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14/05/2021

Raoul Vaneigem: Il principale nemico del potere è la vita e la sua insolente libertà

Raoul Vaneigem, Reporterre, 11/5/2021
Tradotto da Alba Canelli

Editato da Fausto Giudice

In questo periodo di pandemia, i governi hanno trasformato i cittadini in “esseri così spaventati dalla morte da rinunciare alla vita”, scrive Raoul Vaneigem in questo articolo. Lo scrittore chiede il “ritorno dei vivi, l'unità dell'Io e del mondo”.

Raoul Vaneigem (Lessines, Belgio, 1934) è uno scrittore e filosofo belga, co-fondatore e co-animatore dell'Internazionale Situazionista (1957-1972). Medievista e specialista delle eresie, è autore di una quarantina di libri, a cominciare dal leggendario Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni (1967). Vive in Francia, dove contribuisce attivamente ai dibattiti dei movimenti sociali di rottura. Libri più recenti: La liberté enfin s'éveille au souffle de la vie, Le Cherche Midi, 2020), che rende omaggio ai “Gilets jaunes et all’insurrezione della vita cha hanno iniziato” e L’Insurrection de la vie quotidienne. Testi e interviste (Grevis, 2020), dedicato agli “insorti che, in tutto il mondo, lottano per liberare la vita e l'essere umano dalla mortificante dittatura del profitto”. Bio-bibliografia


Il prete ribelle John Ball arringa i contadini in rivolta contro l’aumento delle tasse, guidati da Wat Tyler, nell’Inghilterra del 1381. Immagine tratta dalle Cronache di Froissart del 1470

Il crimine contro l'umanità è l'atto fondatore di un sistema economico che sfrutta l'uomo e la natura. Il corso millenario e sanguinoso della nostra storia lo conferma. Dopo aver raggiunto il suo apice con il nazismo e lo stalinismo, la barbarie ha recuperato i suoi fronzoli democratici. Oggi è stagnante e, rifluendo come una risacca in una stretta, si ripete in forma parodica.

È questa ripetizione caricaturale che i gestori del presente cercano di mettere in scena. Li vediamo che ci invitano allegramente allo spettacolo di una decadenza universale in cui si mescolano il gulag sanitario, la caccia agli stranieri, l'uccisione dei vecchi e degli inutili, la distruzione delle specie, il soffocamento delle coscienze, il tempo militarizzato del coprifuoco, la fabbrica dell'ignoranza, l'esortazione al sacrificio, al puritanesimo, alla denuncia, alla colpa.

L'incompetenza degli sceneggiatori convalidati non diminuisce l'attrazione delle folle per la maledizione contemplativa del disastro. Al contrario! Milioni di creature tornano docilmente al canile dove si rannicchiano fino a diventare l'ombra di se stessi.

I gestori del profitto hanno raggiunto un risultato che solo la reificazione assoluta avrebbe potuto pretendere: hanno reso noi esseri così spaventati dalla morte da rinunciare alla vita.

La propagazione di una mentalità carceraria

In nome della menzogna che la propaganda chiama verità, si permette al trattamento politico e poliziesco di sostituire il trattamento sanitario che la semplice preoccupazione per il bene comune richiede. Nessuno si fa ingannare da questo gioco di prestigio: i governi nascondono e convalidano così l’erosione degli ospedali pubblici alla quale l'avidità impone loro di ricorrere.

04/05/2021

Giorgio Agamben: Il volto e la morte

Sembra che nel nuovo ordine planetario che si va delineando due cose, apparentemente senza rapporto fra loro, siano destinate a essere integralmente rimosse: il volto e la morte. Cercheremo di indagare se esse non siano invece in qualche modo connesse e quale sia il senso della loro rimozione.


Willey Reveley, Statua senza volto di Proserpina ad Eleusi, acquerello con inchiostro su carta, c. 1785

Che la visione del proprio volto e del volto degli altri sia per l’uomo un’esperienza decisiva era già noto agli antichi: «Ciò che si chiama “volto” – scrive Cicerone – non può esistere in nessun animale se non nell’uomo» e i greci definivano lo schiavo, che non è padrone di se stesso, aprosopon, letteralmente «senza volto». Certo tutti gli esseri viventi si mostrano e comunicano gli uni agli altri, ma solo l’uomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità, l’uomo è l’animale che riconosce il suo volto allo specchio e si specchia e riconosce nel volto dell’altro. Il volto è, in questo senso, tanto la similitas, la somiglianza che la simultas, l’essere insieme degli uomini. Un uomo senza volto è necessariamente solo.

Per questo il volto è il luogo della politica. Se gli uomini avessero da comunicarsi sempre e soltanto delle informazioni, sempre questa o quella cosa, non vi sarebbe mai propriamente politica, ma unicamente scambio di messaggi. Ma poiché gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi la loro apertura, il loro riconoscersi l’un l’altro in un volto, il volto è la condizione stessa della politica, ciò in cui si fonda tutto ciò che gli uomini si dicono e scambiano.

Il volto è in questo senso la vera città degli uomini, l’elemento politico per eccellenza. È guardandosi in faccia che gli uomini si riconoscono e si appassionano gli uni agli altri, percepiscono somiglianza e diversità, distanza e prossimità. Se non vi è una politica animale, ciò è perché gli animali, che sono già sempre nell’aperto, non fanno della loro esposizione un problema, dimorano semplicemente in essa senza curarsene. Per questo essi non s’interessano agli specchi, all’immagine in quanto immagine. L’uomo, invece, vuole riconoscersi e essere riconosciuto, vuole appropriarsi della propria immagine, cerca in essa la propria verità. In questo modo egli trasforma l’ambiente animale in un mondo, nel campo di una incessante dialettica politica.

Un paese che decide di rinunciare al proprio volto, di coprire con maschere in ogni luogo i volti dei propri cittadini è, allora, un paese che ha cancellato da sé ogni dimensione politica. In questo spazio vuoto, sottoposto in ogni istante a un controllo senza limiti, si muovono ora individui isolati gli uni dagli altri, che hanno perduto il fondamento immediato e sensibile della loro comunità e possono solo scambiarsi messaggi diretti a un nome senza più volto. E poichè l’uomo è un animale politico, la sparizione della politica significa anche la rimozione della vita: un bambino che nascendo non vede più il volto della proprio madre rischia di non poter più concepire sentimenti umani.