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21/01/2024

Le kibboutz Manara, symbole de la ténacité des colons israéliens d’après Ben-Gourion, est aujourd’hui abandonné

 Moshe Gilad, Haaretz, 18/1/2024
Traduit par Fausto Giudice, Tlaxcala 

Situé au sommet d’une crête montagneuse, le kibboutz Manara n’a jamais été l’endroit le plus facile à vivre, même dans ses meilleures époques. Aujourd’hui, alors que le Hezbollah prend ses maisons pour cible presque quotidiennement, ses habitants ont été évacués vers le sud et ne savent pas quand ils pourront y retourner

Des volutes de fumée s’élèvent au-dessus village de Meiss El Jabal, le long de la frontière sud du Liban avec le nord d’Israël, à la suite d’un bombardement israélien le 20 décembre 2023, avec le kibboutz israélien de Manara à l’arrière-plan. Photo : AFP/Getty Images

Depuis 80 ans, Manara est un symbole national que les Israéliens ne peuvent plus quitter des yeux. La plupart du temps, cela s’est produit contrairement aux souhaits des résidents de ce petit kibboutz isolé, situé contre vents et marées au sommet d’une montagne dans le nord d’Israël.

Aujourd’hui, cette situation attire à nouveau l’attention, car le kibboutz, qui compte habituellement quelque 250 habitants, est complètement vide. Le fait que l’un des symboles des projets les plus tenaces de colonisation de la terre soit resté abandonné pendant trois mois, certains de ses bâtiments ayant été détruits, en a fait à nouveau un symbole.

Manara était l’une des communautés honorées il y a plusieurs décennies par les Forces de défense israéliennes, lors d’une cérémonie à laquelle assistait le Premier ministre David Ben-Gourion, pour souligner sa « ténacité dans la bataille et le siège » pendant la guerre de 1948. Elle a été évacuée lorsque le Hezbollah a commencé à prendre pour cible les communautés du nord, et il est peu probable que ses habitants y reviennent de sitôt.

Vue d’Israël depuis Manara. Photo : Haim Taragan

Depuis sa fondation, le kibboutz Manara est un symbole de l’attachement à la terre. Ses habitants vivent au sommet d’une crête et sont confrontés à des conditions difficiles même aux meilleures époques, sans parler de la frontière libanaise qui se trouve à côté d’eux. Ils ont toujours dû incarner un autre type d’esprit pionnier.

Les fondateurs ont pris possession du terrain en janvier 1943 [250 hectares du village de Khirbet El Mcnara achetés par le Fonds national juif à un propriétaire foncier de Beyrouth, Asa’ad Bey Khouri, NdT]. Bien qu’il fasse très froid et venteux sur les monts de Nephtali en hiver, ces pionniers n’ont pas attendu le printemps pour commencer leurs travaux. Le kibboutz fut le premier à s’établir au sommet de la crête de Ramim, à une altitude d’environ 800 mètres au-dessus de la ville voisine de Kiryat Shmona [fondée sur le site du village d’Al Khalisah, détruit et vidé de ses habitants par la Haganah en 1948, NdT]. Jusqu’en 1953, date à laquelle les premières conduites d’eau ont été posées, il n’y avait pas d’eau courante ici. Auparavant, un chariot apportait deux barils d’eau à la fois depuis le village libanais d’Odaisseh.

Après Manara, quelques autres communautés se sont établies ici : Le kibboutz Misgav Am, le moshav Margaliot et le kibboutz Yiftah. Ce dernier s’est établi en 1948 près de Metzudat Koach, un ancien fort de la police du mandat britannique, également connu sous le nom de forteresse de Yesha ou de fort de Nabi Yusha.

Le musée Hareut, qui commémore le courage des soldats du Palmach qui sont morts en essayant de prendre la place, se trouve sur le terrain de l’ancien fort. C’est là que le célèbre combattant du Palmach David « Dudu » Cherkassky - un autre symbole israélien, immortalisé dans la chanson « Dudu » - est mort au combat et a été enterré. Le Moshav Ramot Naftali et le Kibboutz Malkia, fondés respectivement en 1945 et 1949, se trouvent un peu plus au sud.

30/10/2023

“Quello che sta facendo Hamas è copiare il sistema vietnamita”
Un’intervista a Ilich Ramírez Sánchez, alias Comandante Carlos, del 2009

Fausto Giudice, Basta!Yekfi, 5 gennaio 2009
Tradotto da Giulietta Masinova, Tlaxcala

 


 

Dal carcere di massima sicurezza di Poissy, nell’Île de France, dove sta scontando il quattordicesimo anno di ergastolo cui è stato condannato dalla giustizia francese dopo essere stato rapito dai servizi francesi nel Sudan nel 1994, Carlos, combattente attivo della resistenza palestinese per oltre due decenni, segue con attenzione l’evoluzione della situazione a Gaza. Ho avuto modo di intervistarlo il 1° gennaio, cioè due giorni prima dell’inizio dell’offensiva terrestre israeliana. Per me Carlos è un personaggio storico, e non spetta a me giudicarlo: lo ha già fatto la giustizia francese, con metodi a dir poco discutibili. -FG

Ben scavato, vecchia talpa!
William Shakespeare, Amleto, citato da Karl Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte


Sai che Ahmed Saadat è stato condannato a trent’anni di carcere?
Sì.

Qual è stata la tua prima reazione?

È stato un abuso di potere. Come prima cosa è il risultato della situazione in cui si è messo il Fronte popolare di liberazione della Palestina abbandonando la lotta armata internazionale. Ahmed Saadat fa parte della resistenza interna, non lo conosco, ma da quello che ho sentito dire è una persona magnifica, e soprattutto un rivoluzionario, così mi hanno detto, ed è per questo che la repressione contro di lui è stata così dura, mentre altri membri del FPLP sono tranquilli, viaggiano, fanno quello che vogliono, e vivono in Palestina, no? Quindi dev’esserci una buona ragione. In ogni caso questo signore si trovava lì, in primo luogo era stato Arafat a imprigionarlo e in secondo luogo era sorvegliato dai britannici e dagli americani. Quando questi si sono ritirati sono arrivati gli israeliani che l’hanno arrestato nella prigione palestinese di Gerico in cui si trovava. Insomma, una totale mancanza di rispetto della parola data da parte dei governi britannico ed usamericano, e dagli israeliani non ci si può aspettare una qualsiasi forma di rispetto, non possiedono il senso dell’onore né della parola data, sono criminali fascisti.

La mia prima reazione è stata fare un parallelismo con il tuo caso.

Sì, ci sono aspetti simili. Ma è diverso, nel mio caso è stata semplicemente una questione di soldi, si sono rivolti a un Capo di Stato, a un funzionario di quel Paese [il Sudan, NdR], e gli hanno dato dei soldi, non è stata una questione politica, solo di soldi. Ci hanno venduti tutti, me, Osama bin Laden.

XXX Ahmed Saadat, durante il processo davanti al tribunale militare israeliano di Ofer nel dicembre 2008. È stato rieletto segretario generale del PFLP nel 2022.

E non pensi che sia successa la stessa cosa con la Muqata’a [il quartier generale di Arafat a Ramallah, NdT]?

No, no, no. I piccoli accordi che stringono non vengono mai rispettati. Quella gente capisce solo il linguaggio della forza, e basta. E il Fronte popolare si è obiettivamente ritirato dalla lotta armata, sotto l’influenza dei compagni sovietici e su consiglio del Partito comunista francese – anche di altri partiti comunisti ma soprattutto del PCF – ha abbandonato la lotta internazionale. E la lotta internazionale era la sola ad avere importanza per un’organizzazione come il FPLP, che godeva di un grande sostegno di massa: non aveva le capacità che aveva per esempio Fatah, in termini numerici, ma in termini qualitativi sì, ce l’aveva.

Potevamo quindi colpire duramente, all’interno e all’esterno, e quindi… Ne parlavo con Arafat anni fa, e lui ha riconosciuto che non poteva fare più nulla all’interno e gli unici che potevano fare qualcosa erano il FPLP e i suoi alleati. [La cattura di Ahmed Saadat] è stata il risultato di una buona operazione, l’esecuzione di quel criminale che era il ministro del Turismo, un generale in pensione che aveva fatto uccidere dei compagni. Adesso ti dico perché l’hanno giustiziato: molti anni fa questi compagni avevano preso degli ostaggi su un autobus e poi si erano arresi, ed erano stati giustiziati per ordine diretto di quel generale. Aveva dato lui l’ordine di uccidere quei ragazzi. Ecco perché è stato giustiziato a Gerusalemme vent’anni dopo. È successo molto tempo fa. 

Ahmed Jibril (1938-2021)

Ti ricordo che il FPLP è stato il primo a dare il via alla lotta armata, nessun altro. La prima operazione armata in nome della resistenza palestinese è stata condotta da Ahmed Jibril, del Comando generale del FPLP. Sono stati loro i primi, sotto un altro nome, ben prima di Fatah. E c’è un’altra cosa: la politica di abbandono dei prigionieri. Il FPLP non ha solo abbandonato la lotta armata, ha anche abbandonato i prigionieri, rinunciando a liberarli con la forza. È stato il FPLP-CG di Ahmed Jibril a scambiare ostaggi con prigionieri, e in questo modo ha potuto liberare migliaia di persone. Ora Hezbollah segue la stessa linea. Ma purtroppo il FPLP, per essere invitato ai congressi dei partiti comunisti in Europa occidentale, in epoca sovietica, ha abbandonato la lotta armata.

Quindi adesso possono permettersi di colpire il Fronte popolare, di commettere azioni illegali contro Ahmed Saadat e nessuno fa niente contro gli israeliani. I principali responsabili sono gli stessi dirigenti del FPLP.

Wadi Haddad (1927-1978)

Spiegami una cosa: hanno abbandonato la lotta armata a causa della scomparsa dell’URSS?

No, no, no, no. È successo prima. C’era Ponomarëv, che dava sempre consigli soprattutto a Abu Ali Mustafa.  Abu Ali Mustafa era una persona magnifica, un dirigente – io l’ho conosciuto bene – un uomo rispettabile, ma non aveva la profondità di Wadi Haddad, che era un uomo di grande genio strategico e aveva una grande abilità nelle situazioni tattiche, sapeva proiettarsi. Avevamo buoni consiglieri arabi, io ne ho conosciuti  – non parlerò di loro, perché alcuni sono ancora vivi –, non erano necessariamente palestinesi, c’erano militari di carriera, brave persone, e c’erano uomini di grande qualità che gestivano i commando, tra i quali c’ero anch’io. Capisci? E quando queste posizioni sono state abbandonate, bè’… Wadi Haddad era uno di destra, ma la sua linea strategica era giusta: bisogna colpire il nemico in modo che non si senta sicuro da nessuna parte. Nessun dirigente, nessun responsabile [sionista, NdR] deve sentirsi sicuro in nessuna parte del mondo. Devono avere paura ovunque si trovino. Abbandonando quella strategia si è persa l’arma principale di cui disponeva la resistenza palestinese.

I tunnel di Cu Chi, nel Vietnam del Sud, si estendevano per 250 km dalla periferia di Saigon al confine con la Cambogia. Incubo dell'esercito americano, sono diventati l'attrazione turistica sotterranea numero 1 al mondo, secondo la...CNN

Guardiamo alla situazione di Gaza oggi. Ho parlato con un militante di Hezbollah, e lui mi ha detto che la situazione non è così grave per Hamas, che non è stato colpito militarmente e può contare su forze ancora intatte. Ma io non capisco cosa possano fare, perché non hanno lo spazio minimo che almeno aveva Hezbollah nel Sud del Libano, no?

Io credo che quello che sta facendo Hamas sia copiare il sistema vietnamita. Hamas non ha inventato niente. Quello che ha fatto è stato sviluppare la questione vietnamita, con i mezzi che gli hanno dato i fratelli, i compagni iraniani. Quindi quando loro [gli israeliani, NdR] hanno invaso l’ultima volta [il Libano, NdR], hanno ricevuto un colpo durissimo perché non erano preparati a questo tipo di combattimenti sotterranei nel Sud del Libano, bombardavano qua, attaccavano là, ma gli altri sbucavano dall’altra parte e li colpivano, li colpivano. È questo che sta accadendo a Gaza. E sono sicuro che si siano preparati. In realtà in questo caso c’è stata una provocazione dei palestinesi contro gli israeliani. In che senso? Li stanno colpendo, o meglio sfidando, con armi leggere.

Perché bisogna sapere che una compagnia di guardie di frontiera israeliane ha più armi di tutta la resistenza palestinese a Gaza. E perché questa provocazione permanente? […] Non è una decisione arbitraria. Non sono pazzi. I Fratelli musulmani sono gente molto seria. A parte la questione ideologica… La Fratellanza musulmana, fondata negli anni Venti da Hassan El Banna al Cairo, è un’organizzazione non ideologicamente ma strutturalmente leninista. Dal punto di vista di classe i Fratelli musulmani sono un’organizzazione piccolo-borghese che rappresenta gli interessi del suk, non sono rivoluzionari, sono riformisti, ma con una struttura leninista.

Questo ha permesso loro di sopravvivere alla peggiore repressione che si possa immaginare. Nel mondo arabo nessuno è stato represso più dei Fratelli musulmani, neanche i comunisti. Nessuno è stato più represso, né i palestinesi né nessun altro. Queste persone sono sopravvissute, sono cresciute e si sono perpetuate, e sono state la base, come il FPLP, da cui sono uscite tante altre organizzazioni e tanti altri movimenti in tutto il mondo, che si sono sviluppati nella lotta armata con questa base d’esperienza palestinese; tutti i jihadisti che lottano oggi, anche in Afghanistan, traggono la loro origine dai Fratelli musulmani. Il fatto che non siano d’accordo con Al Qaeda, con il tipo di strategia e di tattiche cosiddette “terroriste” di Al Qaeda, non significa che non ci siano legami storici: il dottor Al Zawahiri è un dirigente di spicco dei Fratelli musulmani, Yasser Arafat era un responsabile dei Fratelli musulmani, nella loro direzione al Cairo all’inizio degli anni Cinquanta. Questo bisogna riconoscerlo. La lotta dei Fratelli musulmani in Siria è stata terribile, terribile: non solo c’è stata una brutale repressione da parte del regime siriano che è riuscito quasi a sterminarli, ma sono stati assassinati centinaia e centinaia di fratelli siriani. Queste persone sanno ciò che fanno. Credo che il loro obiettivo sia quello di provocare un intervento terrestre degli israeliani, perché a Gaza, a parte l’arteria principale, sul lato della spiaggia, della zona costiera, non ci sono altri ingressi, vale a dire che c’è una linea diritta, la strada principale…

… È un viale...

Sì, sì, è un viale. Non puoi entrarci con un carro armato, a meno di distruggere tutte le case, capisci. E a quel punto li massacreranno.
È una lezione dell’esperienza vietnamita. La tecnica dei sotterranei viene dai tedeschi dell’Est. Per esempio è così che i palestinesi sono sopravvissuti all’attacco delle forze libanesi a Tell Al-Za’tar nel 1976, ricordi?

Sì.
A Shatila le forze libanesi non hanno scoperto i sotterranei e i combattenti del FPLP di Shatila sono sopravvissuti al massacro.

Ah sì?

Erano a Shatila, sottoterra. A Sabra non c’erano sotterranei e sono stati uccisi. È un’esperienza vietnamita che è stata trasmessa dai tedeschi dell’Est. Sono convinto che al fianco di Hamas ci sia il Jihad islamico, il Fronte popolare, ma anche la gente di Fatah, perché la maggioranza della gente di Fatah non è composta né da agenti della CIA, né da corrotti o ladri. La maggior parte di Fatah è fatta di palestinesi puri. Hamas ha vinto le elezioni. Chi l’ha votato? La gente di Fatah! I cristiani, hanno votato Hamas! La maggioranza non era gente di Hamas, era gente che voleva un governo non corrotto. Quindi tutti i combattenti di Gaza, la brava gente – perché c’è stata una piccola guerra civile che ha spazzato via i corrotti – compresi i membri delle tribù, che ovviamente sono armati, tutte queste persone combatteranno anche loro. [Gli israeliani] stanno cercando di spezzare la popolazione civile, ma la gente è abituata a soffrire, purtroppo, e in ogni caso dove potrebbe andare? L’importante è che questo avrà ripercussioni internazionali, non per Israele, perché Israele con tutti noi ci si pulisce il culo, è un Paese fondato sulla menzogna, sulla falsificazione storica…

Vista di un tunnel scavato da Hezbollah nei pressi del moshav Zar'it, nel nord di Israele, vicino al confine libanese, il 10 giugno 2019. Foto .Ilia Yefimovich / picture alliance via Getty Images

C’è un grande interrogativo: la persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale è una delle pagine più buie della storia contemporanea, non si conosce ancora il numero delle vittime, ma centinaia di migliaia di persone sono scomparse, non si sa ancora esattamente come perché non permettono di fare ricerche, di fare la lista dei nomi delle vittime delle persecuzioni naziste. E i sionisti che stanno in Israele sono complici di quella persecuzione […], sono razzisti nei confronti degli altri ebrei; gli ebrei provenienti dall’Iran e dal Marocco sono malvisti dai bianchi, dagli aschenaziti che non hanno neanche una goccia di sangue semita […]

Il solo modo di agire è quello di Saddam. Non bisogna dimenticare che era Saddam a mantenere i palestinesi di Gaza, soprattutto di Gaza. L’aggressione contro l’Iraq è legata a Gaza. Saddam manteneva Gaza, i soldi di Gaza venivano da lì. E in fin dei conti lo stesso vale per l’Iran. Durante la prima Intifada i primi soldi arrivati in Palestina furono quelli che l’Iran inviò all’organizzazione di Abu Nidal. E anche Saddam ha dato molti soldi alla resistenza.

In ogni caso i palestinesi adesso riceveranno sicuramente un duro colpo, ma non verranno distrutti. E in fin dei conti si tratta di una questione internazionale. Se migliaia di persone scendono in piazza a Parigi e a Londra, la gente dirà: è un problema grave, è un crimine contro l’umanità, questi sono crimini di guerra costanti, quotidiani, senza sosta, davanti alle telecamere dei canali di tutto il mondo, della CNN e di Al Jazeera…

Quindi colpiranno i responsabili della resistenza palestinese a Gaza, soprattutto la gente di Hamas ma non soltanto. Però dovranno entrare a Gaza, per combattimenti corpo a corpo, e a quel punto gli israeliani si troveranno in una posizione di debolezza, accadrà la stessa cosa che è successa nel Sud del Libano, ma ovviamente ci saranno migliaia di vittime civili palestinesi. Vedremo. La cosa positiva per i palestinesi e per la resistenza araba è che i popoli arabi sono solidali. E il governo traditore egiziano apparirà per quello che è. Perché chiude la frontiera? Perché?

Sai che hanno chiamato Dahlan al Cairo, no?

Ma sappiamo chi è Mohamed Dahlan, no? Mohamed Dahlan è l’uomo degli Stati Uniti e della CIA. Apertamente, non ne fa mistero.

gaza strip tunnel

Un membro del Jihad islamico attraversa un tunnel nella Striscia di Gaza nel 2022. Foto Mahmud Hams / AFP via Getty Images

 

 

30/07/2023

FABIO MERONE
Mahdi Amel, le Gramsci arabe

Fabio Merone, OrientXXI, 29/7/2023
Traduit par
Fausto Giudice, Tlaxcala

Fabio Merone, docteur en Sciences politiques de l’université de Gand (Belgique), est chercheur associé au Centre interdisciplinaire de recherche sur l’Afrique et le Moyen-Orient de l’université Laval (Québec, Canada). Il travaille sur l’islamisme et le salafisme dans le monde arabe contemporain. Avec F. Cavatorta, il a édité Salafism after the Arab Awakening: Contending with People’s Power (Hurst, 2017). Bibliographie

Près de quarante ans après sa mort, Hassan Abdallah Hamdan (1936-1987), plus connu sous son nom de guerre Mahdi Amel, reste une référence politique et intellectuelle pour la gauche libanaise et arabe.

“Lisez Mahdi Amel”, Beyrouth 2019

Hassan Abdallah Hamdan (1936-1987), plus connu sous le nom de guerre de Mahdi Amel, était un communiste libanais original qui a été surnommé le “Gramsci arabe”1. Comme le marxiste italien, Amel a tenté de “nationaliser” le communisme en appliquant les catégories critiques du marxisme au contexte national2 et en élaborant sur cette base un projet politique et culturel pour l’émancipation des masses. Il a été assassiné par des milices islamistes chiites en 1987. Bien que son projet politique ait été partiellement dépassé par les accords de Taëf de 1989 (qui ont mis fin à la guerre civile libanaise), il reste le témoignage d’un intellectuel militant et critique qui a consacré sa vie à lutter contre le système confessionnel libanais et à poursuivre un véritable projet de libération nationale. C’est aussi pourquoi, récemment, il est devenu l’un des symboles des jeunes générations de Libanais qui sont descendus dans la rue en 2017 et 2019 pour renverser l’“État confessionnel”, ainsi que de tous les Arabes qui ont cherché une voie originale vers le communisme.

Le contexte historique et l’expérience de vie d’un intellectuel militant

Le projet culturel et politique de Mahdi Amel peut être placé dans le contexte plus général de l’émancipation nationale des intellectuels et des forces politico-culturelles du Sud, qui se sont engagés dans la construction de nouvelles sociétés post-coloniales libérées de la dépendance vis-à-vis du centre capitaliste et de l’hégémonie culturelle occidentale. On peut relier Amel à la pensée et au parcours politique de Frantz Fanon, qu’il a rencontré en Algérie et dont il était un admirateur ; à l’intellectuel indien Ranajit Guha, qui, depuis l’Inde, a introduit Antonio Gramsci dans les études postcoloniales par le biais de ce que l’on appelle les “études subalternes” ; ou, enfin, à Ali Shariati, l’intellectuel iranien qui a tenté de fusionner le marxisme avec la théologie chiite de la libération.

La caractéristique commune de ces auteurs et de leur projet était qu’ils voulaient amener la collectivité nationale nouvellement indépendante à un niveau plus élevé de conscience de soi afin de parvenir à une véritable émancipation culturelle, politique et économique. En termes plus proprement marxistes, Amel était intellectuellement un enfant de ce que l’on appelle la “théorie de la dépendance”, la construction théorique fondamentale sur laquelle raisonnaient les marxistes arabes et du Sud. Selon cette théorie, le colonialisme avait unifié le monde dans des relations d’interdépendance, sur la base desquelles le centre capitaliste dominait et assujettissait la périphérie. Le système économique des colonies avait été construit de telle sorte que ces pays, une fois intégrés dans le commerce international, étaient dépendants des centres financiers et économiques occidentaux, dont les bourgeoisies locales étaient des sous-produits. Ces dernières, en particulier, étaient “cosmopolites” (au sens gramscien de “non-nationales”), économiquement dépendantes et culturellement subordonnées.

De ce point de vue, tant Fanon et Guha que Shariati avaient appelé à une construction nationale basée sur une révolution culturelle qui revendiquait la subjectivité nationale contre l’idéologie coloniale. Amel appartenait à ce type de courant politico-culturel, mais il savait aussi s’en distinguer. Communiste militant dès ses années universitaires à Lyon, il profite du climat culturel fervent des années 1950 et 1960. Il se passionne pour l’historicisme gramscien 3 et utilisera plus tard des concepts tels que “bloc historique”, “idéologie” et “hégémonie” 4. Il est également influencé par le débat suscité en France et dans le monde communiste par les révélations de Khrouchtchev au 20e congrès du PCUS (1956), qui donnent lieu à une vive controverse entre ceux qui veulent réformer le marxisme dans une optique humaniste (le marxisme dit occidental) et ceux qui veulent le réhabiliter dans une optique révolutionnaire.

Amel a donc vécu dans un climat culturel influencé par Gramsci, Poulantzas et Althusser, dans lequel le “Sud” a été porté à l’attention des mouvements gauchistes. D’un point de vue théorique marxiste, cela s’est traduit par une tentative de reconceptualisation de la catégorie de “mode de production”, en l’adaptant aux contextes coloniaux et post-coloniaux, un concept sur lequel Amel a travaillé en particulier dans les années 70 5.

Après avoir passé une importante période de formation en Algérie (1963-68) 6 , Amel s’est immergé dans la réalité libanaise. De retour dans son pays natal, il rejoint le Parti communiste libanais (PCL) et en devient un dirigeant et un idéologue important. Surtout, il commence à élaborer une pensée originale, conciliant activité théorique et militantisme pratique. Son épouse Evelyne Brun raconte qu’à cette époque, il était particulièrement impliqué dans le dialogue avec les planteurs de tabac de la région du Mont-Liban (où un mouvement de protestation était en cours dans les années 1970) et qu’il témoignait qu’ « être marxiste, c’est être une personne qui peut apporter des réponses aux problèmes de la vie de tous les jours » 7. Il a notamment été un bâtisseur actif de cellules syndicales et populaires au Sud-Liban, où vit encore aujourd’hui la partie la plus marginalisée de la population libanaise. C’est à cette époque qu’il commence à être connu sous le nom de Mahdi Amel, nom qu’il choisit comme pseudonyme pour les articles qu’il écrit dans l’organe du parti, al-Tarīq (la route/le chemin).

Il est important de comprendre cette période de son militantisme et de celui du parti communiste libanais, qui se percevait comme un parti révolutionnaire d’avant-garde des masses de travailleurs et de subalternes. Ceux-ci tentaient en fait de réaliser la bataille politique pour l’émancipation nationale par le biais du militantisme au sein de la population. Les communistes se sont également identifiés à la question palestinienne et se sont proposés comme l’avant-garde de la résistance armée contre l’occupation militaire israélienne dans le sud du pays (1978-82), et le point de jonction du front politique des forces de gauche et démocratiques contre les droites confessionnelles et fascistes soutenues par les pays occidentaux et alliées d’Israël.

Il est évident que le parcours intellectuel et la vie politique d’Amel ont été marqués par la guerre civile libanaise (1975-1990), qu’il a perçue comme une occasion de réaliser son projet national de libération du pays du système confessionnel. Mais cette période est aussi marquée par l’émergence de l’islamisme chiite (Amal et Hezbollah), qui évince les communistes du Sud-Liban et se substitue à eux comme force de résistance. Mahdi Amel avait reconnu un potentiel révolutionnaire dans la communauté chiite libanaise, mais n’avait pas prévu la montée de l’islamisme en tant que force révolutionnaire alternative, probablement mieux adaptée que les communistes pour jouer ce rôle. Il a été assassiné par des miliciens chiites, mettant fin à la vie d’un intellectuel militant passionné et à l’expérience du parti communiste libanais en tant que force politique exerçant une certaine influence.

L’État confessionnel et l’idéologie de la bourgeoisie libanaise

La pensée de Mahdi Amel se caractérise par une réflexion sur la réalité politique du Liban et du monde arabe. En particulier sur l’État, son appareil idéologico-hégémonique et le mode de production socio-économique. Mahdi Amel est en effet célèbre pour les deux principales catégories analytiques que sont le “mode de production colonial” et l’“État confessionnel”

Il a annoncé son projet dès ses premières années libanaises, dans l’essai Colonialism and Backwardness (1968) : « Si nous voulons une pensée marxiste adaptée à notre réalité et capable d’avoir une perspective scientifique, nous ne devons pas appliquer cette pensée de manière abstraite, mais plutôt avoir comme point de départ la spécificité même de notre réalité » 8. Il analyse ensuite le processus historique de formation de la bourgeoisie coloniale dans son livre Prolégomènes, dans lequel il pose les bases de sa réflexion théorique 9.

Amel a comparé les exemples historiques de l’Égypte et du Liban en particulier, soulignant comment la pénétration coloniale avait empêché le développement d’une bourgeoisie nationale, alors qu’une classe de propriétaires terriens proto-capitalistes s’était formée à la fin de la période ottomane. Au Liban, l’entrée dans le mode de production capitaliste a conduit au développement de la monoculture de la soie et à l’orientation de l’économie vers le marché international. Cela a empêché la formation d’une bourgeoisie basée sur l’artisanat local et a conduit au contraire au développement d’une classe bourgeoise coloniale. Contrairement à la bourgeoisie européenne, qui s’était initialement formée en tant que classe révolutionnaire (contre l’aristocratie foncière), la bourgeoisie libanaise était le résultat d’une relation de subordination économique et politique.

L’analyse d’Amel s’inscrit dans le débat qui divise alors les communistes arabes entre ceux qui voient dans la bourgeoisie nationale une force progressiste possible avec laquelle s’allier, et ceux qui n’y voient qu’un ennemi de classe à renverser car inéluctablement allié au capital international. L’analyse d’Amel se voulait plus complexe : en saisissant les deux aspects de la bourgeoisie - nationale et cosmopolite - il voulait démasquer son appareil idéologique. D’où la nécessité, dans sa construction théorique, d’une théorie de l’État, qu’il élabore dans Fī al-dawla al-ṭaifiyya (“De l’État confessionnel”), publié en 1986, un an avant sa mort.

La question de la bourgeoisie nationale - son origine confessionnelle et l’appareil idéologique qui justifie sa domination - a donc constitué l’étape décisive de son développement théorique. Il écrit : « C’est une erreur de dire que l’idéologie confessionnelle est l’idéologie de la classe dominante avant les rapports de production capitalistes, c’est-à-dire qu’il s’agit d’une idéologie religieuse ou d’une forme de celle-ci (...). C’est une erreur dans laquelle se trouvent également certains marxistes » 10. Amel voyait en effet dans le système confessionnel constitutionnel libanais un instrument idéologique moderne au service de la domination de la classe bourgeoise et capitaliste, qui se légitimait à travers lui. Ce système n’avait pas manqué d’être défendu et propagé par l’intellectuel maronite Michel Chiha, qu’Amel considérait comme l’idéologue de la bourgeoisie dominante et contre lequel il lançait ses flèches polémiques, à la manière d’Antonio Gramsci contre Benedetto Croce. Chiha voyait dans le système confessionnel libanais la garantie du modèle libéral et démocratique, dans lequel la citoyenneté se réalise dans l’appartenance communautaire.

Pour Amel, en revanche, il s’agit d’un “pacte confessionnel” entre les élites des différentes communautés qui se liguent les unes contre les autres au détriment de la classe ouvrière de chacune d’entre elles. Le confessionnalisme était aussi l’instrument de la domination d’une communauté particulière sur toutes les autres : la communauté maronite minoritaire et dominante contre les communautés musulmanes subordonnées (la communauté chiite surtout). L’“État confessionnel” était donc, aux yeux d’Amel, un projet idéologique fonctionnel aux intérêts politiques et économiques de la classe dirigeante maronite et des élites interconfessionnelles. Ce système était (et est toujours) basé sur la division du pouvoir au sein de l’État entre les différentes confessions et le contrôle politique et économique des différentes élites au sein de chacune d’entre elles.

Pour Amel, le véritable projet d’émancipation nationale ne pouvait donc passer que par la dissolution de ce système et le dépassement de la domination du capital international. Amel proposait également une plate-forme politique (partagée par le PCL) qui liait inextricablement la bataille politique nationale à la cause palestinienne. Pendant la guerre civile libanaise, en effet, les factions politiques maronites s’étaient alliées à Israël et aux puissances occidentales contre le front progressiste et les Palestiniens des camps de réfugiés. Mahdi Amel a enfin mis en lumière le phénomène de du squadrisme* phalangiste, en le comparant à l’analyse de Gramsci. Ce dernier avait vu dans le squadrisme fasciste un produit de la bourgeoisie capitaliste en crise d’hégémonie. Comme à l’époque du fascisme italien, l’hégémonie du pouvoir bourgeois confessionnel maronite, qui avait été fondée sur le confessionnalisme idéologique, semblait à Amel en crise de légitimité. Le Parti communiste et les forces progressistes du pays, réunies dans un “bloc historique”, devaient donc abattre le pouvoir de la bourgeoisie et le système confessionnel sur lequel il reposait.


La victoire des islamistes et la “revanche” de Mahdi Amel

Le Parti communiste libanais et Mahdi Amel ont fini par être victimes de la guerre civile, dont ils pensaient pouvoir exploiter les contradictions à leur avantage. Le PCL avait en effet formé un front de résistance contre l’occupation israélienne au Sud-Liban, avec un certain succès, mais il a ensuite été vaincu par les forces islamistes chiites émergentes. Amel et d’autres dirigeants communistes (dont l’intellectuel Hassan Muruwwa) ont été victimes d’une campagne d’élimination des dirigeants communistes menée par les “forces obscures” islamistes, probablement soutenues par la Syrie. Le chiisme politique s’est alors imposé comme une force populaire et a donné un coup d’arrêt définitif au mouvement communiste libanais.

Les accords de Taëf de 1989 ont finalement abouti à un résultat différent de celui préconisé par les révolutionnaires communistes : le système confessionnel, au lieu de disparaître, a été reconfirmé et renforcé. Le Hezbollah est devenu une force dirigeante et le chiisme politique a réussi à intégrer la communauté chiite dans le système politique confessionnel. Si cette solution a permis de sortir du conflit, la persistance de la crise dans le pays semble néanmoins avoir confirmé la thèse fondamentale de Mahdi Amel, celle d’un système confessionnel en crise permanente d’hégémonie.

Les protestations sociales et juvéniles qui ont éclaté dans le pays en 2017 et 2019 ont donc réévalué les théories d’Amel, qui a ainsi eu sa “revanche” politique post-mortem. En effet, non seulement les nouvelles générations révolutionnaires libanaises ont remis la question du dépassement du système confessionnel au centre de leur programme politique, mais elles ont aussi et surtout fait de la figure de l’intellectuel marxiste un symbole de leurs espoirs.

NdT

*« Squadrisme » [de squadra, équipe, escouade, brigade] est le terme par lequel on désigne les forces paramilitaires luttant par la violence contre les mouvements sociaux suscités par les socialistes et les communistes après la Première Guerre mondiale en Italie. Nées avant le fascisme italien, elles en sont devenues une forme de bras armé. Ces mouvements paramilitaires furent dirigés par les chefs locaux (les ras, du nom des chefs éthiopiens) des Faisceaux italiens de combat.

Notes de l’auteur

1.      Prashad, Vijay . The Arab Gramsci , 5 mars 2014

2.     Labib, Tahar (2017). “Gramsci nel pensiero arabo”. In : Manduchi Patrizia, Marchi Alessandra e Vacca Giuseppe (a cura di). Gramsci nel mondo arabo. Il Mulino. Bologna

3.     Sa thèse de doctorat était intitulée : Sujet et praxis. Essai sur la constitution de l’histoire.

4.    Safieddine, H. (2021). Mahdi Amel : On Colonialism, Sectarianism and Hegemony. Middle East Critique, 30(1), 41-56.

5.     Il convient de rappeler dans ce débat l’importante contribution du marxiste franco-égyptien Samir Amin qui, dans le sillage du maoïsme dominant, a revalorisé la périphérie en tant que site de la révolution mondiale.

6.    C’est à cette époque qu’il publie un premier article pour la revue Révolution Africaine, intitulé « La pensée révolutionnaire de Franz Fanon ».

7.     Mahdi Amel, “Al-Thaqafa wa al-thawra” (1ère partie). Accessible sur : https://www.youtube.com/watch?v=3euM6XRfmZQ&t=1311s   

8.    Cité dans "Dawn : Marxism and National Liberation" (p.20). Dossier no 37 | Tricontinental : Institut de recherche sociale, février 2021. La traduction italienne est de l’auteur de l’article.

9.    Amel, M. (2013) Muqaddimat Nazriyya Li-Dirasat Athar l-Fikr al-Ishtiraki Fi Harakat al-Taharrur al-Watani [Prolégomènes théoriques à l’étude de l’impact de la pensée socialiste sur le mouvement de libération nationale] (Beyrouth : Dar al-Farabi).

10. Amel, M. (1986) Fi Al-Dawla al-Ta’ifiyya [Sur l’État confessionnel] (Beyrouth : Dar al-Farabi), p.24.

 

 

04/06/2023

AMEER MAKHOUL
Comment les dirigeants israéliens menacent de faire la guerre à l’Iran pour résoudre la crise interne

Ameer Makhoul (bio) , middleeasteye.net, 31/5/2023
Traduit par
Fausto Giudice, Tlaxcala

La récente “guerre des menaces” a révélé la profondeur de la crise économique et financière d’Israël résultant du coup d’État judiciaire entrepris par le gouvernement actuel

Le chef de l’état-major général de l’armée israélienne, Herzi Halevi, s’exprime lors de la conférence de Herzliya le 23 mai 2023 (Twitter)

La conférence d’Herzliya des 22 et 23 mai, qui s’est tenue à l’université israélienne Reichman, a servi de cadre à l’amplification des menaces militaires contre des cibles régionales, notamment le Liban et l’Iran. Selon le chef d’état-major des forces israéliennes, Herzl “Herzi” Halevi, des attaques "aériennes, maritimes et terrestres" sont envisageables.

 S’exprimant lors de la conférence, Halevi a évoqué la possibilité d’une attaque préventive israélienne : « Des développements négatifs pourraient nécessiter une action contre l’Iran. Le moment d’une attaque [militaire] préventive contre le Hezbollah qui garantirait notre avantage devrait être examiné... [Hassan] Nasrallah ose nous affronter, mais le rétablissement après la guerre serait extrêmement difficile pour le Liban ».

 La conférence a coïncidé avec des visites de bases militaires stratégiques par le Premier ministre
Benjamin Netanyahou et le ministre de la Sécurité Itamar Ben-Gvir, qui se sont récemment fait l’écho de ces sentiments dans leurs déclarations publiques.

 Cette année, la conférence annuelle sur la sécurité avait pour thème “Visions et stratégies à l’ère de l’incertitude”, partant du principe que l’État juif serait au bord d’une guerre régionale désastreuse. Dans ce contexte, les dirigeants militaires et gouvernementaux du pays ont multiplié les menaces explicites à l’encontre de l’Iran, du Hezbollah, de la Syrie et du Liban.

 

"L'Iran est une menace pour la paix"-Sur la hache : "Colonies"
Carlos Latuff

Se préparer à la guerre

Le ministre de la Défense, Yoav Gallant, a déclaré lors de la conférence qu’Israël se préparait à ce qu’il a décrit comme une “guerre difficile, complexe et sur plusieurs fronts”. Il a accusé les Gardiens de la révolution iraniens de “transformer des navires commerciaux civils en bases militaires, en transporteurs de drones et en bases terroristes maritimes au Moyen-Orient”.

Il est intéressant de noter que ces menaces semblent avoir suscité plus d’intérêt de la part des médias étrangers que de la part des médias israéliens.

Gallant a ajouté : « Ces plates-formes terroristes maritimes représentent une extension du terrorisme maritime de l’Iran dans le golfe Persique et la mer d’Arabie, avec l’ambition d’étendre sa portée à l’océan Indien, à la mer Rouge et peut-être même à la mer Méditerranée ».

 Gallant propose une “solution” : « Seules la coopération internationale et la mise en place d’une coalition contre le terrorisme iranien dans le Golfe, ainsi qu’une menace militaire réelle contre chaque front, permettront d’affronter le plus efficacement possible le terrorisme iranien, que ce soit dans les airs, en mer ou sur terre ».

 Par ailleurs, le chef de la direction du renseignement militaire, le général Aharon Haliva, a lancé un avertissement : « Nasrallah est sur le point de commettre un faux pas qui pourrait plonger la région dans une guerre importante ». Il a évoqué un
incident récent impliquant un combattant du Hezbollah qui a franchi la frontière israélienne et posé un engin explosif près du carrefour de Megiddo, à l’intérieur du pays, disant qu’il n’était ni accessoire ni unique.

Haliva a souligné que l’Iran continuait d'avancer dans ses ambitions nucléaires, en progressant dans l’enrichissement de l'uranium. Il a déclaré : « Nos évaluations indiquent que l’Iran n’a pas encore pris la décision définitive d’obtenir des armes nucléaires. Israël reste vigilant et suit de près tous ces changements ».

Haliva a ajouté que
le retour de la Syrie au sein de la Ligue arabe, ainsi que le réchauffement des relations et la visite du président Bachar Al Assad en Arabie saoudite, laissent présager une remontée du moral et de l’assurance des Syriens, ce qui pourrait renforcer le défi que représente la Syrie pour Israël.

Dans une contradiction apparente, la rhétorique exacerbée menaçant d’une guerre préemptive imminente contraste fortement avec la nature même de la guerre préemptive, qui repose traditionnellement sur des éléments de tromperie et de surprise.

La perception unilatérale selon laquelle le Hezbollah a été dissuadé depuis 2006, associée aux affirmations de la conférence d’Herzliya selon lesquelles il est désormais plus audacieux dans sa confrontation avec Israël, néglige un point essentiel, à savoir qu’Israël lui-même aurait pu être dissuadé. La dissuasion est en effet une voie à double sens. Cette notion a d’ailleurs été illustrée par la récente résolution de la crise du gaz en Méditerranée orientale, ainsi que par le barrage de missiles qu’Israël a essuyé depuis le Sud-Liban il y a quelques semaines.

Plusieurs analystes militaires soutiennent que le mandat de Netanyahou en tant que premier ministre pendant la majeure partie de la dernière décennie, en particulier ses efforts pour saper l’accord sur le nucléaire iranien jusqu’à son abandon par l’administration Trump, a peut-être posé par inadvertance un risque stratégique pour Israël.

 Cette affirmation découle de l’observation que le rythme de l’enrichissement de l’uranium et le développement de missiles à longue portée en Iran se sont tous deux accélérés, à la suite du retrait des USA
de l’accord. Ils ajoutent que tout acte d’agression contre l’Iran pourrait inciter ses dirigeants à accélérer l’achèvement de son projet nucléaire militaire, ce qui est tout à fait contraire aux intérêts stratégiques d’Israël.



Emad Hajjaj

 Motivations politiques

L’analyste politique israélien Ronel Alfer et l’analyste militaire Amir Oren affirment dans Haaretz que la position adoptée par les dirigeants militaires, les institutions de sécurité et le gouvernement actuel est principalement destinée à l’opinion publique israélienne. Selon les analystes, la menace de guerre est devenue un cliché, bien qu’elle prévienne efficacement l’insubordination militaire potentielle parmi les pilotes.

Ils estiment en outre que ce climat d’alerte accrue aide Netanyahou à atteindre son objectif, qui est d’écarter ses rivaux politiques, tels que Ben-Gvir et le parti Otzma Yehudit (Pouvoir juif), et d’intégrer le chef de l’opposition, Benny Gantz, dans un gouvernement de coalition d’urgence. Ils estiment en outre que l’intégration de Gantz dans le gouvernement pourrait obtenir l’approbation de l’administration Biden.

Alfer évoque en outre la possibilité qu’Israël mette en péril sa propre sécurité pour tenter de faire dérailler les efforts de “réforme judiciaire” et de surmonter la crise interne en cours. Selon lui, cela pourrait déboucher sur un conflit motivé par des objectifs politiques internes.

 À la suite de ses attaques contre Gaza, Netanyahou a réussi à regagner une partie de sa
popularité et de sa stature perdues, mais ce rebond est notablement limité et n’a pas modifié l’orientation dominante de la politique intérieure israélienne.

La population israélienne est actuellement plus préoccupée par l’état de l’économie, l’escalade des prix et l’appréhension d’un effondrement économique que par les questions relatives à l’Iran. La pression économique a été encore exacerbée par le spectre de la guerre, qui a entraîné une dépréciation marquée du shekel israélien par rapport aux devises étrangères, ce qui laisse présager de nouvelles hausses de prix et une inflation financière.

En outre, les événements en cours coïncident avec la ratification d’un budget d’État de deux ans pour lequel Netanyahou s’est manifestement plié aux exigences de ses partenaires de coalition, à savoir les sionistes religieux et les Haredim.

Manque de capacité

Bien qu’elle reste entourée d’incertitude et de scepticisme, une autre question clé est de savoir si Israël est préparé à une guerre bien calculée contre le Hezbollah et l’Iran. Plusieurs analystes ont conclu qu’Israël, malgré ses formidables capacités militaires et ses prouesses dans l’utilisation de l’intelligence artificielle à des fins militaires, pourrait ne pas être en mesure de dicter pleinement l’issue, la trajectoire et l’ampleur d’une telle guerre.

La capacité du front intérieur israélien à supporter une guerre d’une ampleur presque totale est tout aussi obscure.

Selon les déclarations du chef d’état-major israélien, la menace du Hezbollah a été gérée efficacement depuis 2006. Toutefois, cette même période illustre également la position similaire d’Israël en matière de dissuasion. Pendant toutes ces années, la frontière nord est restée l’une des lignes de confrontation les plus pacifiques.

En outre, l’accord définissant la démarcation des frontières maritimes entre le Liban et Israël, en particulier en ce qui concerne l’exploration gazière, témoigne de cette double dissuasion politique et militaire. Les récentes déclarations de l’état-major israélien viennent compléter ce tableau complexe. À la suite de la dernière agression contre Gaza, les autorités israéliennes ont précisé que les évaluations appropriées pour évaluer les attaques contre le Jihad islamique ne s’appliquaient pas au front nord, où opère le Hezbollah.

 Cette déclaration fait suite aux travaux de la conférence d’Herzliya, où, selon les évaluations israéliennes, le Hezbollah a été qualifié de front le plus redoutable de l’Iran.

 Si l’objectif de ces menaces est de rajeunir la capacité de dissuasion d’Israël, cela correspondrait à l’affirmation de Netanyahou sur la supériorité d’Israël dans le domaine de “l’intelligence humaine et artificielle”. Cette dernière partie concerne les opérations militaires, les cybercapacités et “l’influence sur l’opinion publique et le moral de l’adversaire”.

 Toutefois, l’Iran et le Hezbollah considèrent le gouvernement de. Netanyahou comme un facteur qui a affaibli Israël sur le plan stratégique, ce qui se reflète dans la diminution de son influence régionale. Pour eux, le leadership actuel offre plus d’opportunités que de risques. Revenant apparemment sur ses menaces, un porte-parole de l’armée israélienne a déclaré aux médias étrangers le 24 mai que les avertissements émis par les dirigeants politiques et militaires du pays « ne signifient pas qu’une guerre se profile à l’horizon, ni qu’Israël va frapper l’Iran de manière imminente ».



La Chine parraine l'accord entre l'Iran et l'Arabie saoudite
Emad Hajjaj

Changement d’alliances

Dans un paysage régional en mutation, des signes naissants de réconciliation interarabe et arabo-iranienne apparaissent. Dans le même temps, Israël et les USA affirment que l’Iran aide la Russie en lui fournissant des drones et des missiles dans le cadre du conflit russo-ukrainien.

En fin de compte, il est peu probable que l’escalade des menaces des dirigeants israéliens précipite une guerre à grande échelle

Cet alignement de l’Iran sur la Russie et la Chine, tel qu’il est perçu par Netanyahou, pourrait susciter l’intérêt des USA pour une éventuelle attaque contre l’Iran, mettre un terme à la détente entre l’Arabie saoudite et l’Iran et entre les pétromonarchies du Golfe et la Syrie, et limiter les efforts arabes visant à instaurer un nouvel ordre mondial fondé sur la multipolarité plutôt que sur une configuration unipolaire.

Les analyses israéliennes suggèrent qu’en menaçant d’une guerre régionale, Netanyahou pourrait accélérer les pressions usaméricaines sur l’Arabie saoudite pour qu’elle normalise ses relations diplomatiques avec Israël. Cet effort comprend actuellement des mesures limitées à court terme telles que la facilitation des vols directs entre Israël et l’Arabie Saoudite pour transporter les pèlerins du Hadj parmi les Palestiniens de 1948.

Il est de plus en plus douteux que la guerre de menaces orchestrée par Israël se transforme en une véritable guerre, une entreprise qui présente des risques dépassant de loin toute capacité à en prédire les conséquences - potentiellement dévastatrices non seulement pour le Liban, mais aussi pour Israël lui-même.

Le récent assaut israélien sur Gaza, qui visait spécifiquement le mouvement du Jihad islamique, relativement petit et de capacité limitée, a mis en évidence l’incapacité d’Israël à contrôler efficacement la progression de l’offensive ou à dicter sa conclusion. Comme l’a déclaré Halevi, la situation sur le front nord est totalement différente de celle de Gaza, et les mêmes stratégies ne peuvent être employées.

Dans ces conditions, il semble que l’influence régionale d’Israël ait diminué de manière significative et palpable. Il est également très peu probable que les dirigeants israéliens parviennent à remodeler les priorités mondiales des USA au profit de leur propre agenda politique. Par ailleurs, la “guerre des menaces”, répétée depuis 2004 et en particulier en 2013 et 2014 avant la conclusion de l’accord international sur le programme nucléaire iranien, est devenue inefficace.

Les objectifs de cette rhétorique sont axés sur des gains à court terme plutôt que sur une stratégie à long terme. La “guerre des menaces” actuelle a révélé la profondeur de la crise économique et financière d’Israël résultant du coup d’État judiciaire entrepris par le gouvernement actuel.

Alors que certaines guerres ont pu soutenir l’économie israélienne dans le passé, elles sont devenues désastreuses pour l’économie, qui retient actuellement l’attention de la société israélienne plus que toute autre question. Cela indique que la crise politique interne israélienne, le coup d’État judiciaire et ses résultats sont à l’origine de l’érosion de la dissuasion israélienne, parallèlement aux transformations régionales et mondiales mentionnées précédemment.

 En fin de compte, il est peu probable que l’escalade des menaces des dirigeants israéliens précipite une guerre à grande échelle. Et bien que les manœuvres diplomatiques usaméricaines puissent favoriser une certaine détente entre Israël et l’Arabie saoudite, la perspective de relations diplomatiques formelles reste incertaine.