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16/08/2022

ROMAIN GARY
Caro signor Elefante
Una lettera d’amore a un vecchio compagno

Romain Gary, LIFE Magazine, 22/12/1967, Le Figaro Littéraire, Marzo 1968
Tradotto da Silvana Fioresi,
Tlaxcala

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Leggendo questa lettera ti domanderai, senz’ombra di dubbio, che cosa ha potuto incitare un esempio zoologico, così profondamente preoccupato dell’avvenire della sua propria specie, a scriverla. L’istinto di conservazione, certamente è questo, il motivo. Già da molto tempo ho la sensazione che i nostri destini sono legati. In questi giorni così pericolosi “di equilibrio attraverso il terrore”, di massacri e di sapienti calcoli sul numero di umani che sopravviveranno a un olocausto nucleare, è semplicemente troppo naturale che i miei pensieri si rivolgano a te.


Ai miei occhi, caro signor Elefante, rappresenti alla perfezione tutto quello che, oggi, è minacciato di estinzione in nome del progresso, dell’efficacia, del materialismo integrale, di un’ideologia o anche della ragione, visto che un certo uso astratto e disumano della ragione e della logica si fa sempre di più complice della nostra follia assassina. Sembra evidente oggi che noi ci siamo comportati, verso le altre specie, e la tua in particolare, semplicemente come stiamo per farlo verso noi stessi.

È in una cameretta per bambini, quasi un mezzo secolo fa, che ci siamo incontrati per la prima volta. Per anni abbiamo condiviso lo stesso letto, e io non mi addormentavo mai senza baciare la tua proboscide, senza abbracciarti forte, fino al giorno in cui mia madre ti portò via dicendo, non senza una certa mancanza di logica, che ero troppo grande per giocare ancora con un elefante. Non mancheranno certamente degli psicologi che pretenderanno che la mia “fissazione” sugli elefanti rimonta a questa terribile separazione, e che il mio desiderio di stare in tua compagnia è, a tutti gli effetti, una forma di nostalgia verso la mia infanzia e la mia innocenza perduta. Ed è vero che tu rappresenti ai miei occhi un simbolo di purezza e un sogno innocente, quello di un mondo in cui l’uomo e la bestia potrebbero vivere pacificamente insieme.

Diversi anni dopo, da qualche parte nel Sudan, ci siamo incontrati di nuovo. Ritornavo da una missione di bombardamento al di sopra dell’Etiopia e atterrai con il mio aereo in stato pietoso a sud di Khartum, sulla riva occidentale del Nilo. Ho camminato per tre giorni prima di trovare da bere dell’acqua, cosa che ho pagato poi con il tifo, che mi è quasi costato la vita. Mi sei apparso attraverso un qualche magro carrubo, tanto che mi credevo vittima di allucinazione. Perché eri rosso, di un rosso scuro, dalla proboscide alla coda, e la vista di un elefante rosso che fa le fusa seduto sul sedere mi ha fatto drizzare i capelli sulla testa! Eh sì, tu facevi le fusa, e da allora ho imparato che questo profondo rimbombo è per te un segno di soddisfazione, cosa che mi lascia supporre che la scorza dell’albero che mangiavi era particolarmente deliziosa.

Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che, se eri rosso, era perché ti eri rotolato nel fango, cosa che voleva dire che vicino c’era dell’acqua. Avanzavo piano e proprio in quel momento ti sei accorto della mia presenza. Hai drizzato le orecchie e la tua testa è così apparsa grande il triplo, mentre il tuo corpo, simile a una montagna, spariva dietro questa sorta di tenda apparsa all’improvviso. Tra te e me, la distanza era di circa venti metri, e non solo ho potuto vedere i tuoi occhi, ma sono proprio rimasto impressionato dal tuo sguardo, che mi ha colpito come un pugno nello stomaco. Era troppo tardi per pensare di fuggire. E poi, nello stato di sfinimento in cui mi trovavo, la febbre e la sete presero il sopravvento sulla paura. Rinunciai alla lotta. Mi è successo più volte durante la guerra: chiudevo gli occhi, aspettando la morte, il che mi è valso, ogni volta, un decoro, e la fama di essere coraggioso.


10/03/2022

LAWRENCE WRIGHT
L'elefantessa in aula: la battaglia legale per liberare Happy, prigioniera dello zoo del Bronx

Lawrence Wright, The New Yorker, 28/2/2022
Tradotto da
Fausto Giudice  e Silvana Fioresi, Tlaxcala

Lawrence Wright (Oklahoma City, 1947) è un giornalista usamericano. Membro della New York University School of Law, lavora per la rivista The New Yorker dal 1992. Ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa nel 2007 per il suo libro The Looming Tower: Al Qaeda and the Road to 9/11 sugli attacchi dell'11 settembre 2001 e le loro conseguenze. Il suo libro più recente è «The Plague Year: America in the Time of COVID». Bibliografia

Una curiosa crociata legale per ridefinire il concetto di persona giuridica solleva profonde domande sull'interdipendenza tra regno animale e umano.


Gli animalisti vogliono che lo zoo del Bronx rilasci Happy, un’elefantessa abbastanza intelligente da riconoscere la propria immagine in uno specchio. Illustrazione di Gérard DuBois, The New Yorker

Secondo il codice civile dello Stato di New York, un’ordinanza di habeas corpus può essere ottenuta da qualsiasi "persona giuridica" che sia stata detenuta illegalmente. Nella contea del Bronx, la maggior parte di queste petizioni arriva per conto dei prigionieri di Rikers Island. Le petizioni di habeas corpus non sono spesso prese in considerazione dai tribunali, questa è solo una delle ragioni per cui il caso posto alla giudice della Corte Suprema di New York Alison Y. Tuitt - Nonhuman Rights Project v. James Breheny, et al [Progetto dei diritti di animali non umani contro James Breheny e altri] - è considerato straordinario. Il soggetto del caso era Happy, un’elefantessa asiatica dello zoo del Bronx. La legge usamericana considera tutti gli animali come "cose" - la stessa categoria dei sassi o dei pattini a rotelle. Tuttavia, se il giudice accettasse la richiesta di habeas corpus per trasferire Happy dallo zoo a un rifugio, davanti alla legge, sarebbe una persona. Avrebbe dei diritti.

L'umanità sembra andare verso un nuovo e radicale accordo con il regno animale. Nel 2013, il governo indiano ha vietato la cattura e la reclusione di delfini e orche, poiché è stato dimostrato che i cetacei sono sensibili e molto intelligenti, e "dovrebbero essere considerati come 'persone non umane'" con "i propri diritti specifici". I governi dell’Ungheria, del Costa Rica e del Cile, tra gli altri, hanno emesso restrizioni simili, e la Finlandia è arrivata al punto di redigere una dichiarazione dei diritti dei cetacei. In Argentina, un giudice ha stabilito che una femmina di orangotango del Parco Ecologico di Buenos Aires, chiamata Sandra, era una "persona non umana" e aveva diritto alla libertà - che in pratica significava essere mandata in un rifugio in Florida. Il presidente della Corte Suprema di Islamabad, in Pakistan, ha affermato che gli animali non umani hanno dei diritti quando ha ordinato il trasferimento di un elefante chiamato Kaavan, insieme ad altri animali dello zoo, in rifugi per animali selvatici; ha anche raccomandato di insegnare il benessere degli animali nelle scuole, come parte degli studi islamici. In ottobre, un tribunale americano ha riconosciuto che un branco di ippopotami, originariamente portato in Colombia dal barone della droga Pablo Escobar, era una "persona interessata" in un processo per impedire il loro sterminio. Il Parlamento britannico sta attualmente considerando un disegno di legge, sostenuto dal primo ministro Boris Johnson, che prenderebbe in considerazione gli effetti dell'azione del governo su qualsiasi animale sensibile.

Anche se la questione immediata posta alla giudice Tuitt riguardava il futuro di un’elefantessa solitaria, il caso ha sollevato la questione più ampia se gli animali rappresentano l'ultima frontiera nell'espansione dei diritti negliUSA - una progressione segnata dalla fine della schiavitù e dall'adozione del suffragio femminile e del matrimonio gay. Queste pietre miliari sono state il risultato di campagne duramente combattute che si sono evolute nel corso di molti anni. Secondo un sondaggio Gallup del 2015, un terzo degli usamericani crede che gli animali dovrebbero avere gli stessi diritti degli esseri umani, contro un quarto nel 2008. Ma tale protezione degli animali avrebbe conseguenze di vasta portata, compreso l'abbandono di un paradigma secolare delle leggi sul benessere degli animali.

Le vere e proprie discussioni sul caso Happy sono iniziate il 23 settembre 2019, in un'aula con pannelli di quercia piena di giornalisti, difensori e avvocati dello zoo. Kenneth Manning, che rappresenta la Wildlife Conservation Society, che gestisce lo zoo del Bronx, ha fatto una breve arringa iniziale. Ha fatto notare che il querelante - il Nonhuman Rights Project, o NhRP - era già conosciuto nel sistema giudiziario di New York con una mezza dozzina di petizioni simili sugli scimpanzé. Erano tutte finite male. Manning ha letto ad alta voce una di queste decisioni, che sosteneva che "le asserite capacità cognitive e linguistiche di uno scimpanzé non si traducono nell'abilità o nella capacità di uno scimpanzé, come gli umani, di assumere obblighi legali o di essere ritenuto legalmente responsabile delle sue azioni", e che l'animale non aveva quindi diritto all'habeas corpus. Il NhRP ha replicato che "probabilmente il dieci per cento della popolazione umana nello Stato di New York ha dei diritti, ma non può assumersi delle responsabilità, o perché sono neonati o bambini o perché sono pazzi o in coma o altro".