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Jaime Rafael Nieto López
El Reloj Político Latinoamericano 

Hoy sabemos que el mundo se está transformando desde el punto de vista geopolítico, obviamente también desde el punto de vista geoeconómico, lo cual reclama de los gobiernos progresistas una política regional e internacional cada vez más autónoma, soberana e integrada frente a los grandes poderes a nivel mundial… Es probable que aún no estén dadas las condiciones subjetivas para un giro revolucionario. Pero, ¿existe la voluntad política por parte del progresismo para efectuarlo?

Hamza Hamouchene
 Vietnam, Algeria, Palestine: passing on the torch of the anti-colonial struggle
 Vietnam, Argelia y Palestina: pasar la antorcha de la lucha anticolonial
Entre le Vietnam, l’Algérie et la Palestine, passer le flambeau de la lutte anticoloniale


Nir Hasson: A Massive Database of Evidence, Compiled by a Historian, Documents Israel's War Crimes in Gaza”

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11/04/2023

FAUSTO GIUDICE
50 anni dopo, la rinascita di Malika, uccisa all’età di 8 anni da un gendarme francese: un libro pugno allo stomaco

Fausto Giudice, 11 aprile 2023

I.                Preludio

Ammettiamolo: la mia generazione, quella dei babyboomers sessantottini, ha una tendenza generale a guardare con condiscendenza la generazione dei millenials, quella dei loro nipoti. O almeno è così che loro spesso percepiscono i nostri atteggiamenti da veterani.

Io stesso non giudico mai nessuno, e alla fine mi è costato caro. Il tradimento e la calunnia sono la sorte comune degli esseri umani non appena formano una società. E capisco perfettamente i miei giovani amici che scelgono la strada dell’eremitaggio de-tecnologizzato in montagna. Ho iniziato a pensarci e a sognare di creare comunità rurali in cui qualsiasi oggetto elettronico o addirittura elettrico venga lasciato sotto sorveglianza all’ingresso.

Nel frattempo, trascorro, con crescente disperazione, troppo del tempo che mi resta da vivere davanti ai miei schermi e alle mie tastiere. Venticinque anni fa, le mie viscere si sono ribellate a tutto questo e hanno cominciato a sanguinare. Me la sono cavata, per un miracolo inspiegabile. Il chirurgo che mi ha operato la seconda volta mi ha raccontato che quando ero sul tavolo e la mia pressione sanguigna era scesa a zero, ha detto all’équipe: “Vado a fare uno spuntino, penso che quando tornerò sarà passato”. E quale fu la sua sorpresa quando, tornando dalla mensa, scoprì che il Rital respirava ancora. Mi spiegò l’ipotesi medica che la mia emorragia digestiva fosse la sindrome di Mallory-Weiss. Questo mi fu di grande aiuto. Gli dissi che secondo me ero stato vittima della sindrome della rivoluzione virtuale sul Mcintosh. Il colpo che mi aveva stroncato era stato un progetto totalmente fuoritesta di un gruppo di cretini di Marsiglia, Avignone e dintorni di fare una “carovana verso la Palestina”. Ho subito scoperto che non solo erano abissalmente ignoranti, ma anche - e questo di solito va di pari passo - terribilmente pretenziosi. In breve, nessuna carovana, né in Palestina, né in nessun altro luogo se non l’ospedale.

Tornato da 12 anni nel paese in cui sono cresciuto, senza televisione, senza computer (non esisteva), senza cellulare (il telefono fisso dei miei genitori, che era in camera mia, non squillava quasi mai), ho avuto uno shock, una raffica di shock: nella Medina erano scomparse intere strade di artigiani, in via Malta Sghrira tutti gli artigiani del ferro battuto erano stati sostituiti da mercanti di mobili in legno scadente (le sedie a sdraio che ho comprato non sono durate un anno) e plastica, e nel mercato centrale i bei pomodori rossi avevano lasciato il posto a insipidi pomodori arancioni, provenienti da semi ibridi prodotti nell’UE e destinati all’UE. E otto dei dodici milioni di abitanti del Paese avevano un conto fesbuc. Poiché gli abbonamenti telefonici sono spesso abbinati a un account fesbouc, molti utenti (o usati?) conoscono della rete solo fesbuc, wadzapp, youtube, telegram o, ora, tiktok. Ed è così ovunque, da Medellin a Nablus, da Soweto a Jebel Lahmar. Durante le campagne elettorali a cui ho assistito nel mio “Paese del ritorno”, non ho visto un solo manifesto attaccato a un muro. Nessuna delle centinaia di persone sotto i 45 anni che ho conosciuto in questi 12 anni ha mai scritto e preparato un volantino in vita sua, per distribuirlo alle 5 del mattino davanti al cancello di una fabbrica, o alle 8 davanti al cancello di una scuola superiore, o a mezzogiorno in un mercato, o alle 18 all’uscita di un grande magazzino. Insomma, in poche parole, siamo passati dal collé-serré [incollato-stretto, modo di ballare] della mia giovinezza al copia-incolla-invia-liki-buzzi di oggi. E le tre dozzine di bastardi che stanno cercando di fare la legge sur nostro pianeta che sta implodendo lavorano duramente (o meglio, fanno lavorare duramente i loro schiavi haitech) per assicurarsi di non avere più bisogno di noi, annientandoci, mentre preparano la loro fuga, sulla Luna o su Marte o altrove. Qualche anno fa, un geniale truffatore è riuscito a vendere titoli di proprietà di appezzamenti di terreno sulla luna a israeliani che sentivano che il progetto sionista stava definitivamente fallendo e che non avevano altra scelta che colonizzare la luna. Lì, almeno, erano sicuri di trovarsi in territorio garantito araberrein [pulito dagli arabi.

II.           Malika e Malika

Il 5 giugno 2021 ho ricevuto una notifica da Yezid Malika Jennifer: “Buonasera signore. Grazie per l’omaggio a mia zia Malika yezid uccisa nel 1973 dai gendarmi [emoji] buona sera”.

Il 7 giugno, secondo messaggio:



La piccola di sotto era Malika.

Ho letto il suo libro e quando ho visto il nome yezid, che è anche il mio nome, mi ha toccato il cuore. Perché questa storia ha distrutto la mia famiglia. Mia nonna mi ha raccontato questa storia. Tutti questi abusi polizieschi, queste famiglie distrutte, è orribile.  Tutti questi nomi di vittime: non dobbiamo mai dimenticare. Buona giornata.

Ecco a cosa si riferiva:

“Domenica 24 giugno (1973), i gendarmi di Fresnes, alla ricerca di un quattordicenne algerino fuggito, hanno aggredito la sua sorellina. Malika Yazid stava giocando nel cortile della cité de transit dei Groux, dove viveva a Fresnes. È salita nell'appartamento per avvertire il fratello. I gendarmi hanno fatto irruzione nell'appartamento.

Uno di loro, dopo aver dato a Malika uno schiaffo, si rinchiude con lei in una camera per un “interrogatorio”. Un quarto d'ora dopo, Malika esce dalla stanza e crolla sul pavimento. Muore quattro giorni dopo all'ospedale Salpétrière senza essere uscita dal coma.”

Sono le undici righe che ho dedicato alla piccola Malika, uccisa a schiaffi da un gendarme all’età di otto anni, in quella terribile estate del 1973, la sequenza più dura del ventennio arabicida che ho ricostruito nel libro che porta questo nome, pubblicato nel 1992. Questo libro era stato una scelta ovvia, fatta durante il lavoro sul precedente, Têtes de Turcs en France, pubblicato nel 1989, che aveva avuto un discreto successo (più di 25.000 copie vendute, all’epoca si leggevano ancora libri stampati su carta). Era dolorosamente evidente che era impossibile dedicare un capitolo solo di Têtes de Turcs (ogni capitolo descriveva un esempio di apartheid alla francese: lavoro, sanità, scuola, casa, ecc.) a quelli che allora venivano chiamati “crimini razzisti”. Ce n’erano stati troppi. Decisi quindi di dedicarvi un libro a parte. Per due anni, il soggiorno del mio tugurio a Ménilmontant è stato bloccato da una lunga tavola appoggiata su due sedie, su cui erano ammassate le cartelle gialle per caso e per anno. Insomma, un preludio materiale (legno, inchiostro, carta) alle tabelle Excel del prossimo futuro.

Alla fine ne avevo 350 in 21 anni, ovvero 16,6 all’anno, 1,3 al mese. Un’inezia rispetto ai negricidi in AmeriKKKa. Ma per carità, non siamo dagli yankees, siamo nella culla dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, tutti gli uomini nascono liberi e uguali nei diritti ecc. ecc. che abbiamo appena celebrato in pompa magna sugli Champs-Élysées con la parata di Jean-Paul Goude per il Bicentenario della Grande Rivoluzione! Confesso che in quelli due anni di intenso lavoro investigativo, più di una volta ho rischiato la depressione e la fuga, forse non sulla luna, ma comunque lontano da Madame la France, come dicevano i magrebini (in riferimento alla banconota da 100 franchi con l’effigie della Libertà dal seno scoperto che guida il popolo).

I momenti più difficili sono stati i processi, dove le povere famiglie arabe hanno sperimentato una seconda morte, inflitta dalla fronte degli infarinati: giudici, pubblici ministeri, avvocati difensori e imputati mano en la mano, e giurati - quando si trattava di assise - totalmente intoniti e muti. Non ho mai sentito un solo giurato dire una parola durante un processo di tre giorni. Viene da chiedersi quale sia lo scopo delle giurie dette popolari.

 La famiglia di Malika non ha dovuto subire questo: il caso è stato chiuso in fretta. Ma non è stato risparmiato loro nient’altro. Jennifer Malika Fatima è una delle due uniche sopravvissute della famiglia, decimata dall’hogra [disprezzo], dalla droga, dalla delinquenza e, dietro a tutto questo, dal cosiddetto transit. Il complesso residenziale di transito di Les Groux, a Fresnes, a due passi dalla prigione (“comodo”, dice suo zio Nacer, l’unico altro sopravvissuto, che ne ha avuto un assaggio), una situazione provvisoria che è durata etrnamente. Abbandonata al suo destino con la nonna dopo il suicidio della madre, a 18 mesi fu affidata a una famiglia adottiva puramente gallica. Vi rimase per trent’anni e alla fine sfuggì al suo destino dopo aver sfiorato tutti i soliti pericoli che attendono i bambini delle classi pericolose razzizzate.

E ora, il 7 aprile, esce il SUO LIBRO! Un vero evento! Non voglio fare spoiler, ma solo dire questo: questo libro è la migliore realizzazione che io conosca ad oggi del desiderio che avevo formulato per me stesso quando è uscito il mio libro Arabicides. Non ero soddisfatto del risultato finale del mio lavoro, sognavo a A Sangue Freddo di Truman Capote, che aveva lavorato per anni su due giovani assassini nel braccio della morte e aveva prodotto un capolavoro. E mi sarebbe piaciuto cucinare alcuni autori di arabicidi e i loro famigliari, ma non sono riuscito a trovarne. Comunque non ero Truman Capote, La Découverte non era una grande casa newyorkese che poteva pagare dei detective, ero solo un oscuro giornalista “islamogauchiste” italiano prima del tempo (“Ah! Lei parla molto bene il francese”- “Come lo dici, bastardo, il francese è il nostro bottino di guerra”), edito da una casa editrice dal passato glorioso (François Maspero) ma dal presente critico (è stata poi acquistata da una multinazionale), insomma mi dicevo che il mio lavoro era un servizio minimo da rendere alle generazioni future che si sarebbero interrogate su questa storia e avrebbero voluto scavarci.

Trenta o cinquant’anni dopo, questo è esattamente ciò sta accadendo. È sempre la terza generazione a tirare fuori il passato dall’oblio: questo vale per gli armeni, per gli ebrei d’Europa e per tutti gli altri. È la generazione dei nipoti delle vittime di crimini di Stato massicci, concentrati o diluiti, che fa rivivere le esperienze traumatiche collettive e le trasmette alla generazione successiva. Il libro di Jennifer Malika Fatima è, a mia conoscenza, il primo del suo genere, costruito sui ricordi, le conversazioni e gli incredibili archivi accuratamente conservati e archiviati da sua nonna, una cabila (ingannevolmente) analfabeta.

Non si tratta di una tesi di dottorato formattata in modo accademico e generalmente illeggibile per la gente comune, ammesso che sia accessibile. È un pugno nello stomaco. Appena l’ho ricevuto, l’ho ingoiato tutto e l’ho finito in due ore. Poi mi sono rifugiato in una ruminazione intontita per qualche settimana. Tempo di digerire. Questo è il risultato della mia digestione, perché mi ero ripromesso di pubblicare questa recensione non convenzionale per l’uscita del libro il 7 aprile.

Il libro, per il quale Jennifer Malika Fatima è stata sostenuta in modo sororale/fraterno e rispettoso dalla scrittrice Asya Djoulaït per la formattazione del manoscritto e dallo storico Sami Ouchane per la presentazione dei documenti tratti dagli archivi - che non hanno cercato di imporle una formattazione accademica -, è magnificamente postfazionato dalla cara Rachida Brahim, un’altra piccola stella splendente delle generazioni venture alla quale mi ero detto che il mio libro avrebbe potuto parlare. Il libro ha beneficiato di un’edizione accurata ed esemplare da parte di una giovane casa editrice femminista di Marsiglia, Hors d’atteinte [Fuori portata], che ho scoperto con piacere e il cui catalogo ha messo in subbuglio le mie ghiandole salivari, al punto che domani ho un appuntamento con il mio dentista per la rimozione di un mucocele del labbro inferiore (spiegazioni in rete).

Brave, signore, mi avete tolto la tentazione di essere accondiscendente. Credo che apparteniamo alla stessa specie: quella delle persone che non sanno di cosa si parla quando si dice: pensioni. Concludo con questa frase di Nietzsche che concludeva il mio libro: “L’uomo di lunga memoria è l’uomo del futuro”. Uomo, naturalmente, nel senso di Mensch, umano, in tedesco, yiddish e newyorkish.

Quindi non esitate e correte alla vostra libreria locale (dimenticate Amazon, per favore!) e ordinate il libro questo sabato (è distribuito da Harmonia Mundi), se potete leggere il francese. Se casomai vi trovate a Marsiglia il 3 giugno, incontrate Jennifer Yezid per una conferenza su “Malika, una vita preziosa. Genealogia di un crimine di polizia” presso la biblioteca Alcazar, 58, cours Belsunce. E se non conoscete il francese, vi toccherà aspettare una versione italiano. Ci diamo da fare per renderla possibile. Editori interessati possono rivolgersi a tlaxint[[at]gmail.com.


Cartaceo 15€ - Elettronico 11,99€.