione ignorata e colpita, per motivi storico-religiosi, per strategia, per calcolo politico, perché hanno la dignità e il coraggio che mancano alle nazioni ricche. Queste azioni, insieme alle risposte con missili supersonici dell’Iran che hanno fatto a pezzi la Cupola di ferro di Israele, stanno incoraggiando altri paesi a intervenire per fermare i massacri impuniti che ogni giorno commettono i militari folli guidati da Netanyahu. Israele non è così invulnerabile, è già stato dimostrato. E un paese minuscolo come lo Yemen capisce di poter giocare un ruolo controllando il Mar Rosso, attraverso il quale naviga gran parte dei combustibili e delle merci del commercio internazionale. In un mondo dove si violano le regole della convivenza e del rispetto tra le nazioni, si autorizza la continuazione di tali violazioni da parte di altri interessati. Israele rischia di essere cancellato dalla mappa per la sua persistente sfida alla pace e alla moralità internazionale.

Se l’esercito israeliano si arroga il diritto di sequestrare navi in acque internazionali, sta legittimando che gli Houthi attacchino le navi che trasportano armi, merci o combustibili attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb, l’entrata sud del Mar Rosso, attraverso cui passano le navi cariche di petrolio che riforniscono non solo Israele, ma anche Europa e Stati Uniti. Anche le navi di quest’ultimo paese soffriranno. I prezzi del petrolio possono aumentare. L’economia mondiale potrebbe essere colpita. La legge della giungla si espande sul pianeta; un futuro incerto potrebbe segnare le relazioni internazionali.

La disputa dei mercati e delle rotte commerciali mondiali è una partita a scacchi tra Russia, Cina, Europa e Stati Uniti. Nessuno di loro si preoccupa del destino della Palestina. Si preoccupano di come si posizionano di fronte ai loro avversari. Ogni volta che si apre un nuovo fronte di guerra per gli Stati Uniti, russi e cinesi ne approfittano. Sono interessati a vedere gli USA logorarsi aiutando i loro soci israeliani. Ecco perché orsi e draghi non entrano con forza a difendere la Palestina. È così che funziona l’economia politica. Piccoli paesi come lo Yemen e il Libano (Hezbollah) fanno di più per i gazawi che le grandi potenze. I governi arabi non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su come sostenere i loro fratelli palestinesi, né su come affrontare la sfida sionista.

Solo i popoli salvano i popoli. Altre iniziative saranno indispensabili per fermare il genocidio. Non esiste potere militare che salvi vite a Gaza. Nessun governo osa intercedere per i palestinesi massacrati. Nessuno vuole “mettersi nei guai”, ciascuno guarda al proprio interesse. Finora, solo l’Indonesia ha offerto 20.000 soldati per un improbabile esercito di salvezza. Nessuno crede negli eserciti di salvezza.

Gaza è sola. I suoi abitanti continuano a cadere sotto i proiettili assassini di Netanyahu. Dopo Hiroshima e Nagasaki, il genocidio palestinese è il più grande fallimento dell’umanità.
La cupola sionista è determinata a sterminare gli abitanti di Gaza.
Lo fa dal 1947, quando i suoi alleati britannici li posizionarono deliberatamente nel territorio palestinese.
Il loro odio e la loro paura (mancanza di amore) li hanno portati a considerare tutti i palestinesi come terroristi.
Dicono lo stesso di coloro che cercano di portare loro aiuti.

Il fascismo sta regnando, e non ce ne siamo accorti. 

RICARDO MOHREZ MUVDI
Quando a causa palestina se torna conveniência

Ricardo Mohrez Muvdi, 6/10/ 2025
Traduzido por Tlaxcala

Ricardo Mohrez Muvdi é palestino, nascido em Beit-Jala, Palestina (1952). Refugiado na Colômbia, é administrador de empresas e presidente da União Palestina da América Latina (UPAL), criada em 2019 em San Salvador, El Salvador. Também é presidente da Fundação Cultural Colombo-Palestina.

Muitos descendentes palestinos, filhos e netos daqueles que foram expulsos de sua terra natal pela ocupação, costumam se declarar defensores da causa palestina. No entanto, essa lealdade muitas vezes se desfaz quando a causa entra em conflito com seus interesses pessoais, econômicos ou políticos. Nesse momento, a memória histórica se torna um enfeite usado quando convém, mas guardado na gaveta quando incomoda.


A diferença em relação ao sionismo é abissal. O sionista, independentemente do custo humano ou da verdade histórica, jamais hesita em apoiar o Estado genocida de Israel. Faz isso com cegueira ideológica, disciplina e uma coerência que beira a cumplicidade. Enquanto isso, alguns descendentes palestinos preferem se calar, se acomodar ou até justificar o opressor quando sentem ameaçadas suas posições de privilégio.

A causa palestina não é um slogan para redes sociais nem um símbolo cultural vazio exibido com uma keffiyeh em uma foto condescendente. A causa é resistência, dignidade, justiça e memória de um povo que continua sendo massacrado, despojado e silenciado. Não admite duplos discursos nem silêncios covardes.

O sionismo entendeu que sua força reside na unidade sem fissuras, ainda que seja uma unidade em torno do crime. A Palestina, por sua vez, precisa que seus filhos e netos estejam à altura do sacrifício de seus pais e avós. Não se trata de viver na nostalgia, mas de manter a coerência: estar com a Palestina sempre, mesmo que isso implique desconforto, perda de contratos, amizades ou favores políticos.

A verdadeira lealdade não se mede quando apoiar a Palestina é fácil, mas quando isso tem um custo. Essa é a diferença entre os que transformam a causa em bandeira de vida e os que a reduzem a um acessório passageiro.

Porque a Palestina não é uma moda nem uma lembrança: é uma ferida aberta que nos reclama dignidade e ação permanente.



RICARDO MOHREZ MUVDI
Cuando la causa palestina se convierte en conveniencia

Ricardo Mohrez Muvdi, 6-10-2025

Ricardo Mohrez Muvdi es palestino, nacido en Beit-Jala, Palestina (1952). Refugiado en Colombia, es administrador de empresas y presidente de la Unión Palestina de América Latina (UPAL), creada en 2019 en San Salvador, El Salvador. Es también presidente de la Fundación Cultural Colombo -Palestina.

Muchos descendientes palestinos, hijos y nietos de quienes fueron expulsados de su tierra natal por la ocupación, suelen proclamarse defensores de la causa palestina. Sin embargo, esa lealtad muchas veces se desvanece cuando la causa choca con sus intereses personales, económicos o políticos. En ese instante, la memoria histórica se convierte en un adorno que se usa cuando conviene, pero que se guarda en el cajón cuando incomoda.


La diferencia con el sionismo es abismal. El sionista, sin importar el costo humano o la verdad histórica, jamás duda en apoyar al Estado genocida de Israel. Lo hace con ceguera ideológica, con disciplina y con una coherencia que raya en la complicidad. Mientras tanto, algunos descendientes palestinos prefieren callar, acomodarse o incluso justificar al opresor cuando sienten amenazadas sus posiciones de privilegio.

La causa palestina no es un eslogan para redes sociales ni un símbolo cultural vacío que se exhibe en una keffiyeh durante una foto condescendiente. La causa es resistencia, dignidad, justicia y memoria de un pueblo que sigue siendo masacrado, despojado y silenciado. No admite dobles discursos ni silencios cobardes.

El sionismo ha entendido que su fuerza radica en la unidad sin fisuras, aunque sea una unidad alrededor del crimen. Palestina, en cambio, necesita que sus hijos y nietos estén a la altura del sacrificio de sus abuelos y padres. No se trata de vivir en la nostalgia, sino de mantener la coherencia: estar con Palestina siempre, aunque eso implique incomodarse, perder contratos, amistades o favores políticos.

La verdadera lealtad no se mide cuando apoyar a Palestina resulta fácil, sino cuando hacerlo implica un costo. Esa es la diferencia entre quienes convierten la causa en bandera de vida y quienes la reducen a un accesorio pasajero.

Porque Palestina no es una moda ni un recuerdo: es una herida abierta que nos reclama dignidad y acción permanente.



12/08/2025

LYNA AL-TABAL
Anas Al-Sharif: la cobertura sigue

Lyna Al-Tabal, Rai Al Youm, 12-8-2025
Traducido por Tlaxcala

Estimados lectores, ¿no están aún cansados de las viejas mentiras sobre el mar que protege la ciudad? No seamos ingenuos. El mar no protege a nadie, el mar no conoce la política, el mar es solo agua, y su destino es evaporarse, y las olas no son más que un movimiento físico sin sentido. Gaza, sumergida en su sal y su sangre, no es una leyenda... Gaza es una dolorosa realidad.


Dolientes marchan con los cuerpos de los periodistas que murieron en un ataque israelí durante la noche contra su tienda de campaña frente a un hospital en la ciudad de Gaza. Foto Omar Al-Qattaa/AFP/Getty Images

De allí salió Anas al-Sharif. ¿Quién dijo que era el héroe de una vieja historia? Era un joven del campo de Yabaliya que filmaba la realidad. Esa es la única historia que existe. Anas no es un héroe legendario, pero es el creador de una nueva leyenda: la de la verdad.

Aquí está Anas, que vienes de allí, vestido con una armadura en la que está escrito «PRENSA», una armadura de tela gruesa que esconde placas comprimidas, un amuleto moderno de kevlar y cerámica, que intenta proteger su cuerpo de las balas... Pero, como todos los amuletos de esta época oscura, no sirve de nada cuando es Israel quien dispara. Anas, como Ismael, Shireen, Hamza, Abdel Hadi, Salam, Hani, Mohammed, Ahmed, Majid, Shimaa, Ola, Duaa, Hanan, Samer... como cientos de otros periodistas tomados como blanco por Israel, ha sido testigo de sus crímenes y de los de su ejército, que se desacredita cada día matando a los testigos.

Israel, el Estado que se vende al mundo como un refugio de la democracia, bate un nuevo récord Guinness de muerte...

¿Se imaginan que en menos de dos años Israel ha matado en Gaza a más periodistas que todas las guerras entre 1861 y 2025? ¿Pueden aceptar esta cifra? Este periodo incluye la guerra civil usamericana, la Primera Guerra Mundial, la Segunda Guerra Mundial, la guerra de Corea, la guerra de Vietnam, la guerra de Camboya y la guerra de Laos... Añádanse a ello las guerras de Bosnia-Herzegovina, Croacia y Kosovo, la guerra de Afganistán, la guerra de Irak y la guerra de Ucrania...

Ayer le tocó a Anas... Anas al-Sharif cayó mártir... mártir... mártir en el camino a Jerusalén. Es la frase habitual, el eslogan que repetimos para aguantar. Porque aquí, en Gaza, la muerte es una rutina diaria, como el pan, o más bien como la falta de pan. Es como el hambre, como el miedo, como el color oscuro de la sangre cuando se mezcla con la ceniza. Todo lo malo aquí se repite... Todo lo malo se repite sin cesar, excepto la sonrisa de Abu Mazen, que se amplía a medida que se estrecha el asedio sobre Gaza.

Desde lejos, Gaza parece un cuadro en tonos cenicientos, sus calles son agujeros negros sin principio ni fin, y el viento transporta un olor a pólvora mezclado con un poco de sal marina... Una mezcla que conocen bien los habitantes de Gaza, pero también los pilotos israelíes... que vuelven a bombardear.

Aquí, en Gaza, está prohibido hablar, también la comida... La libertad de expresión para los israelíes significa la libertad de matar a todos los que hablan. Israel no habla de ética, solo conoce un oficio: la ocupación... y el asesinato. Israel mata a los periodistas porque teme lo que muestra la cámara: cadáveres de niños, rostros de madres, ojos que dicen al mundo: «Miren, esto es un genocidio». Israel mata a los periodistas porque sabe que la historia se escribirá a través de sus objetivos y que los juicios serán documentados por sus fotos.

Finalmente, Anas al-Sharif fue asesinado y enterrado. Ahora es una imagen grabada en la memoria de Gaza: un cuerpo cubierto con un sudario blanco, unas manos que lo levantan rápidamente antes de que comience el siguiente ataque, una cámara silenciosa que acompaña al cuerpo, con su objetivo siempre abierto, testigo de la muerte de su propietario, como fue testigo de su vida... Pero ahora ya no graba nada. Sin imagen ni sonido, pero #la_cobertura_sigue, como tú pediste, Anas... La verdad no muere, pasa de un objetivo a otro, de un colega a otro, de un mártir a otro que sigue vivo, en directo... Y todos somos mártires que esperamos nuestro turno en el camino a Jerusalén.

En este mismo momento, los funcionarios de la ONU discuten la redacción de una declaración en la que expresan su profunda preocupación. Algunos llorarán, otros fingirán estar conmovidos y luego volverán a beber su café infecto en sus oficinas climatizadas.

Netanyahu, sumido hasta las orejas en casos de corrupción y sueños de grandeza, sabe que la imagen transmitida por Anas es más peligrosa que cualquier misil, más peligrosa que mil declaraciones de las Naciones Unidas. La cámara era la última arma con la que contaba Anas frente al mundo, algo que la cúpula de hierro no podía detener.

 Disparaba con su cámara como un combatiente dispara un misil Yasin, imágenes y vídeos que ni la honda de David ni los Patriot podían interceptar. Netanyahu se mantuvo de pie, con una sonrisa medio deformada, para declarar que Israel luchaba contra el terrorismo.

 El mundo escuchaba en silencio, como siempre. Pero Anas sabía que el final se acercaba, y quizá también sabía que el mundo sonreiría a Israel pocas horas después de su martirio. Sabía que tras su muerte nada cambiaría. El bloqueo seguiría siendo un bloqueo, y los palestinos seguirían vivos, lo justo para morir al día siguiente.



Anas con Sham y Salah


¿Saben que Anas llamó a su hija «Sham»* para decir que Palestina no tiene fronteras? Lo hizo para decirle al mundo: Palestina no se reduce a una línea de alto el fuego, ni a un muro de separación, ni a un mapa con el que se divierten políticos obsesionados. Palestina está en contra de toda ocupación y de toda violación del derecho humano a la libertad. La patria es más grande que Gaza, y la herida árabe es única, en la sitiada Jartum, en la destruida Beirut, en la devastada Bagdad, en Damasco sobrevolada por aviones enemigos que bombardean y se marchan... Dondequiera que había dolor, allí estaba Palestina.

No, amigo mío, no necesitamos un milagro. Los milagros ya no existen, y si existen, son aburridos. Necesitamos otra cosa, mucho menos romántica, mucho más cruel: tiempo, por ejemplo... o tal vez el colapso total del sistema mundial. En realidad, los héroes de Gaza son el milagro que no sorprende a nadie, porque el mundo se ha acostumbrado a verlos morir.

Necesitamos un derecho internacional que persiga a Israel y le imponga sanciones, y un mundo que deje de hacerse el simpático. Lo que queremos es que el mundo deje de mentirse a sí mismo... aunque solo sea una breve pausa antes de la próxima mentira. ¿Hay una tregua en las mentiras?

Al final, el mar seguirá ahí, la ciudad seguirá ahí, pero los rostros desaparecerán. Siempre es así. El mar es testigo de la muerte de aquellos a quienes no puede salvar, y la ciudad se derrumbará una y otra vez. Todo volverá a ser como antes, porque el tiempo en Gaza gira en círculos y no avanza... Aquí, el tiempo se repite sin piedad.

Pero no es tan mítico. La supervivencia de Gaza no es un milagro, es simplemente una realidad inquietante. Y la verdad es que la supervivencia de Gaza es una victoria en sí misma. Gaza vencerá porque hay cosas que no se pueden matar.

¿Lo oyen?

Cosas que no se pueden matar...

Hay cosas más simples y más desalentadoras: como la verdad, como el mar que, a diferencia de la mayoría de los políticos de la región, entiende que la próxima ola será inevitablemente más grande que la anterior.

Sí, el mar de Gaza que, a pesar de su silencio y su complicidad, sigue enviando olas más grandes que las anteriores, señal evidente de que este final es el comienzo de Gaza y su fin.

NdT

*Sham: Bilad al-Sham, el país «de la mano izquierda» (visto desde el Hiyaz) en oposición a Yemen, el país «de la mano derecha», designaba tradicionalmente la «Gran Siria», que abarcaba la actual Siria, Líbano, Palestina y Jordania.

27/07/2025

LYNA AL TABAL
¿Es ésta tu novedad, Ziad?

Lyna Al Tabal, Rai Al Youm, 27/7/2025
Traducido por Atahualpa Guevara, Tlaxcala

 

¿Así que es ésta tu novedad, Ziad…? Entonces no la queremos.
Ziad Rahbani sigue sonriendo, con un silencio extraño. Nos mira con los ojos cerrados, como si ya lo hubiera visto todo… y nada importara. Duerme como un príncipe cansado de su reino. Ziad duerme, ¿no?

No. Ziad resiste a su manera: se retira. Simplemente se niega a formar parte de todo esto.

Su decisión de guardar silencio a partir de hoy es su declaración más fuerte. Ha elegido cerrar los ojos… y soñar.

Pero ¿quién sueña todavía hoy? ¿Quién tiene aún el coraje de soñar? Ziad, solo Ziad.

Ziad duerme, sí. Y sueña con esta nación… Qué nación tan extraña es la que sueñas, Ziad…


Caligrafiti de Ashekman que representa a Ziad Rahbani con la célebre frase “¿Bennesbeh Labokra Chu?”, “Y mañana, ¿qué?” (título de una obra de teatro musical de 1978), ubicado estratégicamente en el centro de una antigua zona de guerra en Beirut, conocida como la línea de contacto, en la intersección de Basta/Bechara el Joury/Sodeco. Foto: Yad Jorayeb

 

En su sueño, ve Palestina… sin barreras, sin checkpoints, sin soldados que te arranquen la flor porque su color les recuerda la sangre que siempre han derramado, y luego te griten: “Quédate ahí, bajo el sol… y arde.”
Ziad sueña que la ocupación ha terminado, y con ella se han evaporado los rostros pulidos del poder —los que firmaban los acuerdos de normalización con una sonrisa, mientras el enemigo nos lanzaba bombas. Nadie se pregunta dónde está “Abbas”, claro. Y nadie llora una autoridad dormida desde Oslo.

Damasco, en el sueño, ha reintroducido a “Jules Jammal”* en los manuales escolares, y ha levantado el signo de la victoria sobre el cementerio nacional donde fue enterrada la mitad del pueblo, en toda su diversidad. Y en el sueño, todos aplauden, incluso los mártires. Hay allí una estatua de una combatiente hermosa, llamada Siria, que hace la señal de la victoria.

Gaza se ha convertido, de verdad, en la Riviera de Palestina —quieran ellos o no. Plazas verdes, arena dorada, un mar de azul intenso, barcas pintadas.
Así es como Ziad ve el sueño… a todo color.

¿Y tú? ¿Alguna vez te has preguntado si tus sueños tienen colores o si solo son en blanco y negro?

Sí, en el sueño, las calles de Gaza huelen al perfume de Sinwar y Deif —un perfume de resistencia, mezcla de pólvora… y de nostalgia. Los niños juegan en plazas que llevan los nombres de los mártires de Palestina. A su alrededor, mujeres… las mismas que dieron a luz a los hijos que Israel exterminó.
Los mismos nombres.

Los mismos rostros.

Los mismos ojos… pero esta vez, sin lágrimas. Porque en los sueños de Ziad, las lágrimas están prohibidas.

Qué derrota para Israel… Por cada casa bombardeada, hemos reconstruido diez. Y por cada niño asesinado… nuestras mujeres han dado a luz a cien.

Beirut ya no manda a sus poetas al Golfo para servir como coartada cultural, ni a mendigar migajas de subvención al Occidente sacio. Y las cámaras encima de las embajadas han sido arrancadas —como dientes podridos.
En el sueño, el mundo árabe es un solo país, pero que reúne a todos los pueblos, de Tánger a Salalah… Sueña que los pueblos árabes cruzan las fronteras hacia Palestina, las derriban, como lo proclamaba el militante Georges Abdallah, las arrasan y recuperan la tierra.
¿Cansado al punto del colapso? ¿O simplemente asqueado hasta la muerte, Ziad? Vamos, las dos cosas… y basta.

Ziad ha cambiado de acorde musical, dejándonos tambalear solos… Nosotros, su generación, aquella que él arrulló cantando el derrumbe.
Somos la generación de los escombros: nacidos entre el 70 y el 90, diagnosticados como inestables porque la guerra, esa, nunca fue estable. Y mejor así: no queremos curarnos de un mal que nos hizo lúcidos.
Sobrevivíamos a doble velocidad: guerra de día, Ziad de noche. Así nos manteníamos en pie. Los muertos al amanecer, las melodías al atardecer. Y nadie nos preguntaba cómo lo lográbamos.
Correr bajo las bombas por un casete de Ziad… Hay que estar loco, ¿verdad? Y sin embargo, lo hicimos. Preferíamos su voz a nuestras vidas. Así era nuestra forma de amar. Idiota. Feroz.
¿Alguna vez esquivaste a un francotirador con un casete en el bolsillo? ¿Un casete de Ziad? Nosotros sí. Entrábamos así, entre dos ráfagas, sin pensar. Instinto, amor, pura locura.

Cada uno creía que Ziad solo hablaba con él. No éramos un público. Éramos su generación, sus hijos.

Y cuando nuestras casas fueron destrozadas por el enemigo, ¿eras de los que primero buscaban bajo los escombros el casete de Ziad? ¿Y cuando el exilio te atrapó, no metiste primero en tu maleta el casete de Ziad… y la voz de Fairuz?

Sí, somos esos enfermos. Los sobrevivientes de una época, de un régimen, de guerras clavadas en nuestra carne y nuestra mente. Damos un salto ante el menor ruido. Ya no son las bombas, son las puertas que se cierran de golpe… y despiertan en nosotros todo lo que intentamos olvidar.
Nosotros, los resistentes, un portazo basta para despertar las ruinas de la infancia, y toda la guerra regresa, sin avisar.
Una mirada basta para tambalearse: en ella vemos demasiado. Demasiado de lo que huimos, demasiado de lo que callamos.

Ofrecemos nuestros sentimientos con una generosidad enfermiza, sin condiciones. Somos los hijos de las grietas mentales, de los traumas en espiral, de eso que hoy llaman un trastorno y que nosotros simplemente llamamos nuestra vida.

Confiamos como idiotas, apenas sanamos, y recaemos al primer recuerdo o a la primera canción.

Este texto no trata de un artista. Trata de un padre, un terapeuta sin bata, que curaba nuestras heridas con casetes. Diagnosticaba a golpes de piano rabioso. Somos su generación. Aquellos a quienes el país, el banco, la religión, los partidos y el exilio crucificaron… y que, al final, fueron a casa de Ziad.

Él reía, abofeteaba a los poderosos con sus palabras… luego reía otra vez, y reíamos con él. Esa era su forma de resistir, y también la nuestra.
Tienes razón, Ziad… en este Levante, dormir se ha vuelto el único verdadero descanso.

Ridiculizabas a todos, y sin embargo nadie te odiaba. Te burlabas de todos a la vez, y te escuchaban como se escucha a un profeta desencantado.
Fuiste el único que no nos exigió tomar partido. Todos los bandos te parecían absurdos, vacíos, intercambiables… excepto uno: el de la resistencia.
La resistencia no es una elección. Es un reflejo. Como respirar bajo el agua. Como gritar en silencio. Como reconocer, en la mirada de tu vecino, al soldado que pulverizó tu casa… Entonces ya no piensas: resistes.
Pero Ziad, nuestro Ziad… abre los ojos. Ya no es hora de soñar. El soldado está aquí, sentado en el sofá, bebe mi café,
y tararea tus melodías…

¿Es ésta tu novedad, Ziad?

No la queremos.

Lanza tu frase, Ziad… Queremos palabras como balas. Que tu voz golpee este mundo que se duerme al sonido de las bombas sobre Gaza.
No, no te equivoques… No creas que te lloro. En medio de mis lágrimas y mi dolor, no escribí para llorar, sino para maldecir el destino que nos ha roto.
Solo suavicé mis palabras, para no asustarte, nuestro príncipe dormido… Suavicé mis palabras, Ziad, para no asustar a los lectores. Que no crean que lloro. Que no lo tomen por una lamentación. Duermes, eso es todo. Tal vez demasiado pronto.

No se llora a quien nos legó un vocabulario de lucha. Yo no lloro. Escribo.
Esto no es una despedida. Son las palabras de una generación golpeada. La tuya, Ziad. La de la guerra, de las ráfagas, de la angustia que se bebe como café negro.

Tu generación, Ziad, la que verá el fin de la ocupación israelí… sin ti.
Somos esa generación.

Y jamás perdonaremos a este mundo que te llevó hasta el agotamiento… y te obligó al sueño.

NdT
* Jules Youssouf Jammal es una figura legendaria del nacionalismo árabe: este militar sirio cristiano ortodoxo habría lanzado un ataque suicida contra un buque de guerra francés durante la “operación de Suez” franco-israelo-británica de 1956.

 

 

11/06/2024

Gustavo Petro: discorso di accettazione del Gran Collare dello Stato di Palestina

Gustavo Petro, Bogotà, 3 giugno 2024
Tradotto da Giulietta Masinova, Tlaxcala

Il 3 giugno 2024, a Bogotà, il Presidente colombiano Gustavo Petro è stato insignito del Gran Collare dello Stato di Palestina, il più alto ordine civile dello Stato di Palestina. Di seguito il suo discorso di accettazione



Foto
: Andrea Puentes - Presidenza della Colombia

“I giovani che escono dalle università degli Stati Uniti, dell'Europa, dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina sono l'espressione genuina di una nuova umanità che, se sopravvive, costruirà un mondo diverso, lontano dal materiale, molto più radicato nella frugalità, ma soprattutto nella saggezza e nella conoscenza, dove l'umanità non trova più pagine dove esseri umani uccidono altri esseri umani”.

Nel corso della mia vita ho ricevuto molte decorazioni. Le prime alla scuola, che sono quelle che ricordo di più; le medaglie di eccellenza che mi ha conferito Padre Pedro - l'ultima non voleva darmela, ma me l'ha data - e devo dirvi che questa è forse la più preziosa che ho ricevuto per il significato che indubbiamente ha nella storia del mondo, nella storia della resistenza e ora in questi giorni fatidici che stiamo vivendo, che segnano un prima e un dopo nella storia dell'umanità.

Non è un evento qualsiasi quello a cui stiamo assistendo: sono i nuovi segni di un mondo terribile, ma che deve anche essere riempito di speranza. Non è un mondo come lo sognava Fukuyama, senza contraddizioni, totalmente pacifico. È un mondo profondamente stressato dalla politica, forse più che nel XX secolo, che ha vissuto due guerre mondiali, che ha vissuto la rivoluzione socialista per gran parte del secolo.

Palabras del presidente Gustavo Petro luego de recibir la condecoración El Gran Collar del Estado de Palestina


Gustavo Petro, Bogotá, 3 de junio de 2024

El 3 de junio de 2024, en Bogotá, el presidente de Colombia, Gustavo Petro, recibió el Gran Collar del Estado de Palestina, la más alta orden civil del Estado de Palestina. A continuación, su discurso de aceptación


Foto: Andrea Puentes - Presidencia

“Los jóvenes que salen de las universidades en Estados Unidos, que salen en Europa, en Asia, en África y en América Latina, son la expresión genuina de una nueva humanidad; una que si sobrevive va a construir un mundo diferente, muy alejado de lo material, mucho más afincado en la frugalidad, pero sobre todo en la sabiduría y en el conocimiento, donde la humanidad ya no encuentre páginas donde unos seres humanos matan a otros seres humanos”.