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17/01/2025

Invito ad un grande meeting di forze e personalità civili e politiche siriane
Sovranità, cittadinanza, transizione democratica (SAMA)
15-16 febbraio 2025


Originale arabo: الاجتماع الموسع للقوى والشخصيات المدنية والسياسية السورية  

La mattina dell’8 dicembre 2024, gli uomini liberi del Sud sono entrati nella capitale Damasco, seguiti dalle fazioni armate del Nord e di varie province, per porre fine a mezzo secolo di tirannia e sanguinosa oppressione.

Questo storico evento nazionale ha segnato l’inizio della fine dell’ingiustizia, del dispotismo e del potere di monopolio. Purtroppo, abbiamo anche assistito a pratiche e iniziative incompatibili con i principi fondamentali della rivoluzione del 18 marzo 2011: “Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno”. Curdi e arabi uniti, cristiani e musulmani mano nella mano, sunniti e alawiti solidali - uno Stato di cittadinanza per tutti i siriani, dove le persone sono cittadini e non sudditi. Questi principi, per i quali il nostro popolo ha sacrificato quasi mezzo milione di martiri, rimangono la pietra angolare della nostra visione.


Ricordiamo al nostro popolo che la liberazione dalla tirannia non giustifica la presenza di combattenti non siriani sul suolo della nostra amata patria. Rifiutiamo categoricamente qualsiasi forza militare che monopolizzi il processo decisionale nazionale, indipendentemente dalle sue dimensioni o dal suo potere. Non accetteremo alcuna ideologia che sostituisca cinquant’anni di miseria ideologica baathista e non tollereremo alcuna autorità imposta con la forza delle armi.

I siriani hanno rovesciato il regime criminale di Assad, ma non è un segreto che ci siano mani ben note alla maggioranza dei siriani, mani capaci di riprodurre il regime tirannico con nuovi abiti, perpetuando le ferite di sanguinosi conflitti interni, crimini di guerra e liquidazioni.

Oggi, mentre le potenze regionali hanno concesso a Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) l’autorità operativa a Damasco, assistiamo a palesi tentativi di manipolare coloro che sono entrati nel palazzo presidenziale. Ogni fazione cerca innanzitutto di garantire i propri interessi, assicurandosi che le nuove autorità siano favorevoli al progetto di costruzione di organismi in linea con la visione turca della regione. 

Questi attori stanno sfruttando il fatto che coloro che oggi controllano Damasco mancano di legittimità popolare, perché le loro mani sono macchiate di sangue siriano, hanno liquidato alleati e oppositori e sono suscettibili di influenze da parte di potenze straniere in nome di equazioni regionali, internazionali e locali che non facilitano il raggiungimento della stabilità nel Paese e nella regione.

Noi siriani ci troviamo ora sotto una nuova autorità debole, ostacolata dalla biografia dei suoi leader. Le milizie armate, compresi i combattenti stranieri, sono diventate la parte più potente dell’apparato di sicurezza e militare, cercando di imporre la loro visione, copiata dalla dittatura che abbiamo conosciuto per sessant’anni, su qualsiasi dibattito o dialogo nazionale interno. Allo stesso tempo, le forze esterne svolgono il ruolo di mentore e supervisore supremo dei passi compiuti dal “governo provvisorio”.

Lo Stato siriano non può essere ricostruito senza lo sforzo concertato di tutti i cittadini, basato sul senso di appartenenza alla patria. Nessun decisore a Damasco, né la sua opposizione, può permettersi di sorvolare sulle cause profonde della nostra attuale tragedia: dal 2011, i politici, i gruppi armati e il regime hanno tutti cercato una convalida esterna per ottenere “legittimità” e mantenere il potere.

La maggior parte delle parti in conflitto, in varia misura, ha contribuito a instillare paura e divisione tra i siriani, riducendoli a identità settarie, religiose, etniche o tribali, perpetuando così l’assenza di uno Stato basato sulla cittadinanza - una situazione iniziata con il regno di Assad senior. In altre parole, un ritorno alle strutture autoritarie ottomane.

Sia gli islamisti che i laici sono caduti nella trappola del populismo, guidati da emozioni momentanee, a caro prezzo. È giunto il momento di un dialogo razionale e saggio, lontano dalla retorica delle sconfitte e delle vittorie. 

In una situazione come quella che stiamo vivendo, chiediamo ai siriani di aderire ai principi fondamentali su cui la grande maggioranza dei siriani concorda:

1. Sovranità e uguaglianza dei cittadini.

2. Dignità e diritti umani per tutti, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione o dalla confessione.

3. Uguaglianza di genere: le donne sono uguali agli uomini.

4. Libertà di espressione e partecipazione politica.

5. Stato di diritto.

6. Sviluppo economico equilibrato.

Misure che riteniamo necessarie:

- Istituire un Consiglio militare nazionale: gli ufficiali liberi dovrebbero formare un consiglio per supervisionare la ricostruzione di un esercito nazionale siriano unificato.

- Convocare una conferenza nazionale generale che includa tutte le forze nazionali siriane, nessuna esclusa, sotto il patrocinio dell’ONU. Questa conferenza sarebbe allineata con la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 18 dicembre 2024 per attuare la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza, che mira a creare un organo di governo di transizione, un comitato per la stesura della costituzione e un organo giudiziario indipendente per la giustizia di transizione.

- Formare un governo tecnocratico ad interim: il suo mandato terminerà con l’elezione di un governo secondo la nuova costituzione.

- Rilanciare e sviluppare la rete siriana per elezioni libere ed eque. 

- Creare la Commissione nazionale siriana per i diritti umani: una collaborazione tra organizzazioni per i diritti umani e avvocati per garantire e proteggere tutti i diritti umani in Siria, eliminando ogni discriminazione nei confronti delle donne. 

- Rispettare la Dichiarazione universale dei diritti umani: tutte le parti devono impegnarsi a rispettare i principi che la Siria ha ratificato nel 1968, distinguendo così tra chi sostiene la cittadinanza e la democrazia e chi cerca di riprodurre la dittatura.

- Penalizzare i discorsi d’odio e l’incitamento al settarismo: emanare leggi contro i discorsi d’odio basati sulla religione, la razza, l’etnia o la nazionalità e modificare il codice penale per aumentare le pene per la violenza settaria sistematica e l’omicidio.

Punti aggiuntivi:

- Occupazione straniera: il mondo, così come il popolo siriano, è ben consapevole della presenza di molteplici forze di occupazione nel nostro Paese, in particolare delle truppe usamericane, turche e israeliane attualmente stanziate sul suolo siriano. Abbiamo assistito alla palese aggressione israeliana contro il territorio siriano, prendendo di mira infrastrutture militari, centri di ricerca e fabbriche di difesa. Sembra esserci un tacito accordo o un coordinamento tra le autorità de facto, i loro sostenitori e l’esercito israeliano per disimpegnarsi alle condizioni israeliane e a quelle delle potenze che sostengono l’attuale regime. Eppure non abbiamo sentito alcuna condanna da parte del Consiglio di Sicurezza, delle parti occidentali, e nemmeno una richiesta chiara e inequivocabile di ritiro di tutte le forze straniere dal territorio siriano. Questa è una lezione per tutti i siriani, che devono lavorare per costruire un esercito nazionale, teso al ritiro di queste forze straniere e preservando l’unità del territorio siriano e di tutto il suo suolo nazionale.

- Sanzioni economiche: il popolo siriano soffre da due decenni di sanzioni unilaterali che colpiscono ogni aspetto della vita. Chiediamo la revoca immediata e incondizionata di queste sanzioni per alleviare le sofferenze del nostro popolo.

Tutte queste richieste richiedono un’azione urgente. Il ritardo, la procrastinazione o la negligenza sono inaccettabili. La storia ci insegna che l’assenza di scadenze chiare porta a conseguenze catastrofiche.

Un appello all’azione:

Dopo tre settimane di discussioni tra forze politiche e civili, abbiamo riconosciuto la necessità di organizzare il più grande incontro possibile per unire tutti coloro che si impegnano a costruire uno Stato sovrano, una cittadinanza inclusiva e una transizione democratica. Questo incontro centrale si svolgerà in una città siriana in grado di ospitarlo, con incontri paralleli in videoconferenza a Ginevra e nelle principali città siriane.

L’obiettivo di questo grande incontro nazionale è quello di elaborare una tabella di marcia unitaria, incoraggiare la collaborazione tra gli attori principali e immaginare una Siria che rispecchi il suo popolo. Tutti gli indizi che abbiamo raccolto oggi mostrano che le autorità de facto intendono istituire apparati militari e di sicurezza che ripetono le tragedie che il nostro popolo ha subito a Idlib per mano degli stessi decisori che ora controllano Damasco. Tra queste, la confisca del potere decisionale dei sindacati professionali e la perpetuazione di atti di rappresaglia e di vendetta contro ampie fasce della nostra popolazione.

Il Comitato preparatorio invita tutti i siriani a unirsi a questo sforzo, rifiutando l’esclusione e la divisione, al fine di prevenire una nuova dittatura ed evitare i pericoli della guerra civile e della divisione.

Viva la Siria libera e indipendente!

Il Comitato preparatorio del grande incontro delle forze e delle personalità civili e politiche siriane

Per iscriversi, compilare il modulo qui:   https://syrnc.org


Sunniti, alawiti, drusi, cristiani, arabi, curdi: un solo popolo

TAREK WILLIAM SAAB
Estimado Presidente Petro: Ocúpese de los graves problemas de Colombia que nosotros resolvemos los de Venezuela



El Ministerio Público de Venezuela a través de su titular, Tarek William Saab, exigió al presidente de Colombia, Gustavo Petro evitar realizar comentarios injerencistas sobre Venezuela y su sistema judicial.

Saab recordó en la misiva que fue en Colombia donde se entrenaron y desde donde se embarcaron mercenarios contratados por una empresa extranjera, con el objetivo de desencadenar un baño de sangre en el país.

A continuación el comunicado integro:

Excelentísimo señor Presidente Gustavo Petro. He leído con sorpresa su último pronunciamiento en una red social, en el que se refiere a las personas detenidas en distintos procesos penales en nuestro país.


 

Conocido y respetado Presidente con quien en una época compartí encuentros e ideales de emancipación para nuestra Patria Grande: Venezuela ha sido y sigue siendo amenazada desde el territorio colombiano por criminales grupos narco/paramilitares que controlan buena parte del territorio bajo su jurisdicción.

Debo recordarle que fue en Colombia donde se entrenaron y desde donde se embarcaron los mercenarios contratados por una nefasta empresa extranjera para venir a desencadenar un baño de sangre en nuestro país. Eso ocurrió a la vista de las autoridades colombianas y hasta el día de hoy no hay un solo procesado por esos hechos.

Los jefes máximos del narcoparamilitarismo colombiano, Álvaro Uribe e Iván Duque, han incluso amenazado nuevamente a Venezuela con una intervención militar extranjera, de manera pública y notoria, hecho ante el cual usted ha guardado silencio.

En las semanas previas a la toma de posesión del presidente Nicolás Maduro, se han capturado decenas de mercenarios entrando a nuestro territorio desde Colombia. ¿Los organismos de seguridad de su país no saben quién entra y quién sale de su geografía?

Por el bien de la paz del continente, usted debería verificar que los organismos de seguridad colombianos cumplan con sus deberes y resguarden la frontera que compartimos.

Celebra usted la liberación de una persona, como un hecho excepcional, al parecer por desconocimiento de la realidad venezolana: Desde finales del año pasado se han liberado más de 1.500 personas detenidas durante las acciones violentas que siguieron a la elección del 28 de julio. Este Ministerio Público sigue revisando esas y otras causas con la finalidad de brindar los beneficios de ley a quienes corresponda.

En un contexto de agresión trasnacional y multifactorial contra Venezuela, que hemos calificado como el máximo ensayo de una guerra híbrida contra nuestro país y sus instituciones, hemos defendido a través de la Unidad Cívico Militar: la democracia, la estabilidad y la paz interna de manera ejemplar, con pleno respeto a las garantías constitucionales y los Derechos Humanos.

Es bien sabido que dentro de esa guerra no convencional hay participación de algunas organizaciones no gubernamentales, que reciben financiamiento de la USAID: contexto que Ud. no puede, en aras de ser objetivo, ignorar.

Estimado Presidente, yo no veo al jefe de Estado Nicolás Maduro Moros entrometiéndose en los asuntos internos de Colombia. Respondemos cuando desde Colombia los enemigos de Venezuela nos atacan vilmente para desencadenar actos terroristas.

Con todo respeto le digo, Usted debe ocuparse de Colombia, que tiene múltiples y graves problemas aqui nosotros nos ocupamos de los nuestros.

¿Cree Usted que atacando a Venezuela se va salvar de los verdugos que amenazan a nuestras democracias populares? ¿No le parece que su discurso se parece demasiado a la de estos personajes que convirtieron a vastas regiones de Colombia en una fosa común? ¿Que gana usted pareciéndose a esos asesinos seriales? La paz del continente necesita una aproximación distinta de usted, en su condición de Jefe de Gobierno.

Al pueblo venezolano y al pueblo colombiano nos unen poderosos lazos desde los tiempos de la independencia. Tenemos una cultura compartida y deseamos el fortalecimiento de la relación binacional para beneficio mutuo.

Por eso deseamos una Colombia en paz, como hemos logrado de manera colosal que haya paz en Venezuela.

Que América sea tierra libre de paramilitarismo y de lacayos a sueldo que piden invasiones a los países hermanos.

Caracas, 16 de enero de 2025

Tarek William Saab

Fiscal General de la República




 

FRANCISCO CARRIÓN
Le nouvel ami et protecteur de Mohamed VI : Youssef Kaddour, le champion espagnol qui a juré “fidélité jusqu’à la mort” au roi du Maroc


Sportif accompli, il était devenu une idole à Melilla. Il fut un éphémère conseiller du gouvernement local. Il a tout abandonné pour répondre à l’appel du monarque alaouite.

Francisco Carrión, El Independiente, 12 / 01 / 2025
 Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala

 

Mohamed VI et Youssef Kaddour | GV

Certains ont été incrédules lorsqu’ils ont entendu parler de « sa nouvelle mission ». Au cours de la dernière décennie, il a remporté une demi-douzaine de championnats du monde et d’Europe d’arts martiaux sous les couleurs espagnoles. Il était devenu une idole à Melilla, un modèle pour les jeunes de la ville autonome. Youssef Kaddour reçoit hommages et récompenses dans son « coin de terre » et devient même un éphémère conseiller du gouvernement local. Jusqu’à ce que Mohamed VI croise son chemin.

Youssef Abdesselam Kaddur (Melilla, 1985) a fêté ses 40 ans le 2 janvier. Il est devenu l’un des plus fidèles confidents de Mohamed VI. Un écuyer et garde du corps qui a rejoint l’entourage formé par le clan des boxeurs Azaitar, les trois frères Abu Bakr, Ottman et Omar qui accompagnent le monarque dans tous ses déplacements depuis son divorce avec Lalla Salma en 2018 et qui jouissent d’une vie de haut niveau, dans les résidences et les dépenses luxueuses du monarque.

Shopping avec le monarque à Abu Dhabi

Sa présence imposante, sculptée par des heures en salle de sport, n’est pas passée inaperçue. L’été dernier, il a passé ses vacances avec Mohammed VI à Medik, une ville côtière près de Tétouan. Début janvier, Kaddour a accompagné le roi lors de sa visite à Abou Dhabi, la capitale des Émirats arabes unis. Sur les images qui ont été diffusées, le natif de Melilla se promène avec le monarque alaouite dans un centre commercial de la ville. Tous deux descendent un escalator au milieu de la foule présente dans le centre. Mohammed VI, le bras en écharpe, porte une chemise orange vif et un bas de survêtement ; Kaddour, lui, porte une chemise blanche.

Ce n’est pas la première fois qu’il est filmé en train d’accompagner le monarque malade. À Melilla, cette amitié ne surprend pas. « Je me souviens avoir reçu une photo de cette relation étroite avec le pouvoir marocaine, mais je ne me souviens pas d’autres détails », admet Eduardo de Castro, l’ancien président de Melilla. Kaddour a été conseiller à la jeunesse dans son premier gouvernement, fruit de l’accord entre Ciudadanos, PSOE et Coalición por Melilla qui a évincé Juan José Imbroda. Il a été nommé le 4 juillet 2019 et est resté en poste jusqu’en novembre de la même année.

« Il ne s’est ni bien ni mal comporté. Il n’a pas joué un rôle important. Il n’avait pas le temps de faire quoi que ce soit », se souvient De Castro. Kaddour a rejoint l’exécutif dans le quota de Coalición por Melilla, la formation fondée en 1995 par Mustafa Aberchán en tant que scission du PSOE Melilla et qui fait l’objet d’une enquête depuis 2023 pour un complot présumé de fraude électorale, de corruption et de vol de votes par correspondance. « Dès que j’ai su qu’il était lié au Maroc, je lui ai retiré la médaille de la ville et tout autre avantage. C’est de la déloyauté », dit De Castro, aujourd’hui retiré de la vie politique. « Dès que j’ai eu connaissance de tout cela, j’ai dit qu’il devait être démis de ses fonctions. C’est ce que j’ai fait lors du premier changement de gouvernement », ajoute-t-il.

Kaddour avec le président de la ville autonome de Melilla, Juan José Imbroda (Parti Populaire, droite) en 2018, lors de la remise de la Médaille d'or

Une enfance marquée par les brimades à l’école

Jusqu’à la fin de la dernière décennie, Kaddour était une figure importante de Melilla. Ses réseaux sociaux attestent de cette idylle avec sa ville natale. En 2017, après que des groupes locaux ont dénoncé le manque de soutien du gouvernement local à sa carrière sportive, il reçoit une série d’hommages signés par le Centre UNESCO de Melilla et l’Association de la presse sportive de la ville autonome. Un an plus tard, le gouvernement de la ville lui a décerné la Médaille d’or de Melilla, la plus haute décoration. Cette distinction a été acceptée à l’unanimité par les groupes politiques représentés à l’Assemblée.

À l’époque, Kaddour se vantait de ses origines mélilliennes. Dans l’une des vidéos publiées sur son compte Youtube, il reconnaît avoir été victime de brimades à l’école. « Mon enfance n’a pas été facile. J’ai été victime de brimades. Je me souviens encore de choses comme être battu à l’école, qu’on me prenne des choses, qu’on m’appelle par des noms, qu’on me donne des surnoms, j’ai vraiment vécu des moments difficiles », explique-t-il. Ces souvenirs amers sont confirmés par sa mère. « Il n’a pas passé de très bons moments à l’école lorsqu’il était enfant. Il était toujours très en colère. Nous savions qu’il vivait mal et c’est pourquoi nous avons eu l’idée géniale de lui faire faire du karaté pour qu’il sache se défendre », raconte sa mère. « J’ai commencé à nager et à faire du karaté pour gagner en confiance et savoir me défendre. Une fois que j’ai essayé le sport, c’était comme une drogue pour moi. Il s’agissait avant tout de m’améliorer : essayer d’être le meilleur en tout, que ce soit en classe ou dans n’importe quel sport ».

Intime avec les frères Azaitar
Kaddour collectionne les photos sur les réseaux sociaux avec les frères Azaitar, devenus la « nouvelle famille » de Mohamed VI après son divorce.

Une ambition et une compétitivité qu’il a conservées intactes à l’âge adulte, sur les tatamis où il s’entraînait et affrontait ses rivaux. Alejandro Liendo, l’un de ses entraîneurs pendant ses années au sommet de la discipline, le confirme : « Nous avons préparé ensemble le championnat d’Espagne de grappling et le championnat du monde de BJJ [jiu-jitsu brésilien] . Il a été champion dans les deux et son implication en tant qu’athlète a été exceptionnelle ». « Très discipliné, avec une très grande capacité d’effort et de sacrifice, comme cela est exigé d’un athlète d’élite de ce niveau. Il ne se plaignait jamais, il était toujours prêt à donner 100 % de sa journée et il avait une personnalité irrésistible », se souvient-il dans une conversation avec ce journal.

Kaddour a régné sur le grappling (sans kimono), le grappling gi (avec kimono) et le jiu-jitsu brésilien. Entre 2016 et 2018, il a bénéficié de l’ADO, le programme de soutien au développement et à la promotion des athlètes espagnols de haut niveau au niveau olympique. Sa dernière médaille remonte au printemps 2019 à Bucarest. Dans la capitale roumaine, il a remporté le bronze au championnat d’Europe de grappling. Les succès de sa carrière sportive, qui a débuté en 2011 avec une médaille d’or aux championnats d’Europe de Lisbonne, se sont achevés à Bucarest.

Kaddour à l’académie des frères Azaitar en 2020

Le Maroc, sa nouvelle patrie

Le jeune homme, qui a étudié les sciences de l’environnement à l’université de Grenade et a passé de longues périodes de formation aux îles Canaries, a inauguré quelques mois plus tard son éphémère carrière politique, dont il n’existe pratiquement pas de photos ou de vidéos. En 2020, ses pas l’ont conduit au Maroc, sous la houlette d’Aboubakr Azaitar, un ancien détenu en Allemagne devenu boxeur, qu’il considère comme « un frère ». Aboubakr est l’un des membres de « cette nouvelle famille » - comme certains l’appellent avec un malaise évident au palais - qui suit Mohammed VI dans ses absences prolongées du trône.

En août 2020, Kaddour annonçait dans ses réseaux « une nouvelle étape ». « « Avec beaucoup d’enthousiasme et de nouveaux objectifs. Alhamdulillah pour les personnes qui chaque jour font ressortir la meilleure version de moi, comme cette grande équipe. De grandes nouvelles sont à venir. Insha’allah. Focus sur la mission », écrit-il. Il l’accompagne d’un cliché sur lequel il pose torse nu avec d’autres « camarades de mission » sur un fond dominé au centre par le portrait de Mohammed VI en costume. De part et d’autre de l’image figurent les portraits des boxeurs qui composent l’entourage du monarque.

Depuis lors, il a éliminé toute mention de son origine melillienne et les mentions « Maroc » et le drapeau du pays sont reproduits dans tous les messages qu’il publie. Au cours des quatre dernières années, sa présence sur les médias sociaux s’est limitée à rappeler ses exploits et à diffuser des messages de motivation : « S’entraîner en s’amusant, persévérer en se reposant et vivre ce dont on rêve. Ma plus grande motivation et ma plus grande force, c’est la foi. La foi pour Allah » ; la reproduction de citations du prophète Mohamed ; le récit de ses voyages et de ses sorties avec les frères Azaitar ; ou encore la vassalité à Mohammed VI. « Que Dieu protège sa majesté le roi Mohammed VI et lui accorde la victoire, ô Allah tout-puissant, que Dieu le protège, prolonge sa vie et guide ses yeux vers l’héritier du prince secret, le puissant Moulay Hassan, et bénisse la vie de tous les membres de l’estimée famille », a-t-il posté lors de l’un des anniversaires de son accession au trône.

Youssef avec son défunt frère dans une image d’archive

La mort de son frère qui a scellé son destin avec Mohammed VI

Contacté par ce journal, Kaddour n’a pas souhaité s’exprimer. « Il n’y a pas lieu d’attendre, je n’ai pas l’habitude de parler de mes affaires, mais je vous remercie de votre intérêt », a-t-il répondu à une demande d’interview. Une tragédie familiale, la mort de son frère Souli Abdesselam en 2021, a scellé ce lien avec le monarque alaouite qu’il ne cache plus. Le roi alaouite est intervenu personnellement dans le rapatriement du corps.

« Aucun mot ne saurait exprimer notre gratitude pour l’amour et le soutien qui nous ont été témoignés après le décès de mon frère Souli. En particulier à Sa Majesté le Roi Mohammed VI qui, dès le moment du décès, a tout mis en œuvre pour le rapatriement de mon frère, sans tarder plus d’une journée, amenant les proches à l’enterrement, s’occupant de tous les détails et de l’état de la famille, montrant ainsi qu’il est une grande personne. Ma famille et moi-même lui serons éternellement reconnaissants, il aura notre amour et notre loyauté jusqu’à notre mort. Nous lui sommes profondément reconnaissants ».

Un serment qu’il réalise aujourd’hui en tant que garde du corps et complice de Mohammed VI, protagoniste de relations avec les frères Azaitar que le makhzen - le cercle dirigeant du roi - et sa famille biologique considèrent avec beaucoup de suspicion. « Toutes ces relations cachent quelque chose », affirme un membre de l’opposition marocaine, conscient du cercle alternatif d’amis et de fidèles que le roi s’est constitué, loin de tout protocole ou des cercles traditionnels de Rabat.

« À Melilla, nous l’avons perdu de vue. C’était une personne de prestige jusqu’au moment où cette relation avec le Maroc a circulé. Depuis, je n’ai plus de nouvelles de lui. Il continuera à être espagnol, bien que pour le Maroc, la double nationalité n’existe pas. Pour eux, c’est un Marocain qui a choisi de gagner sa vie avec Mohamed VI », conclut De Castro. Dans l’un de ses derniers messages sur Instagram, à l’occasion de l’anniversaire de la Marche verte d’occupation du Sahara alors espagnol, Kaddour résume l’idéal de sa nouvelle vie : « Dieu, la patrie et le roi ».


Le Kaddour new look

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➤ On le savait dissolu, le voilà dissous : le mystère de la déliquescence du roi du Maroc, par Nicolas Pelham, avril 2023 

16/01/2025

Convocatoria a una gran reunión de fuerzas y personalidades civiles y políticas sirias
Soberanía, Ciudadanía, Transición Democrática (SAMA)
15-16 de febrero de 2025

Original árabe : الاجتماع الموسع للقوى والشخصيات المدنية والسياسية السورية  

Traducido por Ayman El Hakim, Tlaxcala

En la mañana del 8 de diciembre de 2024, los hombres libres del Sur entraron en la capital, Damasco, seguidos por facciones armadas del Norte y de varias provincias, para poner fin a medio siglo de tiranía y opresión sangrienta.

Este acontecimiento nacional histórico marcó el principio del fin de la injusticia, el despotismo y el poder único. Por desgracia, también hemos sido testigos de prácticas e iniciativas incompatibles con los principios fundamentales de la revolución del 18 de marzo de 2011: «Uno, uno, uno, el pueblo sirio es uno». Kurdos y árabes unidos, cristianos y musulmanes de la mano, suníes y alauitas solidarios: un Estado de ciudadanía para todos los sirios, donde las personas sean ciudadanos y no súbditos. Estos principios, por los que nuestro pueblo ha sacrificado a casi medio millón de mártires, así como años de exilio, de desplazamiento interno y de opresión e intimidación. 

Por esta razón, anunciamos ya durante los diez primeros días nuestros miedos como resultado de la asunción del poder del nuevo Comando de Operaciones Militares. Yreafirmamos que la liberación de la tiranía no justifica la presencia de combatientes no sirios en el suelo de nuestra amada patria. Rechazamos categóricamente cualquier fuerza militar que monopolice la toma de decisiones nacionales, sea cual sea su tamaño o poder. No aceptaremos ninguna ideología que sustituya a cincuenta años de miseria ideológica baasista y no toleraremos ninguna autoridad impuesta por la fuerza de las armas.

Los sirios derrocaron el régimen criminal de Assad, pero no es ningún secreto que hay manos bien conocidas por la mayoría de los sirios, manos capaces de reproducir el régimen tiránico con nuevos ropajes, perpetuando las heridas de sangrientos conflictos internos, crímenes de guerra y liquidaciones. 


Hoy, mientras las potencias regionales han concedido a Hay'at Tahrir al-Sham (HTS) autoridad operativa en Damasco, asistimos a flagrantes intentos de manipular a quienes han entrado en el palacio presidencial. Cada facción busca en primer lugar garantizar sus intereses, asegurándose de que las nuevas autoridades estén a favor del proyecto de construir organismos acordes con la visión turca de la región. 

Estos actores se aprovechan de que quienes hoy controlan Damasco carecen de legitimidad popular, porque tienen las manos manchadas de sangre siria, han liquidado a aliados y opositores y son susceptibles de recibir influencias de potencias extranjeras en nombre de ecuaciones regionales, internacionales y locales que no facilitan la consecución de la estabilidad en el país y en la región.

Los sirios y las sirias nos encontramos ahora bajo una nueva y débil autoridad, lastrada por el currículo de sus dirigentes. Las milicias armadas, incluidos los combatientes extranjeros, se han convertido en la parte más poderosa del aparato de seguridad y militar, tratando de imponer su visión, copiada de la dictadura que hemos conocido durante sesenta años, a cualquier debate o diálogo nacional interno. Al mismo tiempo, las fuerzas exteriores desempeñan el papel de mentor y supervisor supremo de los pasos dados por el «gobierno interino».

El Estado sirio no puede reconstruirse sin el esfuerzo concertado de todos sus ciudadanos, basado en un sentimiento de pertenencia a la patria. Ningún responsable en Damasco, ni su oposición, puede permitirse pasar por alto las causas profundas de nuestra tragedia actual: desde 2011, los políticos, los grupos armados y el régimen han buscado la validación externa para ganar «legitimidad» y conservar el poder.

La mayoría de las partes en conflicto, en mayor o menor medida, han contribuido a infundir miedo y división entre los sirios, reduciéndolos a identidades sectarias, religiosas, étnicas o tribales, perpetuando así la ausencia de un Estado basado en la ciudadanía, una situación que comenzó con el reinado de Assad padre. En otras palabras, una vuelta a las estructuras autoritarias otomanas.

Tanto islamistas como laicistas han caído en la trampa del populismo, movidos por emociones momentáneas, a un alto coste. Ha llegado el momento de un diálogo racional y sensato, alejado de la retórica de derrotas y victorias. 

En una situación como la que estamos viviendo, pedimos a los sirios que se adhieran a los principios básicos en los que está de acuerdo la gran mayoría de los sirios:

1. Construcción de un Estado soberano y con un concepto de ciudadanía igualitario.

2. Dignidad y derechos humanos 

3. Igualdad de género: las mujeres son iguales a los hombres.

4. Libertad de expresión y participación política.

5. El Estado de Derecho.

6. Desarrollo económico equilibrado.

Medidas que consideramos necesarias

  • Crear un Consejo Militar Nacional: los oficiales libres deben formar un consejo para supervisar la reconstrucción de un ejército nacional sirio unificado.
  • Convocar una conferencia nacional general que incluya a todas las fuerzas nacionales sirias, sin excluir a nadie, bajo el patrocinio de la ONU. Esta conferencia estaría en consonancia con la reunión del Consejo de Seguridad de la ONU del 18 de diciembre de 2024 para aplicar la Resolución 2254 del Consejo de Seguridad de la ONU, cuyo objetivo es crear un órgano de gobierno de transición, un comité de redacción de la constitución y un órgano judicial independiente para la justicia transicional.
  • Formar un gobierno tecnocrático interino: su mandato finalizará con la elección de un gobierno en virtud de la nueva constitución.
  • Relanzar y desarrollar la red siria para unas elecciones libres y justas. 
  • Crear la Comisión Nacional Siria de Derechos Humanos: una colaboración entre organizaciones de derechos humanos y de abogados para garantizar y proteger todos los derechos humanos en Siria, eliminando toda discriminación contra las mujeres. 
  • Respetar la Declaración Universal de Derechos Humanos: todas las partes deben comprometerse a respetar los principios que Siria ratificó en 1968, distinguiendo así entre quienes apoyan la ciudadanía y la democracia y quienes pretenden reproducir la dictadura totalitaria.
  • Penalizar el discurso del odio y la incitación al sectarismo: promulgar leyes contra el discurso del odio basado en la religión, la raza, la etnia o la nacionalidad y modificar el código penal para aumentar las penas por violencia sectaria sistemática y asesinato.

Puntos adicionales:

  • Ocupación extranjera: el mundo, así como el pueblo sirio, son muy conscientes de la presencia de múltiples fuerzas de ocupación en nuestro país, en particular las tropas usamericanas, turcas e israelíes estacionadas actualmente en suelo sirio. Hemos sido testigos de la flagrante agresión israelí contra el territorio sirio, dirigida contra infraestructuras militares, centros de investigación y fábricas de defensa. Parece existir un acuerdo tácito o una coordinación entre las autoridades de facto, sus partidarios y el ejército israelí para retirarse en los términos israelíes, así como en los de las potencias que apoyan al régimen actual. Sin embargo, no hemos oído ninguna condena del Consejo de Seguridad, de las partes occidentales, ni siquiera una exigencia clara e inequívoca de retirada de todas las fuerzas extranjeras del suelo sirio. Esta es una lección para todos los sirios, que deben trabajar para construir un ejército nacional, que tenga como objetivo la salida de estas fuerzas extranjeras y la preservación de la unidad del territorio, incluido todo el suelo nacional.
  • Sanciones económicas: el pueblo sirio lleva dos décadas sufriendo sanciones unilaterales que afectan a todos los aspectos de la vida. . Rechazamos que el pueblo sirio pague el precio de unas sanciones que fueron provocadas por las prácticas del antiguo régimen, y pedimos el levantamiento inmediato e incondicional de estas sanciones para aliviar el sufrimiento de nuestro pueblo.

Todas estas demandas requieren una acción urgente. El retraso, la dilación o la negligencia son inaceptables. La historia nos enseña que la ausencia de plazos claros conduce a consecuencias catastróficas.

Un llamamiento a la acción:

Tras tres semanas de debates entre las fuerzas políticas y civiles, hemos reconocido la necesidad de organizar la mayor reunión posible para unir a todos aquellos comprometidos con la construcción de un Estado soberano, una ciudadanía inclusiva para los sirios y las sirias y una transición democrática que rompa con la tiranía y la corrupción.  Este encuentro central tendrá lugar en una ciudad siria capaz de acogerlo, con reuniones paralelas por videoconferencia en Ginebra (un tercio de la sociedad siria se halla fuera del territorio sirio, y más de un tercio del país está fuera del control de la Comando de Operaciones) y en las principales ciudades sirias.

El objetivo de este gran encuentro nacional es elaborar una hoja de ruta unificada, fomentar la colaboración entre las fuerzas vivas de la sociedad siria y concebir una Siria que se parezca a los sirios y las sirias. Todos los indicios que estamos viendo hoy muestran que las autoridades de facto pretenden establecer aparatos militares y de seguridad que repitan las tragedias que nuestro pueblo sufrió en Idlib a manos de los mismos responsables que ahora controlan Damasco. Esto incluye la confiscación del poder de decisión de los sindicatos profesionales y la perpetuación de actos de represalia y venganza contra amplios sectores de nuestra población.

Os podeís comunicar con el Comité Preparatorio a través de la página web dedicada a la comunicación y la participación, o también coordinaros con el Comité desde vuestra localidad en Siria para organizar esta reunión que rechaza la exclusión o el alejamiento de cualquier sirio o siria que aspire a evitarle al país una nueva dictadura, los peligros de la guerra civil, la división y la partición. 

¡Viva una Siria libre e independiente!

El Comité Preparatorio de la gran reunión de fuerzas y personalidades civiles y políticas sirias

Para inscribirse, rellene el formulario aquí https://syrnc.org/ 


Suníes, alauíes, drusos, cristianos, árabes, kurdos: un solo pueblo

JONATHAN POLLAK
“Ho visto che il suolo era pieno di sangue. Ho sentito la paura come un’elettricità nel mio corpo. Sapevo esattamente cosa sarebbe successo”
Testimonianze sul gulag sionista

Stupri. Inedia. Pestaggi mortali. Maltrattamenti. Qualcosa di fondamentale è cambiato nelle carceri israeliane. Nessuno dei miei amici palestinesi che sono stati recentemente rilasciati è la stessa persona che era prima.

Jonathan Pollak, Haaretz , 9/1/2025 
Tradotto da Shofty Shmaha, Tlaxcala

Jonathan Pollak (1982) è stato uno dei fondatori del gruppo israeliano Anarchici contro il Muro  nel 2003. Ferito e imprigionato in diverse occasioni, contribuisce al quotidiano Haaretz. In particolare, si è rifiutato di comparire davanti a un tribunale civile, chiedendo di essere giudicato da un tribunale militare, come un comune palestinese, cosa che ovviamente gli è stata rifiutata.

Jonathan Pollak affronta un soldato israeliano durante una manifestazione contro la chiusura della strada principale nel villaggio palestinese di Beit Dajan, vicino a Nablus, Cisgiordania occupata, venerdì 9 marzo 2012. (Anne Paq/Activestills)


Jonathan Pollak presso la Corte Magistrale di Gerusalemme, arrestato nell’ambito di una campagna legale senza precedenti dall’organizzazione sionista Ad Kan, 15 gennaio 2020. (Yonatan Sindel/Flash90)


Attivisti reggono manifesti a sostegno di Jonathan Pollak durante la manifestazione settimanale nella città palestinese di Beita, nella Cisgiordania occupata, il 3 febbraio 2023. (Wahaj Banimoufleh)


Jonathan Pollak con la sua avvocata Riham Nasra presso il tribunale di Petah Tikva durante il processo per il lancio di pietre durante una manifestazione contro l’avamposto dei coloni ebrei di Eviatar a Beita, nella Cisgiordania occupata, il 28 settembre 2023. (Oren Ziv)

Quando sono tornato nei territori [occupati dal 1967] dopo una lunga detenzione a seguito di una manifestazione nel villaggio di Beita, la Cisgiordania era molto diversa da quella che conoscevo. Anche qui Israele ha perso i nervi. Omicidi di civili, attacchi di coloni che agiscono con l’esercito, arresti di massa. Paura e terrore dietro ogni angolo. E questo silenzio, un silenzio opprimente. Già prima del mio rilascio, era chiaro che qualcosa di fondamentale era cambiato. Pochi giorni dopo il 7 ottobre, Ibrahim Alwadi, un amico del villaggio di Qusra, è stato ucciso insieme a suo figlio Ahmad. Sono stati uccisi mentre accompagnavano quattro palestinesi che erano stati colpiti il giorno prima - tre da coloni che avevano invaso il villaggio, il quarto da soldati che li stavano accompagnando. 

Dopo il mio rilascio, mi sono reso conto che nelle carceri stava accadendo qualcosa di molto brutto. Nell’ultimo anno, mentre riacquistavo la libertà, migliaia di palestinesi - tra cui molti amici e conoscenti - sono stati arrestati in massa da Israele. Quando hanno iniziato a essere rilasciati, le loro testimonianze hanno dipinto un quadro sistematico di torture. Le percosse mortali sono un motivo ricorrente in ogni racconto. Si verificano quando i prigionieri vengono contati, quando le celle vengono perquisite, ogni volta che vengono spostati da un luogo all’altro. La situazione è così grave che alcuni prigionieri chiedono ai loro avvocati di tenere le udienze senza la loro presenza, perché il percorso dalla cella alla stanza dove è installata la telecamera è un percorso di dolore e umiliazione.

Ho esitato a lungo su come condividere le testimonianze che ho sentito dai miei amici tornati dalla detenzione. Dopotutto, non sto rivelando nuovi dettagli. Tutto, fin nei minimi dettagli, riempie già volumi su volumi nei rapporti delle organizzazioni per i diritti umani. Ma per me queste non sono storie di persone lontane. Sono persone che ho conosciuto e che sono sopravvissute all’inferno. Nessuno di loro è la stessa persona di prima. Sto cercando di raccontare ciò che ho sentito dai miei amici, un’esperienza condivisa da innumerevoli altri, anche se cambio i loro nomi e nascondo dettagli identificabili. Dopo tutto, la paura di rappresaglie ricorre in ogni conversazione.

Pestaggi e sangue

Ho visitato Malak pochi giorni dopo il suo rilascio. Un cancello giallo e una torre di guardia bloccavano il sentiero che un tempo conduceva al villaggio dalla strada principale. La maggior parte delle altre strade che attraversano i villaggi vicini sono tutte bloccate. Solo una strada tortuosa, quella vicino alla chiesa bizantina che Israele ha fatto saltare in aria nel 2002, è rimasta aperta. Per anni questo villaggio è stato come una seconda casa per me, e questa è la prima volta che ci torno dopo il mio rilascio. 

Malak è stato trattenuto per 18 giorni. È stato interrogato tre volte e durante tutti gli interrogatori gli sono state poste domande banali. Era quindi convinto che sarebbe stato trasferito in detenzione amministrativa - in altre parole, senza processo e senza prove, senza essere accusato di nulla, sotto una patina di sospetto segreto e senza limiti di tempo. Questo è infatti il destino della maggior parte dei detenuti palestinesi al momento. 

Dopo il primo interrogatorio, è stato portato nel cortile delle torture. Durante il giorno, le guardie rimuovevano i materassi e le coperte dalle celle e li restituivano la sera quando erano appena asciutti, e a volte ancora bagnati. Malak descrive il freddo delle notti invernali a Gerusalemme come frecce che penetrano nella sua carne fino alle ossa. Racconta di come picchiavano lui e gli altri detenuti a ogni occasione. Ogni volta che contavano, ogni volta che cercavano, ogni volta che si spostavano da un posto all’altro, tutto era un’occasione per colpire e umiliare.

“Una volta, durante la conta mattutina”, mi ha raccontato, ”eravamo tutti in ginocchio, con la faccia rivolta verso i letti. Una delle guardie mi ha afferrato da dietro, mi ha ammanettato mani e piedi e mi ha detto in ebraico: ‘Forza, muoviti’. Mi ha sollevato per le manette, dietro la schiena, e mi ha condotto piegato attraverso il cortile accanto alle celle. Per uscire, c’è una specie di stanzetta che bisogna attraversare, tra due porte con una piccola finestra”. So esattamente di quale stanzetta sta parlando, l’ho attraversata decine di volte. È un passaggio di sicurezza dove, in un dato momento, solo una delle porte può essere aperta. “Così siamo arrivati lì”, continua Malek, ”e mi hanno messo contro la porta, con la faccia contro la finestra. Ho guardato dentro e ho visto che il pavimento era coperto di sangue coagulato. Ho sentito la paura attraversare il mio corpo come un’elettricità. Sapevo esattamente cosa sarebbe successo. Aprirono la porta, uno entrò e si mise vicino alla finestra in fondo, bloccandola, e l’altro mi buttò dentro sul pavimento. Mi hanno preso a calci. Ho cercato di proteggermi la testa, ma avevo le mani ammanettate, quindi non avevo modo di farlo. Erano colpi micidiali. Ho pensato davvero che potessero uccidermi. Non so quanto sia durato. A un certo punto mi sono ricordato che la sera prima qualcuno mi aveva detto: “Quando ti colpiscono, urla a squarciagola. Che ti importa? Non può essere peggio di così, e forse qualcuno sentirà e verrà”. Così ho iniziato a gridare a squarciagola e, in effetti, qualcuno è arrivato. Non capisco l’ebraico, ma ci sono state delle grida tra lui e loro. Poi se ne sono andati e lui mi ha portato via da qui. Mi usciva sangue dalla bocca e dal naso”.

Anche Khaled, uno dei miei amici più cari, ha subito la violenza delle guardie. Quando è stato rilasciato dal carcere dopo otto mesi di detenzione amministrativa, suo figlio non lo ha riconosciuto da lontano. Ha percorso la distanza tra la prigione di Ofer e la sua casa a Beitunia. In seguito, ha raccontato che non gli era stato detto che la detenzione amministrativa era finita e temeva che ci fosse stato un errore e che presto lo avrebbero arrestato di nuovo. Questo era già successo a qualcuno che era con lui in cella. Nella foto che il figlio mi ha inviato pochi minuti dopo il loro incontro, sembra un’ombra umana. Su tutto il corpo - spalle, braccia, schiena, viso, gambe - c’erano segni di violenza. Quando sono venuto a trovarlo, si è alzato per abbracciarmi, ma quando l’ho preso in braccio ha emesso un gemito di dolore. Qualche giorno dopo, gli esami hanno evidenziato un gonfiore intorno alla colonna vertebrale e una costola guarita. 


Prigione di Megiddo

Ogni azione è un’occasione per colpire e umiliare

Un’altra testimonianza che ho ascoltato è quella di Nizar, che era già in detenzione amministrativa prima del 7 ottobre e da allora è stato trasferito in diverse prigioni, tra cui Megiddo. Una sera, le guardie sono entrate nella cella accanto e lui ha potuto sentire i colpi e le grida di dolore dalla sua cella. Dopo un po’, le guardie hanno preso un detenuto e lo hanno gettato da solo nella cella di isolamento. Durante la notte e il giorno seguente si lamentò per il dolore e non smise mai di gridare “la mia pancia” e di chiedere aiuto. Non arrivò nessuno. La cosa continuò anche la notte successiva. Verso la mattina, le grida cessarono. Il giorno dopo, quando un’infermiera venne a dare un’occhiata al reparto, capì dal trambusto e dalle urla delle guardie che il prigioniero era morto. Ancora oggi, Nizar non sa chi fosse. Era vietato parlare tra le celle e non sa quale fosse la data. 

Dopo il suo rilascio, si è reso conto che durante il periodo di detenzione questo detenuto non era stato l’unico a morire a Megiddo. Taoufik, che è stato rilasciato in inverno dalla prigione di Gilboa, mi ha raccontato che durante un controllo dell’area da parte degli agenti penitenziari, uno dei detenuti si è lamentato del fatto che non gli era permesso di uscire nel cortile. In risposta, uno degli agenti gli ha detto: “Vuoi il cortile? Ringrazia per non essere nei tunnel di Hamas a Gaza”. Poi, per quindici giorni, ogni giorno, durante la conta di mezzogiorno, li hanno portati in cortile e hanno ordinato loro di sdraiarsi sul terreno freddo per due ore. Anche sotto la pioggia. Mentre erano sdraiati, le guardie giravano per il cortile con i cani. A volte i cani passavano in mezzo a loro e a volte camminavano davvero sopra i prigionieri sdraiati; li calpestavano.

Secondo Taoufik, ogni volta che un detenuto incontrava un avvocato aveva un prezzo. “Sapevo ogni volta che il ritorno, tra la sala visite e la cella, avrebbe comportato almeno altri tre colpi. Ma non mi sono mai rifiutato di andare. Lei è stato in un carcere a cinque stelle. Non capisci cosa significhi essere in 12 in una cella dove anche in sei si sta stretti. È come vivere in un circolo chiuso. Non mi preoccupava affatto quello che mi avrebbero fatto. Il solo fatto di vedere qualcun altro che ti parla come un essere umano, magari vedendo qualcosa nel corridoio durante il tragitto, ha significato tutto per me”.

Mondher Amira - l’unico qui a comparire con il suo vero nome - è stato rilasciato a sorpresa prima della fine del suo periodo di detenzione amministrativa. Ancora oggi, nessuno sa perché. A differenza di molti altri che sono stati avvertiti e temono rappresaglie, Amira ha raccontato alle telecamere la catastrofe delle carceri, descrivendole come cimiteri per i vivi. Mi ha raccontato che una notte un’unità Kt’ar ha fatto irruzione nella loro cella nella prigione di Ofer, accompagnata da due cani. Hanno ordinato ai prigionieri di spogliarsi fino alla biancheria intima e di sdraiarsi sul pavimento, poi hanno ordinato ai cani di annusare i loro corpi e i loro volti. Poi hanno ordinato ai prigionieri di vestirsi, li hanno portati alle docce e li hanno sciacquati con acqua fredda mentre erano ancora vestiti. In un’altra occasione, ha cercato di chiamare un’infermiera per chiedere aiuto dopo che un prigioniero aveva tentato il suicidio. La punizione per aver chiesto aiuto fu un’altra irruzione dell’unità Kt’ar. Questa volta ordinarono ai detenuti di sdraiarsi l’uno sull’altro e li picchiarono con i manganelli. A un certo punto, una delle guardie allargò le gambe e li colpì sui testicoli con un manganello. 

Fame e malattie 

Mondher ha perso 33 chili durante la sua detenzione. Non so quanti chili abbia perso Khaled, che è sempre stato un uomo magro, ma nella foto che mi è stata inviata ho visto uno scheletro umano. Nel soggiorno di casa sua, la luce della lampada rivelava due profonde depressioni al posto delle guance. I suoi occhi erano circondati da un contorno rosso, quello di chi non dorme da settimane. Sulle sue braccia magre pendeva una pelle floscia che sembrava essere stata attaccata artificialmente, come un involucro di plastica. Le analisi del sangue di entrambe mostravano gravi carenze. Tutti quelli con cui ho parlato, indipendentemente dal carcere in cui sono passati, hanno ripetuto quasi esattamente lo stesso menu, che a volte viene aggiornato, o meglio ridotto. L’ultima versione che ho sentito, dalla prigione di Ofer, era: per colazione, una scatola e mezza di formaggio per una cella di 12 persone, tre fette di pane a persona, 2 o 3 verdure, di solito un cetriolo o un pomodoro, per tutta la cella. Una volta ogni quattro giorni, 250 grammi di marmellata per l’intera cellula. A pranzo, un bicchiere di plastica monouso con riso per persona, due cucchiai di lenticchie, qualche verdura e tre fette di pane. A cena, due cucchiaini (da caffè, non da zuppa) di hummus bi tahina a persona, qualche verdura, tre fette di pane a persona. A volte un’altra tazza di riso, a volte una pallina di falafel (solo una!) o un uovo, che di solito è un po’ marcio, a volte con macchie rosse, a volte blu. E questo è tutto. Nazar mi ha detto: “Non è solo la quantità. Anche quello che è già stato portato non è commestibile. Il riso è appena cotto, quasi tutto è rovinato. E poi ci sono anche bambini veri, che non sono mai stati in prigione. Abbiamo cercato di prenderci cura di loro, di dare loro il nostro cibo avariato. Ma se dai loro un po’ del tuo cibo, è come suicidarsi. Nel carcere c’è ora una carestia (magia’a مَجَاعَة), e non è un disastro naturale, è la politica del servizio carcerario”. 

Di recente, la fame è addirittura aumentata. A causa delle condizioni anguste, il servizio carcerario sta trovando il modo di rendere le celle ancora più strette. Aree pubbliche, mense: ogni luogo è diventato un’altra cella. Il numero di detenuti nelle celle, già sovraffollate in precedenza, è aumentato ulteriormente. Ci sono sezioni in cui sono stati aggiunti 50 detenuti in più, ma la quantità di cibo è rimasta la stessa. Non sorprende quindi che i detenuti perdano un terzo o più del loro peso corporeo in pochi mesi. 

Il cibo non è l’unica cosa che scarseggia in carcere; infatti, ai detenuti non è permesso possedere altro che un unico set di vestiti. Una camicia, un paio di mutande, un paio di calzini, un paio di pantaloni, una felpa. E questo è tutto. Per tutta la durata della detenzione. Ricordo che una volta, quando l’avvocato di Mondher, Riham Nasra, gli fece visita, entrò nella sala visite a piedi nudi. Era inverno e faceva un freddo cane a Ofer. Quando lei gli chiese perché, lui rispose semplicemente: “Non ce ne sono”. Un quarto di tutti i prigionieri palestinesi soffre di scabbia, secondo una dichiarazione rilasciata al tribunale dallo stesso servizio carcerario. Nizar è stato rilasciato quando la sua pelle stava guarendo. Le lesioni sulla pelle non sanguinano più, ma le croste coprono ancora ampie parti del corpo. “L’odore nella cella era qualcosa che non possiamo nemmeno descrivere. Come la decomposizione, eravamo lì e ci stavamo decomponendo, la nostra pelle, la nostra carne. Lì non siamo esseri umani, siamo carne in decomposizione”, racconta. “Ora, come possiamo non esserlo? Per la maggior parte del tempo non c’è acqua, spesso solo un’ora al giorno, e a volte non avevamo acqua calda per giorni. Ci sono state intere settimane in cui non ho fatto la doccia. Mi ci è voluto più di un mese per avere il sapone. Ed eccoci lì, con gli stessi vestiti, perché nessuno ha un cambio di vestiti, e sono pieni di sangue e di pus e c’è una puzza, non di sporco, ma di morte. I nostri vestiti erano impregnati dei nostri corpi in decomposizione”.

Taufik ha raccontato che “c’era acqua corrente solo per un’ora al giorno. Non solo per le docce, ma in generale, anche per i servizi igienici. Quindi, durante quell’ora, 12 persone nella cella dovevano fare tutto ciò che richiedeva acqua, compresi i loro bisogni naturali. Ovviamente, era insopportabile. Inoltre, poiché la maggior parte del cibo era avariato, tutti noi avevamo quasi sempre problemi digestivi. Non potete immaginare quanto puzzassero le nostre celle”. 

In queste condizioni, la salute dei prigionieri si è ovviamente deteriorata. Una perdita di peso così rapida, ad esempio, porta il corpo a consumare il proprio tessuto muscolare. Quando Mondher è stato rilasciato, ha detto a Sana, sua moglie, che è un’infermiera, che era così sporco che il sudore aveva reso i suoi vestiti arancioni. Lei lo guardò e chiese: “E l’urina?”. Lui rispose: “Sì, ho anche pisciato sangue”. “Idiota”, gli gridò, ‘non era sporcizia, era il tuo corpo che rifiutava i muscoli che aveva mangiato’.

Le analisi del sangue di quasi tutti i miei conoscenti hanno dimostrato che soffrivano di malnutrizione e di gravi carenze di ferro, minerali essenziali e vitamine. Ma anche le cure mediche sono un lusso. Non sappiamo cosa succede nelle infermerie delle prigioni, ma per i prigionieri non esistono. Le cure regolari sono semplicemente cessate. Di tanto in tanto, un’infermiera visita le celle, ma non viene somministrato alcun trattamento e la “visita” si riduce a una conversazione attraverso la porta della cella. La risposta medica, nel migliore dei casi, è il paracetamolo e, più spesso, qualcosa del tipo “bevi un po’ d’acqua”. Inutile dire che nelle celle non c’è acqua a sufficienza, perché per la maggior parte del tempo non c’è acqua corrente. A volte passa una settimana o più senza che nemmeno l’infermiera faccia visita al blocco.

E se di stupro si parla poco, non c’è bisogno di menzionare le umiliazioni sessuali: sui social network sono stati pubblicati video di prigionieri che vengono condotti in giro completamente nudi dal servizio carcerario. Questi atti non potevano essere documentati se non dalle stesse guardie, che hanno cercato di vantarsi delle loro azioni. L’uso della perquisizione come occasione di violenza sessuale, spesso colpendo l’inguine con la mano o con il metal detector, è un’esperienza quasi costante, regolarmente descritta da detenuti che sono stati in carceri diverse.

Non ho sentito parlare di aggressioni alle donne di prima mano, ovviamente. Quello che ho sentito, e non una sola volta, è la mancanza di materiale sanitario durante le mestruazioni e il suo utilizzo per umiliare. Dopo le prime percosse, il giorno del suo arresto, Mounira è stata portata nella prigione di Sharon. All’ingresso in carcere, tutti vengono sottoposti a perquisizione corporale, ma la perquisizione a strisce non è la norma e richiede ragionevoli motivi per sospettare che il detenuto nasconda un oggetto proibito. La perquisizione a strisce richiede anche l’approvazione dell’ufficiale responsabile. Durante la perquisizione, nessun agente era presente per Mounira, e certamente non c’era una procedura organizzata per verificare il ragionevole sospetto. Mounira è stata spinta da due guardie donne in una piccola stanza di perquisizione, dove l’hanno costretta a togliersi tutti i vestiti, compresi la biancheria intima e il reggiseno, e a mettersi in ginocchio. Dopo averla lasciata sola per qualche minuto, una delle guardie è tornata, l’ha colpita e se n’è andata. Alla fine le furono restituiti i vestiti e le fu permesso di vestirsi. Il giorno successivo fu il primo giorno delle mestruazioni. Le fu dato un assorbente igienico e dovette accontentarsi di quello per tutto il periodo delle mestruazioni. Ed era la stessa cosa per tutti. Quando fu dimessa, soffriva di un’infezione e di una grave infiammazione delle vie urinarie.

Epilogo

Sde Teiman era il posto più terribile in cui essere detenuti, e si suppone che questo sia il motivo per cui è stato chiuso. In effetti, è difficile pensare alle descrizioni di orrore e atrocità che provenivano da questo campo di tortura senza pensare a quel luogo come a uno dei gironi dell’inferno. Ma non per questo lo Stato ha accettato di trasferire i detenuti in altri luoghi, soprattutto a Nitzan e Ofer. Sde Teiman o no, Israele sta trattenendo migliaia di persone nei campi di tortura e almeno 68 di loro hanno perso la vita. Solo dall’inizio di dicembre è stata segnalata la morte di altri quattro detenuti. Uno di loro, Mahmad Walid Ali, 45 anni, del campo di Nour Shams, vicino a Toulkarem, è morto appena una settimana dopo il suo arresto. La tortura in tutte le sue forme - fame, umiliazioni, aggressioni sessuali, promiscuità, percosse e morte - non avviene per caso. Insieme, costituiscono la politica israeliana. Questa è la realtà.