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21/12/2023

A. RUGGERI/M.VIETA
Javier Milei ha colto il malcontento di una nuova classe operaia informale

Andrés Ruggeri e Marcelo Vieta, Jacobin, 14/12/2023
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Pubblicato su Jacobin Italia

Originale: Javier Milei Has Tapped Into the Discontent of a New, Informal Working Class
 Español:
Milei captó el descontento de la clase trabajadora informal
Français:
Javier Milei a su capter le mécontentement d’une nouvelle classe ouvrière informelle


Marcelo Vieta è professore associato nel programma di Educazione degli adulti e sviluppo comunitario dell’Università di Toronto. È autore di Workers’ Self-Management in Argentina e coautore di Cooperatives at Work. Bibliografia. @VietaMarcelo


Andrés Ruggeri (Buenos Aires, 1967) è antropologo sociale (UBA) e dal 2002 dirige il programma Facultad Abierta, un’équipe della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’UBA che sostiene, consiglia e ricerca le imprese di proprietà dei lavoratori. Dal programma ha coordinato quattro indagini nazionali sulle imprese recuperate e diversi progetti universitari di volontariato e di estensione, oltre alla creazione nel 2004 del Centro di Documentazione delle imprese recuperate che opera nella Cooperativa Chilavert Artes Gráficas. È autore e coautore di diversi libri specializzati sull’argomento e ha tenuto conferenze e corsi in diversi Paesi dell’America Latina, dell’Europa e dell’Asia. Dal 2007 coordina l’organizzazione dell’incontro internazionale ¿La Economía de los Trabajadores? che ha già avuto due edizioni in Argentina, una in Messico e un’altra in Brasile, oltre a un incontro europeo in Francia. È anche autore del libro Del Plata a La Habana. América en bicicleta, in cui racconta il suo viaggio del 1998 attraverso l’America Latina in solidarietà con la Rivoluzione cubana. Successivamente, ha fatto il giro del mondo in tandem attraversando 22 paesi del Terzo mondo con la sua compagna Karina Luchetti. Insegna anche un seminario di specializzazione in Antropologia e Storia (UBA) ed è direttore della rivista Autogestión Para otra economía.  Articoli in diverse lingue. @RuggeriAndres1


La cosa più sorprendente dell’elezione di Javier Milei, ultraliberista di estrema destra, è stata la sua capacità di conquistare gran parte del voto della classe operaia. La capacità di parlare alle ansie del crescente settore precario del paese dovrebbe essere un campanello d’allarme per la sinistra

Il «fenomeno Milei» in Argentina ha preso piede quando il politico di estrema destra ha ottenuto una vittoria inaspettata alle primarie presidenziali di agosto. Ora che indossa la fascia presidenziale, Javier Milei è il primo anarco-capitalista e ultraliberista autoproclamato a guidare una grande economia nazionale.

Il Presidente dell’Argentina Javier Milei arriva per una funzione interreligiosa nella Cattedrale Metropolitana dopo la cerimonia di insediamento presidenziale il 10 dicembre 2023 a Buenos Aires, Argentina. (Marcos Brindicci / Getty Images)

Economista di formazione, Milei si è fatto conoscere come personaggio televisivo e dei social media incline alle imprecazioni e ai toni misogini. Il suo ingresso ufficiale nella politica argentina è avvenuto poco dopo, nel 2021, quando ha ottenuto un seggio al Congresso nazionale. Praticante di lunga data del sesso tantrico, devoto ai guru del neoliberismo Friedrich von Hayek e Milton Friedman e proprietario di diversi mastini inglesi clonati che chiama i suoi «figli a quattro zampe», Milei ha proclamato poche ore dopo aver battuto il suo avversario peronista che «tutto ciò che può essere nelle mani del settore privato sarà nelle mani del settore privato».

Milei ha in mente tutte le 137 aziende pubbliche argentine, come la compagnia energetica statale Yacimientos Petrolíferos Fiscales (Ypf), la vasta rete di media pubblici del paese (Radio Nacional, TV Pública e l’agenzia di stampa Télam), il servizio postale e la compagnia aerea nazionale Aerolineas Argentinas. Ha anche lasciato intendere che smantellerà il sistema sanitario pubblico argentino e privatizzerà gran parte dei sistemi di istruzione primaria e universitaria, compreso l’istituto di ricerca sull’istruzione superiore finanziato con fondi pubblici. Milei ha anche corteggiato i capitali statunitensi per condurre un’estrazione non regolamentata delle ingenti riserve di litio e di gas di scisto del paese. Forse la cosa più sfacciata è che ha promesso di eliminare la Banca centrale argentina, di dollarizzare l’economia (seguendo gli esempi di Ecuador, El Salvador e Zimbabwe), di liberalizzare i mercati e di eliminare i rigidi controlli sui cambi del paese.

Scioccante, certo, ma queste proposte neoliberiste non sono nuove in Argentina. José Martinez de Hoz, ministro dell’economia della sanguinosa dittatura di Jorge Videla alla fine degli anni Settanta, e Domingo Cavallo, ministro dell’economia di Carlos Menem nei neoliberisti anni Novanta, hanno dato vita a politiche economiche altrettanto regressive. In effetti, Roberto Dromi, ministro dei lavori pubblici di Menem, proclamò quasi alla lettera lo stesso messaggio più di trent’anni fa: «Nulla di ciò che è di proprietà dello Stato rimarrà nelle mani dello Stato».

Il «piano motosega» di Milei (Plan motosierra, la sua versione del «prosciugare la palude» di Trump) sarà probabilmente contestato nelle due camere del Congresso del paese, dove la sua coalizione La Libertà Avanza è in minoranza. Tuttavia, le minacce di misure di austerità possono essere eseguite dal potere presidenziale di legiferare per decreto e molte di esse verranno senza dubbio attuate. A lungo termine, i risultati saranno devastanti per l’Argentina.

Anche se, ancora una volta, non sono senza precedenti. Negli anni Novanta, l’amministrazione Menem ha supervisionato la massiccia vendita di beni pubblici, l’ancoraggio del peso al dollaro (di fatto, un programma di dollarizzazione) e le liberalizzazioni del mercato, il tutto all’insegna del controllo dell’inflazione e dell’austerità. Queste misure hanno portato a una disoccupazione massiccia (ufficialmente oltre il 20%), a tassi record di precarietà e indigenza (oltre la metà della popolazione), alla delocalizzazione di gran parte della capacità produttiva argentina, alla presa di controllo sull’economia nazionale da parte delle multinazionali e a disordini sociali estremi.

La vittoria di Milei suggerisce che, se non altro, il ricordo di questi anni si è affievolito per gran parte dell’elettorato argentino, sommerso da un tasso di inflazione superiore al 185% per il 2023 e da un forte aumento dell’insicurezza, fomentato dalle notizie quotidiane e dai social media.

I prossimi mesi mostreranno fino a che punto il nuovo governo Milei sarà in grado di portare avanti la sua agenda neoliberale e se il suo governo manterrà il consenso durante l’attuazione delle misure annunciate. La risposta dei settori popolari storicamente militanti in Argentina potrebbe essere decisiva. Quel che è certo è che, per l’opposizione politica e per la maggior parte dei lavoratori, la strada da percorrere sarà dura.


Marcelo Spotti

 «Non ce l’aspettavamo!»

Forse la vera novità dell’agenda ultraliberista di Milei è la sua schietta onestà. I nuovi ministri e portavoce del governo hanno già avvertito gli argentini di prepararsi a giorni austeri. Milei ha anche dichiarato che risponderà a qualsiasi forma di protesta sociale con misure repressive estreme, rievocando i giorni più bui della dittatura civico-militare.

Una delle grandi sorprese della vittoria di novembre è stata quella di aver goduto del sostegno dei settori della classe operaia argentina tradizionalmente orientati a sinistra: Il 50,8% degli elettori salariati, il 47,4% dei pensionati, il 50,9% degli elettori del settore informale, il 52,3% dei lavoratori del commercio e quasi il 30% della tradizionale base peronista hanno votato per Milei. Oltre al 25-30% di elettori che costituiscono la base di destra di Milei, circa il 53% dei votanti sotto i trent’anni, e ai voti trasferiti dalla destra tradizionale e dall’alta borghesia che sostenevano la coalizione Juntos por el Cambio di Mauricio Macri e Patricia Bullrich, che messi insieme hanno garantito una comoda vittoria a Milei.

Eppure, nonostante il clamoroso successo di Milei alle primarie di agosto e al ballottaggio di novembre – per non parlare della sua lunga visibilità mediatica – la frase che circola nella sfera politica e intellettuale argentina è «non ce l’aspettavamo!». Questa è stata la posizione ufficiale del governo di sinistra peronista uscente di Alberto Fernández e del candidato in corsa Sergio Massa. La campagna elettorale di Massa, che ha perso, ha cercato di sminuire Milei a uno spettacolo politico marginale da cartoni animati, senza successo.

Ignorata dall’establishment politico e mediatico, la coalizione di estrema destra di Milei segna l’inasprimento di cambiamenti socioeconomici che hanno ricevuto poca attenzione. A un’analisi più attenta, l’inflazione ostinata e acuta senza una risposta efficace da parte del governo, le sfide persistenti lasciate dalla pandemia, la crescente influenza dei social media e la forte polarizzazione del discorso politico hanno reso l’ascesa di una personalità come Milei – la versione argentina di Jair Bolsonaro o Donald Trump – un fenomeno prevedibile.

L’elefante che nessuno ha visto

Ci si chiede allora perché il «piano motosega» di Milei abbia risuonato tra i poveri e i lavoratori argentini, che saranno i più colpiti dalle sue politiche. Una spiegazione è che Milei arriva sulla cresta dell’onda neoliberale che, per decenni, ha eroso lo stato sociale e la base industriale tradizionalmente forte dell’Argentina (come dimostra il fatto che, tra gli anni Cinquanta e Settanta, il paese ha goduto di lunghi periodi di piena occupazione). L’ondata neoliberista ha portato con sé l’abbraccio totale di una razionalità economica che un tempo sembrava estranea al senso comune argentino.

Durante l’amministrazione neoliberale di Mauricio Macri, dal 2015 al 2019, è diventato un luogo comune parlare degli «elefanti che ci sono passati accanto», riferendosi alle politiche socioeconomiche regressive attuate dal macrismo. Queste politiche comprendevano un massiccio debito finanziato dal Fondo Monetario Internazionale, un’alta inflazione e la fuga di capitali, che i media del paese hanno per lo più ignorato o nascosto. Tuttavia, c’era un altro elefante nella stanza che molti non hanno riconosciuto: la forte crescita del settore lavorativo informale e precario, che esisteva al di fuori di qualsiasi organizzazione sindacale o programma sociale governativo. Il settore informale, in crescita e di dimensioni considerevoli, è stato assente dal dibattito pubblico argentino per un decennio, considerato da economisti e leader politici come un fenomeno passeggero, senza rappresentazione e senza voce politica. Era solo questione di tempo prima che una figura come Milei iniziasse a usare un linguaggio in sintonia con questo nuovo settore della classe operaia.

Costituito da lavoratori dell’economia sommersa, freelance, precarizzati e dei servizi, questo settore è cresciuto in modo esponenziale durante la pandemia. Molti argentini hanno sofferto durante i rigidi periodi di lockdown che si sono protratti per gran parte del 2020 e fino al 2021, ma la pandemia ha colpito in modo particolarmente duro questo nuovo gruppo di lavoratori informali e senza contratto, che hanno continuato a lavorare per tutto il tempo senza le tutele sociali previste per gli altri settori.

Conosciuto ufficialmente come Aislamiento Social, Preventivo y Obligatorio (Isolamento Sociale, Preventivo e Obbligatorio, o Aspo), il mandato di lockdown nazionale ha messo in evidenza le contraddizioni e le complessità legate alla necessità di scegliere tra la cura della salute pubblica e la cura dell’economia. Il governo di Alberto Fernández è salito al potere nel dicembre 2019, pochi mesi prima che la pandemia costringesse la nuova amministrazione ad approvare un pacchetto di misure come l’Atp (Assistenza al Lavoro e alla Produzione) – sussidi salariali per i lavoratori formali per evitare licenziamenti e chiusure di aziende – e l’Ife (Reddito Familiare di Emergenza), una garanzia di reddito rivolta ai lavoratori più precari e disoccupati.

Il governo, tuttavia, ha calcolato male il numero di beneficiari dell’Ife, visto che undici milioni di persone hanno fatto domanda per fondi destinati solo a tre o quattro milioni. Pur comportando un notevole onere per il bilancio nazionale, il governo Fernández alla fine ha concesso l’Ife a dieci milioni di persone. All’epoca si pensò che il governo Fernández avesse commesso una svista, nel peggiore dei casi, dando credito alle accuse di incompetenza amministrativa. In realtà, il nuovo governo non si era reso conto di quanto la struttura del tessuto sociale e della forza lavoro argentina si fosse radicalmente trasformata e deteriorata durante gli anni neoliberali del macrismo.

Le politiche successive del governo Fernández, riprese nella campagna elettorale di Sergio Massa, hanno continuato a ignorare i nuovi lavoratori informali. Negli ultimi quattro anni, la politica sociale ha preso di mira i due gruppi più grandi e visibili di lavoratori argentini: i lavoratori dipendenti e i segmenti di quella che in Argentina è conosciuta come «economia popolare», legata al movimento sociale sindacale di organizzazioni come l’Utep (Unione dei Lavoratori dell’Economia Popolare), che sono formalmente autorizzate a ricevere e ridistribuire sussidi governativi e piani di lavoro per il welfare ai lavoratori informali. Oltre all’errore di calcolo dell’Ife, le esclusioni dell’amministrazione Fernández hanno dimostrato l’esistenza di ampi settori della classe operaia non inclusi in nessuno dei due gruppi.

Questo gruppo di esclusi è costituito da un’ampia gamma di lavoratori non registrati, o in nero, che non godono di alcuna prestazione previdenziale, e dai cosiddetti monotributistas, una categoria eterogenea che raggruppa, tra gli altri, i lavoratori autonomi, i lavoratori delle microimprese, i piccoli imprenditori che non generano entrate sufficienti per rientrare nel sistema fiscale nazionale, vari professionisti e i precari statali. In quest’ultima categoria rientrano anche i lavoratori domestici, i lavoratori delle piattaforme associate alle app di consegna come Uber e Rappi, i commercianti autonomi, i venditori ambulanti, i giovani che fluttuano tra lavori a breve termine e mal pagati e i liberi professionisti. A questi si aggiunge un numero minore di lavoratori di cooperative che, non essendo mai stati considerati come titolari di un rapporto di lavoro distinto, rientrano anch’essi nel sistema fiscale monotributario.

Se analizziamo ulteriormente questo gruppo, scopriamo che, lungi dall’essere una minoranza, costituisce una porzione considerevole della popolazione attiva argentina, è in gran parte giovane e, a parte i lavoratori domestici, è prevalentemente di sesso maschile. Molti di questi lavoratori si sono sentiti ignorati dalla maggior parte delle politiche pubbliche argentine. Ad esempio, durante la pandemia, quando molti di loro non hanno potuto lavorare o hanno dovuto lavorare in condizioni non sicure, non hanno ricevuto l’Atp e sono stati ampiamente esclusi dall’Ife. In quanto monotributistas o lavoratori in nero, continuano a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori sociali argentini.

Sensibili a una campagna mediatica che denigrava la gestione della pandemia da parte del governo, socialmente inibiti dalle misure di lockdown e cronicamente sottopagati, vivevano in condizioni mature per far crescere il loro risentimento. Per la stragrande maggioranza di questi lavoratori, durante la pandemia lo Stato non solo era assente, ma li aveva dimenticati, anche se loro erano considerati «essenziali» e consegnavano cibo e beni consumati dai “garantiti” reclusi per la pandemia.

Come in quasi tutti gli aspetti della vita sociale, la pandemia ha esacerbato e accelerato le tendenze esistenti che stavano già emergendo in modo più lento e stentato. L’elefante dei lavoratori informali è sfuggito a tutti, sia al governo che all’opposizione. È stato ignorato finché il fenomeno Milei non ha attirato la sua attenzione. E Milei ha ricambiato il favore riconoscendo la sua disperazione e capitalizzando i suoi sentimenti.

Un proletariato diviso contro sé stesso

Le trasformazioni nella struttura sociale emergono gradualmente e richiedono tempo per essere viste finché, un giorno, sembrano esplodere. Non è la prima volta che un’esplosione del genere si verifica in Argentina. Negli anni Quaranta, l’intensità del sostegno della classe operaia a Juan Domingo Perón sorprese le classi dirigenti, l’intellighenzia, la sinistra e lo stesso Perón. Il trionfo di Raul Alfonsín nel 1983 per il ritorno della democrazia è stato un altro di questi momenti. Anche la rivolta di massa che ha scosso l’Argentina il 19 e 20 dicembre 2001 è apparsa come un uragano improvviso, inarrestabile e senza una chiara destinazione. L’Argentina si trova ora in un momento simile: il malcontento di massa è palpabile, così come il bisogno sentito di speranza e di un salvatore. Ma perché Milei rappresenta un salvatore per così tanti argentini? Perché l’utopia dell’estrema destra sta seducendo gran parte della classe operaia?

L’attrattiva di Milei per questi settori disincantati e arrabbiati della classe operaia risiede in un discorso che combina soluzioni radicali (anche se da pensiero magico), un nemico facile e un futuro immaginario: una narrativa sgangherata che promette una nuova vita sbarazzandosi dello Stato e della «casta politica» che per troppo tempo ha ignorato i lavoratori e i poveri e li ha lasciati a sé stessi. Il discorso di Milei sulla «rottura» si basa su un’ideologia di neoliberismo estremo il cui fine ultimo, parafrasando David Harvey, è la ricostituzione del potere di classe. Laddove prima i cattivi di questa ideologia erano lo Stato sociale e il comunismo, i nuovi bersagli sono a portata di mano. Per il macrismo, si tratta del populismo del kirchnerismo, il movimento associato al peronismo di sinistra di Néstor e Cristína Fernández de Kirchner. Per Milei, come per Bolsonaro, si tratta di un vago socialismo e comunismo che mette nello stesso cesto i centristi e la sinistra più radicalizzata.

Ciò che rende unico questo nuovo neoliberismo di estrema destra è che la sua ideologia è troppo rozza per le classi ricche, che vogliono il dominio ma anche la prevedibilità per i loro interessi commerciali. Il messaggio di Milei non è un discorso adatto alla classe imprenditoriale, anche se Milei stesso lo ritiene tale e anche se alla fine molti interessi imprenditoriali e commerciali si sono tappati il naso e hanno votato per Milei. In realtà, Milei articola un discorso nichilista per il nuovo proletariato contro sé stesso e i propri interessi.

Il retroscena di questo nichilismo è l’impotenza del governo di Alberto Fernández a soddisfare anche solo nominalmente le elevate aspettative sociali che lo avevano portato al potere nel 2019. L’inefficacia dell’amministrazione uscente può essere legata a diversi fattori: gli obiettivi non raggiunti di un «governo tranquillo» (gobierno tranquilo); la permanente faziosità che l’ha immobilizzata, creando un’opposizione interna spesso più dura di quella ufficiale; e le fallite aspirazioni a mediare accordi con l’opposizione e con i principali settori economici. Nel complesso, l’amministrazione Fernández è stata caratterizzata da una mancanza di acume teorico e politico che si è manifestata quando non è riuscita a rispondere ai problemi strutturali della nuova configurazione sociale dell’Argentina.

Naturalmente, questo non è un problema esclusivo dell’Argentina. I paralleli tra Milei e Trump, Bolsonaro, l’estrema destra europea e altri esponenti dell’estrema destra latinoamericana, come il cileno José Kast e il colombiano Rodolfo Hernández – due figure che hanno sfiorato il governo nelle recenti elezioni – dimostrano che l’Argentina non è l’eccezione ma la nuova regola.

Non c’è futuro?

L’abilità di Milei nel cogliere la frustrazione di un’ampia parte della società argentina non assolve il governo uscente e il progetto politico associato al kirchnerismo. Come in altri paesi in cui l’autoritarismo ha preso piede, la sinistra non è stata in grado di comunicare un progetto alternativo convincente a un’ampia fascia della classe operaia di cui sostiene di essere portavoce. Troppo spesso noi di sinistra – in Argentina e nel mondo – non siamo riusciti a offrire nulla di più di un ritorno ai «bei tempi», ignorando che per i più emarginati quel periodo non è mai stato così bello. Che si tratti di progressismo tiepido o di sinistra radicale, siamo stati così impegnati a difendere le vittorie del passato che raramente abbiamo offerto proposte chiare e complete per futuri alternativi.

A quanto pare, la sinistra argentina non può che offrire ancora la stessa cosa, che è proprio ciò che Milei e i suoi seguaci hanno efficacemente inquadrato come la causa di tutti i mali. Non c’è un progetto, né tanto meno un discorso alternativo, per coloro che si trovano nella parte perdente dell’attuale realtà socioeconomica. Persino l’«economia popolare» e le prospettive, un tempo speranzose, del sindacalismo dei movimenti sociali appaiono troppo conservatrici per i settori informali dimenticati di Milei, e la rivendicazione di programmi di lavoro suona troppo simile alla fatica da cui vogliono fuggire i lavoratori autonomi e informali i freelance, i lavoratori domestici e quelli delle piattaforme.

Se non riusciamo ad articolare un progetto per migliorare il reddito, le condizioni di vita e le capacità produttive di tutti i lavoratori e le lavoratrici, le soluzioni attualmente offerte dalle organizzazioni che rappresentano la classe operaia argentina non saranno mai sufficienti. Se la sinistra non riesce a costruire e a comunicare efficacemente un progetto di trasformazione che dia speranza alle crescenti file del proletariato emergente, il meglio che possiamo fare è aspettare il fallimento di quest’ultima ondata di autoritarismo di ultradestra, che senza dubbio avrà un costo sociale, economico, politico e culturale intollerabile.

19/12/2023

A. RUGGERI /M. VIETA
Javier Milei a su capter le mécontentement d’une nouvelle classe ouvrière informelle

Andrés Ruggeri et Marcelo Vieta, Jacobin, 14/12/2023
Original :
Javier Milei Has Tapped Into the Discontent of a New, Informal Working Class
Español:
Milei captó el descontento de la clase trabajadora informal

Traduit par Fausto Giudice, Tlaxcala

Andrés Ruggeri (Buenos Aires, 1967) est anthropologue social (UBA) et dirige depuis 2002 le programme Facultad Abierta, une équipe de la faculté de philosophie et de lettres de l’UBA qui soutient, conseille et effectue des recherches sur les entreprises détenues par les travailleurs. Dans le cadre de ce programme, il a coordonné quatre enquêtes nationales sur les entreprises récupérées et plusieurs projets universitaires de volontariat et d’extension, ainsi que la création en 2004 du centre de documentation sur les entreprises récupérées qui fonctionne au sein de la coopérative Chilavert Artes Gráficas. Il est l’auteur et le co-auteur de plusieurs ouvrages spécialisés sur le sujet et a donné des conférences et des cours dans plusieurs pays d’Amérique latine, d’Europe et d’Asie. Depuis 2007, il coordonne l’organisation de la rencontre internationale L’économie des travailleurs ? , qui a déjà eu deux éditions en Argentine, une au Mexique et une autre au Brésil, ainsi qu’une rencontre européenne en France. Il est également l’auteur du livre Del Plata a La Habana. América en bicicleta, dans lequel il raconte son voyage de 1998 à travers l’Amérique latine en solidarité avec la révolution cubaine. Par la suite, il a fait le tour du monde à vélo tandem en traversant 22 pays du tiers-monde avec sa compagne Karina Luchetti. Il enseigne également un séminaire spécialisé en anthropologie et en histoire (UBA) et dirige la revue Autogestión Para otra economía.  Articles en plusieurs langues. @RuggeriAndres1

Marcelo Vieta est professeur associé au sein du programme d’éducation des adultes et de développement communautaire de l’université de Toronto. Il est l’auteur de Workers’ Self-Management in Argentina et coauteur de Cooperatives at Work. Bibliographie

Le plus surprenant dans l’élection du libertarien d’extrême droite Javier Milei en Argentine, c’est qu’il a recueilli une grande partie du vote de la classe ouvrière. Sa capacité à répondre aux inquiétudes du secteur précaire en pleine expansion dans le pays devrait être un signal d’alarme pour la gauche.

Le président argentin Javier Milei arrive pour un service interreligieux à la cathédrale métropolitaine après la cérémonie d’investiture présidentielle le 10 décembre 2023 à Buenos Aires, Argentine. (Marcos Brindicci / Getty Images)

Le “phénomène Milei” en Argentine a commencé à prendre de l’ampleur lorsque l’homme politique d’extrême droite a remporté une victoire inattendue lors des primaires présidentielles du mois d’août. Aujourd’hui, Javier Milei est le premier anarcho-capitaliste et libertarien autoproclamé à diriger une grande économie nationale.

Économiste de formation, Milei s’est d’abord fait connaître en tant que personnalité brûlante de la télévision et des médias sociaux, encline à des tirades misogynes et truffées de jurons. L’entrée officielle de Milei dans la politique argentine s’est faite peu de temps après, en 2021, lorsqu’il a remporté un siège au Congrès national. Adepte de longue date du sexe tantrique, dévot des gourous néolibéraux Friedrich von Hayek et Milton Friedman, et propriétaire de plusieurs mastiffs anglais clonés qu’il appelle ses "enfants à quatre pattes", Milei a proclamé quelques heures après avoir battu son adversaire péroniste que “tout ce qui peut être entre les mains du secteur privé sera entre les mains du secteur privé”.


Milei a en tête l’ensemble des 137 entreprises publiques argentines, telles que l’entreprise publique d’énergie Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF), le vaste réseau de médias publics du pays (Radio Nacional, TV Pública et l’agence de presse Télam), les services postaux et la compagnie aérienne nationale Aerolineas Argentinas. Il a également laissé entendre qu’il démantèlerait le système de santé publique argentin et qu’il privatiserait une grande partie des systèmes d’enseignement primaire et universitaire, y compris l’institution de recherche de l’enseignement supérieur financée par l’État. Milei a également courtisé les capitaux usaméricains pour procéder à l’extraction non réglementée des importantes réserves de lithium et de gaz de schiste du pays. Plus impudemment peut-être, il a promis de se débarrasser de la Banque centrale argentine, de dollariser l’économie (à l’instar de l’Équateur, du Salvador et du Zimbabwe), de libéraliser les marchés et de lever les contrôles stricts des changes du pays.

Ces propositions néolibérales sont certes choquantes mais ne sont pas nouvelles en Argentine. José Martinez de Hoz, ministre de l’Économie de la dictature sanglante de Jorge Videla à la fin des années 1970, et Domingo Cavallo, ministre de l’Économie de Carlos Menem dans les années 1990 néolibérales, ont lancé des politiques économiques tout aussi régressives. En fait, Roberto Dromi, ministre des Travaux publics de Menem, avait clamé presque mot pour mot le même message il y a plus de trente ans : “Rien de ce qui appartient à l’État ne restera dans les mains de l’État”.


Le “plan tronçonneuse” de Milei (plan motosierra, sa version du "drainage du marais" de Trump) sera probablement contesté dans les deux chambres du congrès du pays, où sa coalition “La liberté avance” est minoritaire. Néanmoins, les menaces de mesures d’austérité peuvent très bien être mises à exécution par des décrets présidentiels, et nombre d’entre elles seront sans aucun doute mises en œuvre. À long terme, les résultats seront dévastateurs pour l’Argentine.

Bien que, là encore, ces mesures ne soient pas sans précédent. Dans les années 1990, l’administration Menem a supervisé la vente massive d’actifs publics, l’arrimage du peso au dollar (de fait, un programme de dollarisation) et la libéralisation des marchés, le tout à l’enseigne du contrôle de l’inflation et de l’austérité. Ces mesures ont finalement conduit à un chômage massif (officiellement plus de 20 %), à des taux records de précarité et d’indigence (plus de la moitié de la population), à la délocalisation d’une grande partie de la capacité de production de l’Argentine, à la prise de contrôle de l’économie nationale par les multinationales et à des troubles sociaux extrêmes.

La victoire de Milei suggère que le souvenir de ces années s’est estompé pour une grande partie de l’électorat argentin, qui est accablé par un taux d’inflation de plus de 185 % pour 2023 et une forte augmentation de l’insécurité, alimentée par les infos quotidiennes et les médias sociaux.


Marcelo Spotti

Les mois à venir montreront jusqu’où le nouveau gouvernement de Milei sera capable de faire avancer son programme néolibéral et s’il conservera le soutien de la population au fur et à mesure que les mesures annoncées seront mises en œuvre. La réponse des secteurs populaires historiquement militants de l’Argentine pourrait être décisive. Ce qui est certain, c’est que pour l’opposition politique et la plupart des travailleurs, le chemin à parcourir sera rude.

“Nous n’avons rien vu venir !”

La véritable nouveauté du programme ultranéolibéral de Milei réside peut-être dans sa franchise. Les nouveaux ministres et porte-parole du gouvernement ont déjà averti les Argentin·es qu’ils·elles devaient se préparer à des jours d’austérité. Milei a également déclaré qu’il répondrait à toute forme de protestation sociale par des mesures répressives extrêmes, rappelant ainsi les jours les plus sombres de la dictature civico-militaire.

L’une des grandes surprises de la victoire de Milei en novembre est qu’elle a bénéficié du soutien des secteurs de la classe ouvrière argentine traditionnellement orientés à gauche : 50,8 % des électeurs salariés, 47,4 % des retraités, 50,9 % des électeurs du secteur informel, 52,3 % des ouvriers et près de 30 % de la base péroniste traditionnelle ont voté pour Milei. Outre les 25 à 30 % d’électeurs constituant la base de droite de Milei, environ 53 % des moins de 30 ans, et les votes transférés de la droite traditionnelle et de la classe supérieure qui ont soutenu la coalition Juntos por el Cambio de Mauricio Macri et Patricia Bullrich, cet électorat a permis à Milei de remporter une victoire confortable.

Pourtant, malgré le succès retentissant de Milei lors des primaires d’août et du second tour de novembre - sans parler de sa notoriété médiatique de longue date - la ligne qui circule dans les sphères politiques et intellectuelles argentines est la suivante : “nous n’avons rien vu venir”. C’était le point de vue officiel du gouvernement de gauche sortant d’Alberto Fernández et du candidat en lice Sergio Massa. La campagne perdue de Massa a tenté de rabaisser Milei au rang de caricature politique, mais en vain.

Ignorée par l’establishment politique et médiatique, la coalition d’extrême droite de Milei marque le durcissement de changements socio-économiques qui n’ont eux-mêmes reçu que peu d’attention. En y regardant de plus près, l’inflation persistante et aiguë sans réponse efficace du gouvernement, les défis continus liés à la pandémie, l’influence croissante des médias sociaux et la polarisation marquée du discours politique ont fait de la montée d’une personnalité comme Milei - la version argentine de Jair Bolsonaro ou Donald Trump - un phénomène prévisible.

L’éléphant que personne n’a vu

La question est de savoir pourquoi le “plan tronçonneuse” de Milei a trouvé un écho parmi les pauvres et les travailleur·ses argentin·es, qui souffriront le plus de ses politiques.

L’une des explications est que Milei arrive au sommet d’une vague néolibérale qui, depuis des décennies, érode l’État-providence et la base industrielle traditionnellement solide de l’Argentine (comme en témoigne le fait qu’entre les années 1950 et 1970, l’Argentine a connu de longues périodes de plein emploi). Cette vague néolibérale s’est accompagnée d’une adhésion totale à une rationalité économique qui semblait autrefois étrangère au sens commin argentin.

Pendant l’administration néolibérale de Mauricio Macri, de 2015 à 2019, il est devenu courant en Argentine de parler des “éléphants qui nous ont dépassés”, en référence aux politiques socio-économiques régressives mises en œuvre par le macrisme. Ces politiques comprenaient une dette massive financée par le Fonds monétaire international, une inflation élevée et une fuite des capitaux, que les médias du pays ont pour la plupart ignorées ou dissimulées. Cependant, il y avait un autre éléphant dans la pièce que beaucoup n’ont pas reconnu : la forte croissance du secteur du travail informel et précaire, qui existait en dehors de toute organisation syndicale ou de tout programme social gouvernemental. Le secteur informel, important et en pleine croissance, a été remarquablement absent du débat public argentin pendant une dizaine d’années, toujours considéré par les économistes et les dirigeants politiques comme un phénomène passager, sans représentation et dépourvu de voix politique. Ce n’était qu’une question de temps avant qu’une personnalité comme Milei ne commence à utiliser un langage qui résonne dans ce nouveau secteur de la classe ouvrière.

Composé de travailleur·ses de l’économie parallèle, de freelances, de travailleur·ses occasionnels et de travailleur·ses des services, ce secteur a connu une croissance exponentielle pendant la pandémie. Alors que de nombreux·ses Argentin·es ont souffert pendant les périodes de confinement strict qui ont duré presque toute l’année 2020 et jusqu’en 2021, la pandémie a frappé de plein fouet ce nouveau groupe de travailleur·ses informel·les et sans contrat, car beaucoup ont continué à travailler sans bénéficier des protections sociales dont jouissent les autres secteurs.

Officiellement connu sous le nom d’Aislamiento Social, Preventivo y Obligatorio (isolement social, préventif et obligatoire, ou ASPO), le mandat de confinement national a mis en évidence les contradictions et les complexités liées au fait de devoir choisir entre prendre soin de la santé publique et prendre soin de l’économie. Le gouvernement d’Alberto Fernández est arrivé au pouvoir en décembre 2019, quelques mois seulement avant que la pandémie n’oblige la nouvelle administration à adopter un ensemble de mesures telles que l’ATP (aide au travail et à la production) - des subventions salariales pour les travailleurs du secteur formel afin d’éviter les licenciements et les fermetures d’entreprises - et l’IFE (revenu familial d’urgence), une garantie de revenu destinée aux travailleurs les plus précaires et les plus au chômage.

Le gouvernement a cependant mal calculé le nombre de bénéficiaires de l’IFE, puisque onze millions de personnes ont demandé des fonds qui n’étaient prévus que pour trois à quatre millions de personnes. Tout en grevant considérablement le budget national, le gouvernement Fernández a finalement accordé l’IFE à dix millions de personnes. À l’époque, on a supposé que le gouvernement Fernández avait commis un oubli, au pire, ce qui a donné du crédit aux accusations d’incompétence administrative. En réalité, le nouveau gouvernement n’avait pas vu à quel point la structure du tissu social et de la main-d’œuvre argentine s’était fondamentalement transformée et détériorée pendant les années néolibérales du macrismo.

Les politiques ultérieures du gouvernement Fernández, reprises dans la campagne de Sergio Massa, ont continué à ignorer le nouveau travailleur informel. Au cours des quatre dernières années, la politique sociale a ciblé les deux groupes de travailleurs les plus importants et les plus visibles d’Argentine : les travailleurs salariés et les segments de ce que l’on appelle en Argentine "l’économie populaire", alignés sur le syndicalisme de mouvement social d’organisations telles que l’UTEP (Union des travailleurs de l’économie populaire), qui sont officiellement autorisées à recevoir et à redistribuer aux travailleurs informels les subventions gouvernementales et les plans de travail pour la sécurité sociale. Outre l’erreur de calcul de l’IFE, les exclusions de l’administration Fernández ont montré l’existence de vastes secteurs de la classe ouvrière non inclus dans l’un ou l’autre des deux groupes.

Ce groupe d’exclus se compose d’un éventail diversifié de travailleurs non enregistrés, ou en negro, qui ne bénéficient d’aucune prestation de sécurité sociale, et de ce que l’on appelle les monotributistas, une catégorie hétéroclite qui regroupe les entrepreneurs indépendants, les travailleurs des microentreprises, les petits entrepreneurs qui ne génèrent pas suffisamment de revenus pour figurer dans le système fiscal national, diverses professions libérales, et les entrepreneurs précaires de l’État, entre autres. Cette dernière catégorie comprend également les travailleurs domestiques, les travailleurs des plateformes associées à des applications de livraison comme Uber et Rappi, les artisans indépendants, les vendeurs de rue, les jeunes qui oscillent entre des emplois de courte durée et mal rémunérés, et les freelances. Il y a également un plus petit nombre de travailleurs coopératifs qui, parce qu’ils n’ont jamais été considérés comme entretenant une relation de travail distincte, tombent également sous le régime fiscal monotributista.

Si nous analysons plus en détail ce groupe, nous constatons que, loin d’être une minorité, il représente une part considérable de la population active argentine, qu’il est en grande majorité jeune et que, à l’exception des travailleur·ses domestiques, il est essentiellement composé d’hommes. Beaucoup de ces travailleurs se sont sentis ignorés par l’essentiel des politiques publiques argentines. Par exemple, pendant la pandémie, alors que nombre d’entre eux ne pouvaient pas travailler ou devaient le faire dans des conditions dangereuses, ils n’ont pas bénéficié de l’ATP et ont été largement exclus de l’IFE. En tant que monotributistas ou travailleurs en negro, ils continuent d’être exclus de la plupart des filets de sécurité sociale argentins.

Susceptibles de faire l’objet d’une campagne médiatique dénonçant la gestion de la pandémie par le gouvernement, socialement inhibés par les mesures de confinement et chroniquement sous-payés, les conditions étaient réunies pour que les rancœurs se développent. Pour la grande majorité de ces travailleurs, l’État n’était pas seulement absent, il les avait oubliés, alors même qu’ils étaient considérés comme “essentiels” et qu’ils livraient la nourriture et les biens consommés par les “ayant droit” confinés.

Comme dans pratiquement tous les aspects de la vie sociale, la pandémie a exacerbé et accéléré des tendances existantes qui émergeaient déjà plus lentement et et de manière plus hésitante. L’éléphant du travail informel a échappé à tout le monde, au gouvernement comme à l’opposition. Il a été ignoré jusqu’à ce que le phénomène Milei attire l’attention. Et Milei lui a rendu la pareille en reconnaissant son désespoir et en capitalisant sur ses sentiments.

Un prolétariat divisé contre lui-même

Les transformations de la structure sociale apparaissent progressivement et mettent du temps à se manifester jusqu’au jour où elles semblent exploser. Ce n’est pas la première fois qu’une telle explosion se produit en Argentine. Dans les années 1940, l’intensité du soutien de la classe ouvrière à Juan Domingo Perón a surpris les classes dirigeantes, l’intelligentsia, la gauche et Perón lui-même. Le triomphe de Raul Alfonsín en 1983 pour le retour de la démocratie a été un autre moment de ce type. La révolte de masse qui a secoué l’Argentine les 19 et 20 décembre 2001 est également apparue comme un ouragan soudain, impossible à arrêter et sans destination précise. L’Argentine se trouve aujourd’hui dans une situation similaire : le mécontentement des masses est palpable, tout comme le besoin d’espoir et de sauveur. Mais pourquoi Milei représente-t-il un tel sauveur pour tant d’Argentins ? Comment se fait-il qu’une utopie d’extrême droite séduise aujourd’hui une grande partie de la classe ouvrière ?

L’attrait de Milei pour ces secteurs désenchantés et en colère de la classe ouvrière réside dans un discours combinant des solutions radicales (voire magiques), un ennemi facile et un avenir imaginaire : une fiction déséquilibrée qui promet une nouvelle vie en se débarrassant de l’État et de la "caste politique" qui a trop longtemps ignoré les travailleurs et les pauvres et les a laissés se débrouiller tout seuls. Le discours de “rupture” de Milei est basé sur une idéologie de néolibéralisme extrême dont le but ultime, pour paraphraser David Harvey, est la reconstitution du pouvoir de classe. Alors qu’auparavant les méchants de cette idéologie étaient l’État-providence et le communisme, de nouveaux mandataires sont à portée de main. Pour le macrismo, c’était le populisme du kirchnerismo, le mouvement associé au péronisme de gauche de Néstor et Cristína Fernández de Kirchner. Pour Milei, comme pour Bolsonaro, il s’agit d’un socialisme et d’un communisme flous qui mêlent les centristes et les gauchistes les plus radicalisés.

Ce qui rend ce nouveau néolibéralisme d’extrême droite unique, c’est que son idéologie est trop grossière pour les classes aisées, qui veulent la domination mais aussi la prévisibilité pour leurs intérêts commerciaux. Le message de Milei n’est pas un discours préparé pour la classe d’affaires, même si Milei lui-même pense qu’il l’est, et même si de nombreux entrepreneurs et biznessmen se sont bouché le nez et ont voté pour Milei à la fin. En réalité, Milei articule un discours nihiliste pour le nouveau prolétariat contre lui-même et ses propres intérêts.

Ce nihilisme s’explique par l’impuissance du gouvernement d’Alberto Fernández à satisfaire, ne serait-ce que nominalement, les attentes sociales élevées qui l’ont porté au pouvoir en 2019. L’inefficacité de l’administration sortante peut être liée à plusieurs facteurs : ses objectifs non atteints de “gouvernement tranquille” (gobierno tranquilo) ; le factionnalisme permanent qui l’a immobilisé, créant une opposition interne souvent plus dure que l’opposition officielle ; et ses aspirations ratées à négocier des accords avec l’opposition et les principaux secteurs économiques. Dans l’ensemble, l’administration Fernández a été marquée par un manque d’acuité théorique et politique qui s’est révélé lorsqu’elle n’a pas su répondre aux problèmes structurels de la nouvelle configuration sociale de l’Argentine.

Bien entendu, il ne s’agit pas d’un problème propre à l’Argentine. Les parallèles entre Milei et Trump, Bolsonaro, l’extrême droite européenne, et d’autres partisans de l’extrême droite latino-américaine, comme le Chilien José Kast et le Colombien Rodolfo Hernández - deux personnalités qui ont failli accéder au gouvernement lors des dernières élections - montrent que l’Argentine n’est pas l’exception, mais la nouvelle règle.

No Future ?

La capacité de Milei à exploiter la frustration d’une grande partie de la société argentine n’absout pas le gouvernement sortant et le projet politique associé au kirchnerismo. Comme dans d’autres pays où l’autoritarisme s’est installé, la gauche a été incapable de communiquer un projet alternatif convaincant à une grande partie de la classe ouvrière qu’elle prétend représenter. Trop souvent, nous, les gens de gauche - en Argentine et dans le monde - n’avons pas réussi à proposer autre chose qu’un retour aux “bons moments”, en ignorant que pour les plus marginalisés, cette période n’a jamais été si bonne que cela. Qu’il s’agisse du progressisme tiède ou de la gauche radicale, nous avons été tellement occupés à défendre les victoires passées que nous avons rarement offert des propositions claires et complètes de futurs alternatifs.

La gauche argentine ne peut apparemment qu’offrir plus de la même chose - ce qui est précisément ce que Milei et ses partisans ont effectivement reformulé comme la cause de tous les maux. Il n’y a pas de projet, et encore moins de discours alternatif, pour les perdants de la réalité socio-économique actuelle. Même l’“économie populaire” et les perspectives autrefois prometteuses du syndicalisme de mouvement social semblent trop conservatrices pour les secteurs informels ciblés par Milei, son apologie de programmes de travail ressemblant trop aux corvées auxquelles les travailleurs indépendants et informels, les freelances, les employé·es de maison et les travailleur·ses des plates-formes veulent échapper.

Si nous ne parvenons pas à articuler un projet visant à améliorer les revenus, les conditions de vie et les capacités productives de tou·tes les travailleur·ses, les solutions actuellement proposées par les organisations représentant la classe ouvrière argentine ne seront jamais suffisantes. Si la gauche ne parvient pas à construire et à communiquer efficacement un projet transformateur qui donne de l’espoir aux rangs croissants du prolétariat émergent, le mieux que nous puissions faire est d’attendre l’échec de cette dernière vague d’autoritarisme d’ultradroite, qui aura sans aucun doute un coût social, économique, politique et culturel intolérable.