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19/01/2025

Copenaghen, 13 gennaio 2025: attentato terroristico contro difensori del popolo saharawi

L’attentato che ha devastato gli uffici della ONG danese Global Aktion a Copenaghen, lunedì 13 gennaio 2025, è un atto estremamente grave: per quanto di nostra conoscenza, è la prima volta che i sostenitori dell’occupazione marocchina del Sahara occidentale ricorrono a metodi di tale violenza sul territorio europeo. È l’inizio di una campagna organizzata che prende di mira i difensori del popolo saharawi in Europa e nel mondo? Possiamo temerlo. Nel frattempo, ecco le informazioni che abbiamo finora.-SOLIDMAR

Attaccata sede ONG in Danimarca per il lavoro con il popolo saharawi: “Non ci faranno tacere”

Francisco Carrión, El Independiente, 14/1/2025
Tradotto da Alba Canelli, Tlaxcala

“Il Sahara appartiene al Marocco” o “Smettete di sostenere il terrorismo”. Si tratta dei graffiti lasciati dall’attacco alla sede della ONG danese Global Aktion a Copenaghen, impegnata a sostenere il popolo saharawi e a denunciare l’occupazione marocchina dell’ex colonia spagnola. La direzione della ONG ha denunciato "un attacco senza precedenti" sul suolo danese.

"Si tratta di un’escalation senza precedenti di un conflitto politico, che utilizza metodi che non vedevamo in Danimarca da decenni", ha affermato Morten Nielsen, responsabile delle politiche e delle campagne di Global Aktion. L’ufficio della ONG è stato attaccato nelle prime ore di lunedì mattina e completamente bruciato. "È altamente probabile che una bomba incendiaria sia stata lanciata attraverso una finestra, bruciando e danneggiando tutte le nostre proprietà", ha affermato il gruppo in una nota.

"Un tentativo di fermare il nostro lavoro"

Secondo i funzionari, "il messaggio era inequivocabile". "Consideriamo questo un chiaro tentativo di fermare il nostro lavoro per i diritti umani, la libertà e l’opposizione alla brutale occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco", affermano. Sui suoi social media, la ONG assicura che l’attacco "non li metterà a tacere". "Sosteniamo le loro richieste di indipendenza e decolonizzazione. Ma siamo profondamente scioccati da quanto accaduto ieri sera. Non avremmo mai immaginato che qualcuno potesse intensificare gli attacchi contro di noi al punto da mettere in pericolo le nostre vite. "Questo è del tutto inaccettabile e speriamo che la questione venga risolta definitivamente", ammettono.

Global Aktion sottolinea che gli autori non riusciranno a "indebolire il movimento globale di solidarietà per il Sahara Occidentale". “Questo non fa che sottolineare l’importanza di restare uniti. Un esempio di ciò che i nostri compagni nel Sahara Occidentale sperimentano quotidianamente. L’attacco alla nostra organizzazione ci costringe a riconsiderare il modo in cui condurremo il nostro lavoro politico in futuro, per garantire la sicurezza dei nostri attivisti. Allo stesso tempo, sottolinea l’urgente necessità della nostra voce e della nostra forte solidarietà con la lotta del popolo saharawi contro l’occupazione".

“Il fuoco e il fumo non ci faranno tacere. I nostri pensieri e la nostra solidarietà sono rivolti alla popolazione del Sahara Occidentale occupato e ai campi profughi che, da 50 anni, lottano ogni giorno per i diritti umani, la giustizia e la decolonizzazione. "Ciò che stiamo vivendo oggi non può essere paragonato all’oppressione che il popolo del Sahara Occidentale subisce da 50 anni", affermano.

La ONG denuncia inoltre la collusione dei paesi dell’Unione Europea con il Marocco in una situazione segnata dall’annullamento da parte della Corte di giustizia dell’UE degli accordi agricoli e di pesca tra Bruxelles e Rabat per aver ignorato i diritti del popolo saharawi.

Il Polisario accusa il Marocco

Il Fronte Polisario ha condannato "l’atroce attacco che ha preso di mira gli uffici della Global Aktion in Danimarca, dove le fiamme hanno avvolto la sua sede e vili graffiti hanno contaminato i suoi locali con messaggi che incitano all’odio contro il popolo saharawi, il che rappresenta un attacco diretto ai valori di giustizia", libertà e solidarietà internazionale." Attraverso la sua rappresentanza a Bruxelles, il Polisario ritiene che questo sia un "tentativo deliberato di mettere a tacere le voci di coloro che osano contestare l’occupazione illegale del Sahara Occidentale da parte del Marocco e denunciare le sue flagranti violazioni dei diritti umani, un contesto più ampio della sistematica campagna del Marocco per reprimere il dissenso ed eliminare ogni forma di resistenza alle sue ambizioni coloniali."

“Nei territori occupati del Sahara Occidentale, il regime marocchino ha adottato misure brutali per decenni, tra cui l’uccisione di civili saharawi, arresti arbitrari, sparizioni forzate e torture di difensori dei diritti umani. Questi metodi di repressione sono stati ora estesi per colpire i movimenti di solidarietà internazionale, poiché il Marocco cerca di esportare la sua campagna di intimidazione e violenza oltre i confini del Sahara occidentale", deplorano.

"L’attacco incendiario contro Global Aktion è un duro promemoria di quanto il Marocco sia disposto a spingersi per mantenere la sua occupazione illegale e soffocare il crescente sostegno globale alla causa saharawi. Questo atto criminale è emblematico di un regime che ha costantemente dimostrato il suo disprezzo per il diritto internazionale e i diritti umani, incoraggiato dal silenzio e dalla complicità di alcuni potenti attori sulla scena mondiale", concludono.



Asria Mohamed dopo l’attentato di Copenaghen: “Questo attacco è la prova che il nostro lavoro è importante”

Héctor Bukhari Santorum, Nueva Révolución,  15/01/2025
Tradotto da Alba CanelliTlaxcala

L’attacco agli uffici della Global Aktion a Copenaghen non è stato semplicemente un atto vandalico, ma un attacco deliberato a coloro che difendono la libertà e i diritti umani del popolo Saharawi. Oltre alla distruzione dei locali della Global Aktion, l’attacco ha preso di mira direttamente anche la delegazione del Fronte Polisario in Danimarca, legittimo rappresentante del popolo del Sahara Occidentale.

"Non si tratta di un altro attacco", hanno affermato gli attivisti dopo l’incidente. Si tratta di un attacco diretto all’unico rappresentante del popolo saharawi, il Fronte Polisario, che condivide l’edificio con Global Aktion. Ciò dimostra fino a che punto i nemici dell’autodeterminazione sono disposti ad arrivare per mettere a tacere la nostra lotta.

Dopo l’attacco, l’attivista saharawi Asria Mohamed Taleb ha pubblicato un messaggio pieno di indignazione. "L’attacco di ieri non è stato solo un attacco a un ufficio, è stato un attacco ai principi che rappresentiamo: diritti umani, libertà e giustizia per il popolo del Sahara Occidentale. "Questo attacco è la prova che il vostro lavoro è importante, che è visibile e che mette a disagio i nostri nemici", ha detto Mohamed.

Nel suo discorso, l’attivista ha ricordato i 50 anni di occupazione marocchina, segnati da oppressione e sistematiche violazioni dei diritti umani, e ha sottolineato come il lavoro di organizzazioni come Global Aktion abbia permesso alla causa saharawi di "raggiungere un pubblico internazionale".

La più grande mobilitazione pro-sahrawi nella storia della Danimarca

In seguito all’attacco, la Danimarca ha visto una mobilitazione senza precedenti. Ieri, martedì 14 gennaio, si è svolta la più grande manifestazione pro-Sahara Occidentale mai registrata nel Paese.

Centinaia di persone hanno riempito le strade scandendo messaggi come "L’occupazione deve finire", rendendo chiaro che la lotta per l’autodeterminazione nel Sahara Occidentale non è isolata.

“Quando i governi danno priorità ai propri interessi politici rispetto al rispetto del diritto internazionale, è la società civile che deve far sentire la propria voce”, ha sottolineato Asria Mohamed. Questo evento di grandi dimensioni non solo ha dimostrato solidarietà, ma ha anche dimostrato che il messaggio sta guadagnando terreno nell’opinione pubblica.

Nonostante i tentativi di intimidazione, la recente mobilitazione è un segno che la causa saharawi è più viva che mai. “Oggi più che mai la nostra voce risuona forte. "Non ci arrenderemo", ha concluso Asria Mohamed.

https://globalaktion.dk

18/01/2025

FRANCISCO CARRIÓN
“Le régime marocain n’est pas viable. Un soulèvement populaire est inévitable”
Entretien avec le journaliste marocain Aboubakr Jamaï


Francisco Carrión, El Independiente, 7 / 01 / 25
Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala
                  
Il dit être « radioactif » dans les milieux du pouvoir espagnol et français, mais son analyse et sa connaissance des tenants et aboutissants du Maroc sont des trésors. Aboubakr Jamaï, journaliste et homme d’affaires marocain en exil, connaît bien le passé du régime alaouite, ses projets d’ouverture aujourd’hui enterrés et son engagement renouvelé en faveur de la répression et des privilèges d’une élite qui partage un avenir sur lequel planent de sombres nuages.

« Je n’ai rien à cacher. Je dis la même chose à la presse et derrière des portes closes », déclare-t-il au pied levé dans un long entretien accordé à El Independiente. En 1997, Aboubakr Jamaï (Rabat, 1968) fonde à 29 ans Le Journal Hebdomadaire et, un an plus tard, son pendant arabophone, Assahifa al-Ousbouiya. Son journalisme inconfortable, compris comme un appel à la démocratisation du royaume, est devenu la cible de la colère du gouvernement, en particulier après l’accession au trône de Mohammed VI en 1999. Il a résisté à la diffamation, à l’interdiction, à la censure et à l’asphyxie économique pendant plus d’une décennie. En février 2010, Jamaï a annoncé sa fin. « Le journalisme sérieux est devenu impossible au Maroc aujourd’hui », plaide-t-il devant la foule.

Lauréat du prix international de la liberté de la presse décerné par le Comité pour la protection des journalistes,  Jamaï réside aujourd’hui à Madrid, où il est doyen de la Donna Dillon Manning School of Global Affairs de l’American College of the Mediterranean.

Question : Comment le Maroc est-il perçu de l’étranger ?
Réponse : L’État et le régime marocains nous disent que tout va bien, mais apparemment tout ne va pas bien. La raison pour laquelle je commence à m’inquiéter de la santé du monarque est qu’elle a des implications en termes de gouvernance du pays, parce que le roi est si important d’un point de vue constitutionnel que son bien-être est essentiel pour comprendre ce qui se passe dans le pays. S’il ne fonctionne pas pleinement, qui est responsable, qui prend les décisions ? Je pense que le roi a toujours été en charge. Il n’a peut-être pas prêté attention à certaines questions, mais c’est lui qui prend les décisions en dernier ressort. Je n’ai jamais cru que certaines décisions importantes avaient été prises sans son approbation, même lorsqu’il était à l’étranger. Je ne pense pas que de grandes décisions aient été prises sans qu’il en soit informé. La grande question est de savoir s’il est vraiment bien informé de ces décisions. Nous savons qu’il y a une sorte de division du travail autour de lui ; que le volet politique de sécurité, par exemple, était entre les mains d’Ali El Himma.
Q.- Où se place le chef de l’appareil policier, Abdellatif Hammouchi, dans cette division du travail ?
R.- C’est un des débats au Maroc, mais il est très peu probable qu’il ait pris la place d’El Himma. Il y a une constante dans le gouvernement du roi : les gens qui sont proches de lui sont des gens qui ont littéralement étudié avec lui à l’université. Ceux qui occupent encore les postes les plus importants sont des gens qui étaient avec lui dans ce que j’appelle sa zone de confort psychologique. Il est intéressant de les comparer à ceux qui entouraient Hassan II. La principale différence est que la plupart de ceux qui étaient avec Hassan II avaient une réputation bien établie en dehors du palais et avaient leur propre itinéraire politique. Ils étaient des personnalités à part entière. Aujourd’hui, ce sont ses amis. Au-delà du fait qu’ils sont autour de lui, ils sont inconnus. Je veux dire que si l’on retire de leur CV le fait qu’ils fréquentent le palais, qui sont-ils ? Ils n’ont aucune expérience professionnelle ou autre en dehors du palais.
Q.- Quel est le résultat de son gouvernement ?
R.- Je mentionne toujours les indicateurs de gouvernance de la Banque mondiale et c’est l’un des rares qui commence avant Mohamed VI. Vous pouvez voir l’évolution au cours des dernières années de Hassan II et immédiatement après en termes de corruption ou de libertés politiques. On peut voir qu’elle progresse positivement jusqu’en 2000 et qu’elle se dégrade depuis. Depuis le début de la monarchie de Mohammed VI, les droits humains et la liberté d’expression se sont dégradés par rapport aux dernières années de Hassan II.
Q.- Mais dans les premières années du règne de Mohammed VI, on projetait l’image d’un monarque compréhensif. On le surnommait « le roi des pauvres »...
R.- C’est une des raisons pour lesquelles, en tant que journaliste, j’ai eu des problèmes parce que dès le début nous avons commencé à tirer la sonnette d’alarme, parce que pour nous les signes avant-coureurs étaient déjà là. L’attitude de la monarchie à l’égard des entreprises est un indicateur important, car Hassan II, au cours de ses dernières années, a désengagé la monarchie du secteur privé. Un tournant important dans l’histoire politique récente du Maroc est ce qui s’est passé entre 2001 et 2003. Si l’on compare ce qui s’est passé dans la région dans les années 1990, on constate une régression en termes de droits humains et de démocratie. Il y a eu un proto-Printemps arabe. Les premières élections démocratiques dans le monde arabe ont eu lieu en Algérie en 1999. Elles ont débouché sur une guerre civile, mais il s’agissait d’élections démocratiques. Les élections les plus libérales de l’histoire de la Jordanie ont eu lieu en 1989, par exemple, et le Maroc a également rejoint la vague. La différence entre le Maroc et les autres pays est que le Maroc n’a pas reculé dans les années 1990. Hassan II a continué sur sa lancée. Je ne pense pas qu’il y ait eu un autre pays qui ait maintenu l’élan d’ouverture aussi dynamique que le Maroc, et le Maroc a été une bonne exception dans les années 1990. Il n’a jamais été une démocratie. Et cela a duré jusqu’au début des années 2020. Mon journal a été interdit à deux reprises en 2000. Hassan II ne l’a jamais interdit et j’ai été rédacteur en chef de novembre 1997 jusqu’à sa mort en juillet 1999 et nous n’avons jamais été interdits.
Q.- J’ai cru comprendre que pour vous, ce qui se passe au Maroc était prévisible ?
R.- Oui, bien sûr. Pour moi, les choses ont commencé à mal tourner très tôt. Tout d’abord, l’interdiction des journaux. Si vous regardez en arrière, vous vous rendez compte que les premières personnes qui ont été arrêtées sur la base des nouvelles lois antiterroristes étaient des journalistes, vous savez, après 2008. L’une des principales raisons pour lesquelles ce faux récit d’ouverture a persisté est liée au parti socialiste en France. Hassan II a nommé Abderrahmane Youssoufi premier ministre parce qu’il avait besoin du soutien des socialistes à l’étranger sur la question du Sahara. Cette nomination l’a aidé à s’entendre avec le Parti socialiste français.
Q.- Quel est l’héritage de Mohamed VI ?
R.- C’est une occasion manquée.
Q.- Je ressens une certaine méfiance à l’égard de l’Europe et de ses relations avec le Maroc...
R.- Lorsque nous avons été interdits de travailler en tant que journalistes et de publier, le seul pays où nous avons trouvé une société civile qui nous a soutenus ont été les USA. Je n’ai pas beaucoup d’espoir du côté de l’Europe en ce qui concerne les droits humains au Maroc. Leurs propos ne résonnent plus en moi. D’abord, la proximité entre les socialistes français et marocains a sacrifié les militants des droits humains et les démocrates. Ils ont acheté le discours des socialistes marocains. La deuxième raison est ce que j’appellerais la maladie française : le problème de l’islamisme. Il s’agit de la notion selon laquelle l’alternative aux socialistes et même au régime marocain est l’islamisme, ce qui, soit dit en passant, est conceptuellement stupide parce que la nature du régime actuel est islamiste. La raison pour laquelle le roi est roi est qu’il dit être un descendant du prophète et qu’il gouverne selon la loi de Dieu.
Lorsque vous parlez en ces termes, ceux d’entre nous qui, au Maroc, croient en la démocratie et aux libertés, s’entendent dire que nous sommes les idiots utiles de l’islamisme, que nous préparons le terrain pour l’islamisme. Et ceci est basé sur une vision très orientaliste selon laquelle nos sociétés sont des sociétés islamiques, ce qui n’est pas vrai. Nos sociétés sont très complexes. La preuve en est que les quelques ouvertures que nous avons eues dans la région en termes d’élections n’ont pas été balayées par les islamistes. Pas même en Tunisie. Et même si l’opposition était fracturée et brisée, elle n’a pas été en mesure d’obtenir de fortes majorités où que ce soit. La troisième raison concerne l’Espagne. Si vous me demandez pourquoi Pedro Sánchez fait ce qu’il fait vis-à-vis du Maroc, c’est parce que le Maroc est devenu beaucoup plus offensif dans sa diplomatie et utilise des arguments qu’il n’utilisait pas officiellement auparavant : « si vous ne jouez pas le jeu avec nous, nous vous ouvrons les portes de l’immigration ». C’est en mai 2022 que les Marocains ont envoyé des milliers de personnes à Ceuta, ce qui n’était pas arrivé auparavant.
Il y a aussi une nouvelle stratégie de diplomatie et de sécurité. Hammouchi est décoré en Espagne et en France. Il voyage aux USA et est proche du FBI et de la CIA. Il ne donne pas d’interviews, mais il publie des photos. Des gens écrivent des articles publicitaires sur eux. Ce n’était pas le cas auparavant.
Q.- Il semble que la diplomatie et l’appareil sécuritaire du Maroc gagnent la partie...
R.- Je ne sais pas, qu’avons-nous gagné exactement ? Si vous me demandez en termes d’efficacité, le jury n’a pas encore tranché. Le Roi a fait un discours et a dit que la lentille à travers laquelle nous allons juger nos partenaires dans le monde est leur attitude envers le Sahara Occidental. Quelle est votre mesure ? Quand on me dit que j’ai réussi, qu’avez-vous réussi à faire exactement ? Ce que le Maroc cherche, c’est la reconnaissance par l’ONU du fait que le Sahara occidental est marocain, donc pour moi c’est la mesure. Ce n’est pas le cas si Sanchez envoie une lettre et se contredit ensuite lorsqu’il s’exprime à l’ONU. Il en va de même pour les USA et la France, qui sont de plus gros poissons, car ils disposent d’un droit de veto au Conseil de sécurité de l’ONU.
Q.- Le plan marocain d’autonomie pour le Sahara a été présenté en 2007 et n’a pas été développé depuis.
R.- A l’époque, j’ai interviewé Mohamed Abdelaziz [le défunt leader du Polisario] pour lui demander ce qu’il pensait du plan d’autonomie et il n’a pas dit non. Il a dit que pour le moment, nous avions le processus de l’ONU : « voyons ce qui se passe et ensuite parlons ». Je l’ai interviewé à l’hôtel Mayflower à Washington. À la fin de l’entretien, l’un de ses conseillers est venu me voir et m’a dit : « Si le plan d’autonomie nous aide à sauver la face, pourquoi pas ? » Je l’ai écrit et personne n’a dit que c’était faux. Pour moi, le problème du plan d’autonomie n’est pas que le Sahara le rejette, c’est la hiérarchie des choses à faire pour avoir un plan d’autonomie acceptable. Le plan d’autonomie du Maroc n’est pas assez bon parce que nous n’avons pas les institutions pour le mettre en œuvre. Dans les déclarations de l’ambassadeur allemand à Rabat qui ont provoqué la crise avec l’Allemagne, il a dit quelque chose d’essentiel : si les Marocains pensent que les réformes de régionalisation qu’ils sont en train de faire sont suffisantes, ils se trompent. C’est mon attitude depuis le début.
Q.- Et que pensez-vous actuellement du plan d’autonomie pour le Sahara ?
R.- Le Maroc n’est pas capable. Nous n’avons pas les institutions pour mettre en œuvre un plan d’autonomie. Nous n’avons pas de système judiciaire indépendant. Nous ne sommes pas constitutionnellement développés pour avoir un plan d’autonomie internationalement acceptable. C’est notre problème et j’ai souvent dit en plaisantant que si le Polisario voulait ennuyer les Marocains, il devrait dire : « Oui, discutons de votre plan d’autonomie de trois pages ». Le Maroc n’a pas de plan sérieux parce que nous n’avons pas les bonnes institutions. Nous sommes institutionnellement sous-développés pour ce genre de choses parce que nous ne sommes pas une démocratie et nous demandons au monde de reconnaître que ces gens sont des Marocains. Donnez-nous ces gens qui sont les nôtres. Hassan II a utilisé une formule intéressante : « Je veux que l’ONU me donne mon titre de propriété ». Si tel est l’objectif, je ne pense pas que nous ayons fait beaucoup de progrès car, en fait, nous sommes toujours dans les résolutions de l’ONU. Il y a un paragraphe sur la solution politique et le respect du droit à l’autodétermination des peuples. Tant que cette phrase existera, nous ne gagnerons pas.
Nous en sommes toujours au même point. L’une de mes questions est de savoir pourquoi le Polisario est aujourd’hui totalement opposé au plan d’autonomie. Il ne parle que du droit à l’autodétermination. Que s’est-il passé en 2000 pour que le Polisario change d’avis ? Le Maroc était perçu comme un pays en voie de démocratisation et le Polisario a pris peur, car il craignait que son peuple ne l’accepte. La stratégie du Maroc devrait être telle que le peuple du Sahara pèse essentiellement deux choses : la démocratie et la liberté ou l’indépendance. Parce que si vous avez l’indépendance, il n’est pas sûr que vous soyez une démocratie... mais si vous l’avez déjà, si vous êtes sous le gouvernement d’un État qui se démocratise vraiment et que vous pouvez voir que vos ressources sont investies dans votre partie du pays ; si vous voyez que vous êtes traités de manière égale, que vous avez la liberté d’expression, que vous avez toutes ces choses, alors vous pourriez vous demander pourquoi l’indépendance. Parce que l’Algérie n’est pas la plus grande démocratie du monde et je sais que mes dirigeants ont un lien très fort avec les Algériens. Qu’est-ce que cela signifierait pour mon gouvernement ? Je ne soutiens pas l’argument marocain selon lequel il s’agirait d’une dictature. Je n’en sais rien. Je ne préjuge pas.
Q.- Mais cette possible stratégie de séduction est complètement enterrée aujourd’hui ?
R.- Aujourd’hui, il ne semble pas y avoir d’autre voie que le système prédateur du business royal, la collaboration avec les puissances du monde en torturant les gens qu’ils pensent être des terroristes ; l’arrêt de l’immigration s’ils le veulent en échange de la propriété marocaine du Sahara. Les droits humains ne nous intéressent plus. Nous avons maintenant une diplomatie de la sécurité.
Q.- Y a-t-il encore de la place pour une démocratisation au Maroc ?
R.- Oui, bien sûr. Je n’ai pas de réponse à cette question, mais je vais vous dire ce que je ne sais pas avec certitude. Ce que je sais avec certitude, c’est que ce régime n’est pas disposé à se démocratiser et qu’à un moment donné, il y a eu un espoir que ce régime soit disposé à s’ouvrir. L’indice de Freedom House est très utile. Hassan II a laissé un régime sans journalistes en prison, à quelques exceptions près, mais sans prisonniers politiques majeurs. Aujourd’hui, nous avons des prisonniers politiques et la torture au Maroc.
Q.- Le Maroc actuel est-il viable à long terme ?
R.- Je ne pense pas que ce type de gouvernement soit viable, mais il y a une bonne nouvelle dans l’histoire récente du Maroc, qui pour moi est formidable : lorsque nous avons eu le printemps populaire et le soulèvement du Rif, cela a montré que nous avons un peuple pacifique. Nous avons des gens organisés et articulés qui ne travaillent pas dans le cadre de syndicats, qui ne travaillent pas dans le cadre de partis politiques. Il existe donc une société en dehors de la société politique publique officielle qui est en fait beaucoup plus mûre que je ne le pensais moi-même. Je n’ai pas grandi à Casablanca, mais je la connais très bien. Il y avait des dizaines de milliers de personnes qui manifestaient dans un quartier très populaire. Pas une seule vitre n’a été brisée. Et je connais ces quartiers, il n’y a pas un jour sans qu’il y ait des pleurs, sans qu’il y ait des bagarres. Dans le Rif, c’était exactement la même chose. La violence est toujours venue de l’État.
Q.- Y aura-t-il un nouveau soulèvement à l’avenir ?
R.- Je pense que c’est inévitable. Lorsque vous analysez ce qui s’est passé dans toute la région et que vous voulez identifier le secteur démographique qui a été le principal moteur du Printemps arabe et du soulèvement du Rif, il s’agit de la jeunesse urbaine qui est au chômage, plus éduquée que le reste de la population et plus active. Par rapport à 2010, la situation est pire au Maroc parce que le régime n’a pas réussi à résoudre le problème principal, qui est de donner des emplois aux jeunes, qui sont ceux qui se rebellent. Nous sommes dans un monde différent avec l’internet. Ils y ont accès. J’emmène des étudiants usaméricains au Maroc et chaque fois que j’y vais, je suis stupéfait par le nombre de jeunes que nous rencontrons et qui ont appris l’anglais en regardant YouTube. Les gens ont donc d’autres moyens d’augmenter leur QI et pour moi, le QI de la société a augmenté non pas à cause du système éducatif, mais parce qu’ils sont exposés au reste du monde. La contestation va continuer à se développer. Nous ne prêtons pas trop attention à ce qui se passe démographiquement au Maroc. Aujourd’hui, la pyramide des âges marocaine commence à ressembler à une femme enceinte. La majorité de sa population est la partie productive entre 20 et 40 ans. La croissance moyenne pendant les 25 ans de Mohammed VI est de 3,6%. Le taux de croissance dont le Maroc a besoin, selon les économistes, pour absorber les nouveaux entrants sur le marché du travail se situe entre 6 et 7 %.
Je ne vois pas comment, s’il n’y a pas de relations appropriées, notamment avec l’Europe, organiser l’immigration de la manière la plus civilisée possible avec les pays qui ont besoin de l’immigration. L’Espagne a besoin de l’immigration. C’est un problème pour l’Espagne, mais surtout pour le Maroc. Le régime devrait avoir peur. Dans le Rif, ils ont réussi à mettre fin au soulèvement par la répression - ils ont rassemblé les leaders du mouvement et les ont condamnés à des peines de prison insensées et ils sont toujours en prison - et par l’ouverture du couloir de migration. Ils ont ouvert la porte : ils ont dit aux gens d’aller en Espagne. [Feront-ils avorter la prochaine révolte avec la même recette ?] Je ne sais pas, parce qu’ils sont entre le marteau et l’enclume.
Q.- Avec tous ces éléments, comprenez-vous la position de Sánchez au Maroc ?
R.- C’est très malheureux la façon dont cela s’est passé parce que je ne pense pas que ce soit un bon reflet des institutions espagnoles. Ce n’est pas non plus une bonne chose pour le Maroc. Je comprends la difficulté d’un chef de gouvernement espagnol et sa mission de stopper l’immigration illégale et de lutter contre le terrorisme en connaissant l’origine de ceux qui ont commis des attentats dans le passé. Et si les Marocains sont vraiment attachés au fait que le Sahara occidental devrait être marocain et qu’ils vont essentiellement évaluer toutes les autres politiques à mon égard à travers la lentille de cette question, qui est le Sahara occidental, alors j’aimerais les contenter. C’est logique. Mais la question est de savoir comment vous le faites, si c’est la bonne façon, s’il n’y a pas d’autre façon de le faire ? L’Espagne devrait prendre le Sahara occidental au sérieux et c’est difficile parce que le régime marocain est sourd et muet en ce moment. Nous sommes confrontés à une situation de fierté mal placée. Je n’aime pas ce chauvinisme venant du Maroc. Si je suis un partenaire du Maroc, je trouve qu’il est très difficile de parler au Maroc. Même à huis clos, je pense que les seules personnes que les Marocains écoutent sont les USAméricains. Les Marocains se moquent des Espagnols et des Français. Soyons clairs. Ils sont très arrogants en ce moment.
Il est très important de défendre les intérêts marocains, mais pas de cette manière. Ce n’est pas la bonne façon de le faire. Il y a d’autres façons d’être ferme, même sur la marocanité du Sahara, mais pas en menaçant d’être négligent dans la lutte contre le terrorisme et quand je dis lutte contre le terrorisme, je veux être clair ici. Je suis quelqu’un qui pense que la menace terroriste a été exagérée. Notre gouvernement ne doit pas être le gendarme des sociétés européennes. Il y a une très mauvaise perception de l’Islam, à la limite du racisme, dans ces sociétés. Par conséquent, lorsque je parle de terrorisme, je parle en fait de criminalité. Je ne parle pas d’arrêter quelqu’un qui porte une barbe. Mais pour moi, il est important que mon pays soit réellement impliqué dans la lutte contre cette criminalité. Il s’agit de ne pas laisser mes enfants risquer leur vie en essayant d’aller à Ceuta. J’ai mauvaise réputation lorsque j’utilise cela contre vous. Je sais que je vous contrarie. Je sais que c’est un outil contre vous, mais ce n’est pas bon. Ce n’est pas le pays dont je serais fier. Je me mets à la place de Pedro Sánchez. Si les Espagnols, les Français et les USAméricains sont vraiment sérieux sur la question du Sahara, ils devraient s’asseoir et dire que le plan d’autonomie a des conditions.

Q.- La perception interne qui est restée est que l’Espagne a été humiliée par le Maroc ?
R.- Oui, le paradoxe est que je pense que l’Espagne devrait soutenir l’autonomie, mais le Maroc a besoin de vrais partenaires. Le Maroc n’a pas besoin de partenaires faibles qui montrent la faiblesse dont Pedro Sánchez a fait preuve. Nous avons besoin de partenaires forts. Nous avons besoin d’amis forts qui nous soutiennent et qui soutiennent le fait que le Sahara est marocain [sic]. Nous parlions de la durabilité du Maroc. Quelle est la durabilité de ce type de relations diplomatiques lorsqu’il n’y a pas de gagnant-gagnant ? Les Marocains pensent avoir dompté la diplomatie espagnole et la diplomatie française, ce qui n’est pas le cas. Car Sánchez a envoyé la lettre et est ensuite allé à l’ONU pour dire autre chose. J’attends toujours que la France présente une résolution au Conseil de sécurité de l’ONU. Elle a le droit de veto, alors j’attends qu’elle dise : « Vous devez agir parce que ce n’est qu’une étape vers la solution finale ». Et la seule façon de résoudre ce problème est de reconnaître la souveraineté du Maroc sur ce territoire. Dans le cas de l’Espagne, le Maroc veut que l’Espagne reconnaisse le Sahara marocain et je ne pense pas que l’Espagne le fera pour une raison très simple. Il y a un élément dans l’analyse que je ne pense pas que les diplomates marocains comprennent vraiment concernant le comportement de leurs alliés. Les plus grands bénéficiaires de l’ordre mondial sont les pays occidentaux. Il n’est pas dans leur intérêt de déstabiliser complètement le système. Mais la plupart du reste du monde occidental est complètement hypocrite quand il s’agit de la question palestinienne, mais cela ne signifie pas qu’ils n’ont aucun intérêt à faire fonctionner le système des Nations Unies et l’ordre international, parce qu’il fonctionne pour eux, ce qui signifie qu’ils ne peuvent pas trop l’affaiblir et la question du Sahara fait partie de cette histoire. Ils ne vont pas faire n’importe quoi.
Q.- Depuis plus d’un an, le Maroc défend ses relations avec Israël...
R.- Il y a des débats dans les milieux d’affaires marocains pour savoir qui bénéficie de la connexion israélienne et je sais qu’il y a du mécontentement parce que ce sont des gens proches du régime qui en profitent. Tout le monde n’en profite pas. Le Maroc et les USA en tirent un grand bénéfice. La société marocaine est très pro-palestinienne. L’un des dangers que je perçois dans la connexion israélienne est l’attitude à l’égard de l’Algérie. Il existe un concept dans les relations internationales appelé le dilemme de sécurité. Et le dilemme de sécurité dit que lorsque vous vous sentez menacé par moi, que faites-vous ? Vous achetez plus d’armes... Si vous achetez plus d’armes, vous le faites de manière défensive parce que vous avez peur. Mais comment vais-je le percevoir ? Je le percevrai comme si vous vouliez m’attaquer. Je suis donc également sur la défensive, je vais construire mon armée. Encore une fois, c’est un cercle vicieux qui pourrait conduire à la guerre. Budgets militaires : les budgets militaires marocains ont doublé il y a quelques années, la même année que le budget militaire algérien, et nous ne sommes pas dans une économie qui dispose de ce type de ressources pour construire une armée forte. Bien sûr, nous devons nous défendre, mais nous devons être dans un environnement où nous n’avons pas à payer des milliards et des milliards de dollars chaque année pour maintenir une armée énorme, car c’est quelque chose qui pèse sur l’économie.
Q.- Le scénario d’une guerre entre le Maroc et l’Algérie est-il probable ?
R.- Nous sommes dans un monde fou. Si vous m’aviez parlé il y a quelques mois, je vous aurais répondu par un non catégorique. Aujourd’hui, franchement, je ne suis sûr de rien. Ni les Européens ni les USAméricains ne veulent d’une guerre dans les pays frontaliers de l’Europe.




17/01/2025

FRANCISCO CARRIÓN
Le nouvel ami et protecteur de Mohamed VI : Youssef Kaddour, le champion espagnol qui a juré “fidélité jusqu’à la mort” au roi du Maroc


Sportif accompli, il était devenu une idole à Melilla. Il fut un éphémère conseiller du gouvernement local. Il a tout abandonné pour répondre à l’appel du monarque alaouite.

Francisco Carrión, El Independiente, 12 / 01 / 2025
 Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala

 

Mohamed VI et Youssef Kaddour | GV

Certains ont été incrédules lorsqu’ils ont entendu parler de « sa nouvelle mission ». Au cours de la dernière décennie, il a remporté une demi-douzaine de championnats du monde et d’Europe d’arts martiaux sous les couleurs espagnoles. Il était devenu une idole à Melilla, un modèle pour les jeunes de la ville autonome. Youssef Kaddour reçoit hommages et récompenses dans son « coin de terre » et devient même un éphémère conseiller du gouvernement local. Jusqu’à ce que Mohamed VI croise son chemin.

Youssef Abdesselam Kaddur (Melilla, 1985) a fêté ses 40 ans le 2 janvier. Il est devenu l’un des plus fidèles confidents de Mohamed VI. Un écuyer et garde du corps qui a rejoint l’entourage formé par le clan des boxeurs Azaitar, les trois frères Abu Bakr, Ottman et Omar qui accompagnent le monarque dans tous ses déplacements depuis son divorce avec Lalla Salma en 2018 et qui jouissent d’une vie de haut niveau, dans les résidences et les dépenses luxueuses du monarque.

Shopping avec le monarque à Abu Dhabi

Sa présence imposante, sculptée par des heures en salle de sport, n’est pas passée inaperçue. L’été dernier, il a passé ses vacances avec Mohammed VI à Medik, une ville côtière près de Tétouan. Début janvier, Kaddour a accompagné le roi lors de sa visite à Abou Dhabi, la capitale des Émirats arabes unis. Sur les images qui ont été diffusées, le natif de Melilla se promène avec le monarque alaouite dans un centre commercial de la ville. Tous deux descendent un escalator au milieu de la foule présente dans le centre. Mohammed VI, le bras en écharpe, porte une chemise orange vif et un bas de survêtement ; Kaddour, lui, porte une chemise blanche.

Ce n’est pas la première fois qu’il est filmé en train d’accompagner le monarque malade. À Melilla, cette amitié ne surprend pas. « Je me souviens avoir reçu une photo de cette relation étroite avec le pouvoir marocaine, mais je ne me souviens pas d’autres détails », admet Eduardo de Castro, l’ancien président de Melilla. Kaddour a été conseiller à la jeunesse dans son premier gouvernement, fruit de l’accord entre Ciudadanos, PSOE et Coalición por Melilla qui a évincé Juan José Imbroda. Il a été nommé le 4 juillet 2019 et est resté en poste jusqu’en novembre de la même année.

« Il ne s’est ni bien ni mal comporté. Il n’a pas joué un rôle important. Il n’avait pas le temps de faire quoi que ce soit », se souvient De Castro. Kaddour a rejoint l’exécutif dans le quota de Coalición por Melilla, la formation fondée en 1995 par Mustafa Aberchán en tant que scission du PSOE Melilla et qui fait l’objet d’une enquête depuis 2023 pour un complot présumé de fraude électorale, de corruption et de vol de votes par correspondance. « Dès que j’ai su qu’il était lié au Maroc, je lui ai retiré la médaille de la ville et tout autre avantage. C’est de la déloyauté », dit De Castro, aujourd’hui retiré de la vie politique. « Dès que j’ai eu connaissance de tout cela, j’ai dit qu’il devait être démis de ses fonctions. C’est ce que j’ai fait lors du premier changement de gouvernement », ajoute-t-il.

Kaddour avec le président de la ville autonome de Melilla, Juan José Imbroda (Parti Populaire, droite) en 2018, lors de la remise de la Médaille d'or

Une enfance marquée par les brimades à l’école

Jusqu’à la fin de la dernière décennie, Kaddour était une figure importante de Melilla. Ses réseaux sociaux attestent de cette idylle avec sa ville natale. En 2017, après que des groupes locaux ont dénoncé le manque de soutien du gouvernement local à sa carrière sportive, il reçoit une série d’hommages signés par le Centre UNESCO de Melilla et l’Association de la presse sportive de la ville autonome. Un an plus tard, le gouvernement de la ville lui a décerné la Médaille d’or de Melilla, la plus haute décoration. Cette distinction a été acceptée à l’unanimité par les groupes politiques représentés à l’Assemblée.

À l’époque, Kaddour se vantait de ses origines mélilliennes. Dans l’une des vidéos publiées sur son compte Youtube, il reconnaît avoir été victime de brimades à l’école. « Mon enfance n’a pas été facile. J’ai été victime de brimades. Je me souviens encore de choses comme être battu à l’école, qu’on me prenne des choses, qu’on m’appelle par des noms, qu’on me donne des surnoms, j’ai vraiment vécu des moments difficiles », explique-t-il. Ces souvenirs amers sont confirmés par sa mère. « Il n’a pas passé de très bons moments à l’école lorsqu’il était enfant. Il était toujours très en colère. Nous savions qu’il vivait mal et c’est pourquoi nous avons eu l’idée géniale de lui faire faire du karaté pour qu’il sache se défendre », raconte sa mère. « J’ai commencé à nager et à faire du karaté pour gagner en confiance et savoir me défendre. Une fois que j’ai essayé le sport, c’était comme une drogue pour moi. Il s’agissait avant tout de m’améliorer : essayer d’être le meilleur en tout, que ce soit en classe ou dans n’importe quel sport ».

Intime avec les frères Azaitar
Kaddour collectionne les photos sur les réseaux sociaux avec les frères Azaitar, devenus la « nouvelle famille » de Mohamed VI après son divorce.

Une ambition et une compétitivité qu’il a conservées intactes à l’âge adulte, sur les tatamis où il s’entraînait et affrontait ses rivaux. Alejandro Liendo, l’un de ses entraîneurs pendant ses années au sommet de la discipline, le confirme : « Nous avons préparé ensemble le championnat d’Espagne de grappling et le championnat du monde de BJJ [jiu-jitsu brésilien] . Il a été champion dans les deux et son implication en tant qu’athlète a été exceptionnelle ». « Très discipliné, avec une très grande capacité d’effort et de sacrifice, comme cela est exigé d’un athlète d’élite de ce niveau. Il ne se plaignait jamais, il était toujours prêt à donner 100 % de sa journée et il avait une personnalité irrésistible », se souvient-il dans une conversation avec ce journal.

Kaddour a régné sur le grappling (sans kimono), le grappling gi (avec kimono) et le jiu-jitsu brésilien. Entre 2016 et 2018, il a bénéficié de l’ADO, le programme de soutien au développement et à la promotion des athlètes espagnols de haut niveau au niveau olympique. Sa dernière médaille remonte au printemps 2019 à Bucarest. Dans la capitale roumaine, il a remporté le bronze au championnat d’Europe de grappling. Les succès de sa carrière sportive, qui a débuté en 2011 avec une médaille d’or aux championnats d’Europe de Lisbonne, se sont achevés à Bucarest.

Kaddour à l’académie des frères Azaitar en 2020

Le Maroc, sa nouvelle patrie

Le jeune homme, qui a étudié les sciences de l’environnement à l’université de Grenade et a passé de longues périodes de formation aux îles Canaries, a inauguré quelques mois plus tard son éphémère carrière politique, dont il n’existe pratiquement pas de photos ou de vidéos. En 2020, ses pas l’ont conduit au Maroc, sous la houlette d’Aboubakr Azaitar, un ancien détenu en Allemagne devenu boxeur, qu’il considère comme « un frère ». Aboubakr est l’un des membres de « cette nouvelle famille » - comme certains l’appellent avec un malaise évident au palais - qui suit Mohammed VI dans ses absences prolongées du trône.

En août 2020, Kaddour annonçait dans ses réseaux « une nouvelle étape ». « « Avec beaucoup d’enthousiasme et de nouveaux objectifs. Alhamdulillah pour les personnes qui chaque jour font ressortir la meilleure version de moi, comme cette grande équipe. De grandes nouvelles sont à venir. Insha’allah. Focus sur la mission », écrit-il. Il l’accompagne d’un cliché sur lequel il pose torse nu avec d’autres « camarades de mission » sur un fond dominé au centre par le portrait de Mohammed VI en costume. De part et d’autre de l’image figurent les portraits des boxeurs qui composent l’entourage du monarque.

Depuis lors, il a éliminé toute mention de son origine melillienne et les mentions « Maroc » et le drapeau du pays sont reproduits dans tous les messages qu’il publie. Au cours des quatre dernières années, sa présence sur les médias sociaux s’est limitée à rappeler ses exploits et à diffuser des messages de motivation : « S’entraîner en s’amusant, persévérer en se reposant et vivre ce dont on rêve. Ma plus grande motivation et ma plus grande force, c’est la foi. La foi pour Allah » ; la reproduction de citations du prophète Mohamed ; le récit de ses voyages et de ses sorties avec les frères Azaitar ; ou encore la vassalité à Mohammed VI. « Que Dieu protège sa majesté le roi Mohammed VI et lui accorde la victoire, ô Allah tout-puissant, que Dieu le protège, prolonge sa vie et guide ses yeux vers l’héritier du prince secret, le puissant Moulay Hassan, et bénisse la vie de tous les membres de l’estimée famille », a-t-il posté lors de l’un des anniversaires de son accession au trône.

Youssef avec son défunt frère dans une image d’archive

La mort de son frère qui a scellé son destin avec Mohammed VI

Contacté par ce journal, Kaddour n’a pas souhaité s’exprimer. « Il n’y a pas lieu d’attendre, je n’ai pas l’habitude de parler de mes affaires, mais je vous remercie de votre intérêt », a-t-il répondu à une demande d’interview. Une tragédie familiale, la mort de son frère Souli Abdesselam en 2021, a scellé ce lien avec le monarque alaouite qu’il ne cache plus. Le roi alaouite est intervenu personnellement dans le rapatriement du corps.

« Aucun mot ne saurait exprimer notre gratitude pour l’amour et le soutien qui nous ont été témoignés après le décès de mon frère Souli. En particulier à Sa Majesté le Roi Mohammed VI qui, dès le moment du décès, a tout mis en œuvre pour le rapatriement de mon frère, sans tarder plus d’une journée, amenant les proches à l’enterrement, s’occupant de tous les détails et de l’état de la famille, montrant ainsi qu’il est une grande personne. Ma famille et moi-même lui serons éternellement reconnaissants, il aura notre amour et notre loyauté jusqu’à notre mort. Nous lui sommes profondément reconnaissants ».

Un serment qu’il réalise aujourd’hui en tant que garde du corps et complice de Mohammed VI, protagoniste de relations avec les frères Azaitar que le makhzen - le cercle dirigeant du roi - et sa famille biologique considèrent avec beaucoup de suspicion. « Toutes ces relations cachent quelque chose », affirme un membre de l’opposition marocaine, conscient du cercle alternatif d’amis et de fidèles que le roi s’est constitué, loin de tout protocole ou des cercles traditionnels de Rabat.

« À Melilla, nous l’avons perdu de vue. C’était une personne de prestige jusqu’au moment où cette relation avec le Maroc a circulé. Depuis, je n’ai plus de nouvelles de lui. Il continuera à être espagnol, bien que pour le Maroc, la double nationalité n’existe pas. Pour eux, c’est un Marocain qui a choisi de gagner sa vie avec Mohamed VI », conclut De Castro. Dans l’un de ses derniers messages sur Instagram, à l’occasion de l’anniversaire de la Marche verte d’occupation du Sahara alors espagnol, Kaddour résume l’idéal de sa nouvelle vie : « Dieu, la patrie et le roi ».


Le Kaddour new look

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➤ On le savait dissolu, le voilà dissous : le mystère de la déliquescence du roi du Maroc, par Nicolas Pelham, avril 2023 

16/01/2025

Copenhague, 13 janvier 2025 : attentat terroriste contre des défenseurs du peuple sahraoui

 L’attentat qui a détruit les bureaux de l'ONG danoise Global Aktion à Copenhague le lundi 13 janvier 2025 est un acte extrêmement grave : c'est à notre connaissance la première fois que les partisans de l’occupation marocaine du Sahara occidental recourent à des méthodes d'une telle violence sur le territoire européen. Est-ce le début d’une campagne organisée visant les défenseurs du peuple sahraoui à travers l'Europe et le monde ? On peut le craindre. En attendant, voici les informations dont nous disposons à ce jour.-SOLIDMAR

Le bureau d’une ONG attaqué au Danemark pour son travail avec le peuple sahraoui : « Ils ne nous feront pas taire »

Francisco Carrión, El Independiente, 14/1/2025
Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala

« Le Sahara appartient au Maroc « ou “Arrêtez de soutenir le terrorisme”. Ce sont les graffitis laissés par l’attaque du bureau de l’ONG danoise Global Aktion à Copenhague pour son travail d’assistance au peuple sahraoui et de dénonciation de l’occupation marocaine de l’ancienne colonie espagnole. La direction de l’ONG a dénoncé « une attaque sans précédent » sur le sol danois.

« Il s’agit d’une escalade sans précédent d’un conflit politique, utilisant des méthodes que nous n’avons pas vues au Danemark depuis des décennies », a déclaré Morten Nielsen, responsable de la politique et des campagnes de Global Aktion. Le bureau de l’ONG a été attaqué tôt lundi matin et entièrement brûlé. « Il est fort probable qu’une bombe incendiaire ait été lancée à travers une fenêtre, brûlant et endommageant tous nos biens », a déclaré le groupe dans un communiqué.

« Une tentative d’arrêter notre travail »

Selon les responsables, « le message était sans équivoque ». « Nous y voyons une tentative claire d’arrêter notre travail pour les droits humains, la liberté et l’opposition à l’occupation brutale du Sahara occidental par le Maroc », disent-ils. Sur ses médias sociaux, l’ONG assure que l’attaque « ne les fera pas taire ». « « Nous soutenons leurs demandes d’indépendance et de décolonisation. Mais nous sommes profondément choqués par ce qui s’est passé la nuit dernière. Nous n’avons jamais imaginé que quelqu’un pourrait intensifier les attaques contre nous d’une manière qui mettrait nos vies en danger. C’est tout à fait inacceptable et nous espérons que l’affaire sera résolue de manière approfondie », admettent-ils.

Global Aktion souligne que les auteurs ne parviendront pas à « affaiblir le mouvement de solidarité mondiale pour le Sahara occidental ». « Cela ne fait que souligner l’importance de rester unis. Un exemple de ce que nos camarades au Sahara Occidental vivent au quotidien. L’attaque contre notre organisation nous oblige à reconsidérer la façon dont nous mènerons notre travail politique à l’avenir, afin d’assurer la sécurité de nos militants. En même temps, elle souligne le besoin urgent de notre voix et notre forte solidarité avec la lutte du peuple sahraoui contre l’occupation ».

« Le feu et la fumée ne nous feront pas taire. Nos pensées et notre solidarité vont au peuple du Sahara occidental occupé et aux camps de réfugiés qui, depuis 50 ans, luttent chaque jour pour les droits humains, la justice et la décolonisation. Ce que nous vivons aujourd’hui ne peut être comparé à l’oppression que le peuple du Sahara Occidental subit depuis 50 ans », affirment-ils.

L’ONG dénonce également la connivence des pays de l’Union européenne avec le Maroc dans une conjoncture marquée par l’annulation par la Cour de justice de l’UE des accords agricoles et de pêche entre Bruxelles et Rabat pour avoir ignoré les droits du peuple sahraoui.

Le Polisario accuse le Maroc

Le Front Polisario a condamné « l’attentat atroce qui a visé les bureaux de Global Aktion au Danemark, où les flammes ont englouti son siège et des graffitis ignobles ont souillé ses locaux avec des messages incitant à la haine contre le peuple sahraoui, ce qui représente une attaque directe contre les valeurs de la justice, de la liberté et de la solidarité internationale ». Par la voix de sa représentation à Bruxelles, le Polisario considère qu’il s’agit d’une « tentative délibérée de faire taire les voix de ceux qui osent contester l’occupation illégale du Sahara occidental par le Maroc et dénoncer ses violations flagrantes des droits humains » et qui s’inscrit dans « un contexte plus large de campagne systématique du Maroc pour réprimer la dissidence et éliminer toute forme de résistance à ses ambitions coloniales ».

« Dans les territoires occupés du Sahara occidental, le régime marocain a employé des mesures brutales pendant des décennies, y compris le meurtre de civils sahraouis, les arrestations arbitraires, les disparitions forcées et la torture des défenseurs des droits humains. Ces méthodes de répression ont maintenant été étendues pour cibler les mouvements de solidarité internationale, alors que le Maroc cherche à exporter sa campagne d’intimidation et de violence au-delà des frontières du Sahara occidental », déplorent-ils.

« L’attaque à la bombe incendiaire contre Global Aktion est un rappel brutal des limites que le Maroc est prêt à franchir pour maintenir son occupation illégale et étouffer le soutien mondial croissant à la cause sahraouie. Cet acte criminel est emblématique d’un régime qui a constamment montré son mépris pour le droit international et les droits humains, encouragé par le silence et la complicité de certains acteurs puissants sur la scène mondiale », concluent-ils.
Lire aussi Incendie des bureaux d’un partenaire de WSRW


Asria Mohamed après l’attentat de Copenhague : « Cet attentat est la preuve que notre travail est important »

Héctor Bukhari Santorum, Nueva Révolución,  15/01/2025
Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala

L’attaque contre les bureaux de Global Aktion à Copenhague n’était pas seulement un acte de vandalisme, c’était une attaque délibérée contre ceux qui défendent la liberté et les droits humains du peuple sahraoui. En plus de la destruction des locaux de Global Aktion, l’attaque visait aussi directement la délégation du Front Polisario au Danemark, le représentant légitime du peuple du Sahara occidental.

« Il ne s’agit pas simplement d’une agression de plus », ont déclaré les militants après l’incident. C’est une attaque directe contre le seul représentant du peuple sahraoui, le Front Polisario, qui partage le bâtiment avec Global Aktion. Cela montre jusqu’où les ennemis de l’autodétermination sont prêts à aller pour faire taire notre lutte.

À la suite de l’attaque, l’activiste sahraouie Asria Mohamed Taleb a publié un message plein d’indignation. « L’attaque d’hier n’était pas seulement une attaque contre un bureau, c’était une attaque contre les principes que nous défendons : les droits humains, la liberté et la justice pour le peuple du Sahara occidental. Cette attaque est la preuve que votre travail compte, que votre travail est visible, et qu’il met nos ennemis mal à l’aise », a déclaré Mohamed.

Dans son intervention, l’activiste a rappelé les 50 années d’occupation marocaine, marquées par l’oppression et les violations systématiques des droits humains, et a souligné comment le travail d’organisations telles que Global Aktion a permis à la cause sahraouie d’atteindre un public international.

La plus grande mobilisation pro-sahraouie de l’histoire du Danemark

Au lendemain de l’attentat, le Danemark a connu une mobilisation sans précédent. Hier mardi 14 janvier, la plus grande manifestation pro-Sahara occidental jamais enregistrée dans le pays a eu lieu.

Des centaines de personnes ont rempli les rues en scandant des messages tels que « L’occupation doit cesser », montrant clairement que la lutte pour l’autodétermination du Sahara Occidental n’est pas seule.

« Lorsque les gouvernements privilégient leurs intérêts politiques au détriment du respect du droit international, c’est la société civile qui doit faire entendre sa voix », a souligné Asria Mohamed. Cet événement massif n’a pas seulement montré la solidarité, mais aussi que le message gagne du terrain dans l’opinion publique.

Malgré les tentatives d’intimidation, la récente mobilisation est le signe que la cause sahraouie est plus vivante que jamais. « Aujourd’hui plus que jamais, notre voix résonne fort. Nous n’abandonnerons pas », a conclu Asria Mohamed.

https://globalaktion.dk

Déclarations de solidarité à travers le monde

09/01/2025

FRANCISCO CARRIÓN
”Var och en med den minsta gnutta medmänsklighet borde stödja västsaharierna”
Intervju med Greta Thunberg

Francisco Carrión, El Independiente, 9/1/2024
Översatt av Fausto Giudice, Tlaxcala

Francisco Carrión (Granada, 1986) är en spansk journalist för El Independiente. Under det senaste decenniet har han varit korrespondent för dagstidningen El Mundo i Kairo och rapporterat från Egypten om de mest dramatiska åren i det arabiska landets historia. Han har fått ett tjugotal utmärkelser för sitt arbete och sina krönikor.

Hon har precis gett sig av hemåt. En veckas resa ligger framför henne, först med bil genom Algeriet och sedan med båt till den spanska kusten. Den svenska aktivisten Greta Thunberg reser hem efter några dagar i den västsahariska exilens tält, med en blick som fortfarande är fascinerad av mötet med Afrikas sista koloni.
”Mitt första intryck är västsahariernas beslutsamhet att outtröttligt kämpa för sina rättigheter, trots att de har berövats och bestulits på sina mest grundläggande mänskliga rättigheter och ständigt förnekas rätten till självbestämmande, till värdighet och frihet samt förvägras rättvisa”, säger klimataktivisten i ett samtal med El Independiente innan hon ger sig iväg på sin återresa.

Thunberg har deltagit i ett möte med klimataktivister som anordnades av Solidarity Rising, en organisation som grundades av de svenska aktivisterna Sanna Ghotbi och Benjamin Ladraa som under två och ett halvt år cyklade 3000 mil genom 26 länder för att öka medvetenheten om Västsahara, den tidigare spanska provinsen som ockuperas av Marocko sedan 1975. Den svenska aktivisten,  sedan den 3 januari 22 år, och som är klimataktivismens ansikte utåt, tillbringade tre dagar i Boujdour-lägret.

Västsahariska barn vid ett av Greta Thunbergs evenemang 

Från Palestina till Kurdistan och Sahara

Hon säger att hon har fängslats av gästfriheten. ”Jag blev förvånad över hur mycket de försökte få oss att känna oss som hemma, och att de lyckades”, säger hon till denna tidning. Efter att under det senaste året ha engagerat sig för palestiniernas sak mitt under den israeliska militärinsatsen i Gazaremsan och i slutet av 2024 ha besökt Kurdistan - världens största folk utan nationalstat - besökte Thunberg de västsahariska flyktinglägren i Tindouf (Algeriet), där cirka 175.000 människor lever. År 2025 är det 50 år sedan Spanien drog sig tillbaka från det tidigare Spanska Sahara, Spaniens då 53:e provins.
Enligt Thunberg borde stödet för den västsahariska saken vara en universell angelägenhet. ”Det borde vara en självklarhet för alla som gör anspråk på att ha den minsta gnutta mänsklighet att stå i solidaritet med det västsahariska folket och alla marginaliserade, ockuperade eller förtryckta grupper”. "Naturligtvis är deras kamp vår kamp. Ingen är fri förrän alla är fria. Och så länge människor lider måste vi göra allt som står i vår makt för att få ett slut på lidandet”.
Thunberg, som i tonåren inspirerade Fridays for Future och blev en väckarklocka för en generation som oroade sig för klimatförändringarnas härjningar och planetens hälsa, hävdar att ”det inte finns någon klimaträttvisa utan mänskliga rättigheter” och attackerar Marocko och dess politik. ”För en klimataktivist finns det kopplingar, till exempel det faktum att den här regionen är en av de hårdast drabbade av klimatkrisen samtidigt som dess invånare är bland de minst ansvariga för den”.

Thunbergs tid i den algeriska hamadan har satt sina spår. ”Det tog henne en vecka att ta sig dit från Stockholm med tåg, bil och färja, inklusive en kort vistelse i Paris”, förklarar Benjamin Ladraa , en av arrangörerna . ”Hennes deltagande har varit ett viktigt tillfälle att diskutera hur vi kan inkludera och involvera klimatrörelsen i kampen för ett fritt Västsahara. Marocko grönmålar ockupationen genom att utnyttja ”gröna” energikällor på ockuperat territorium utan det västsahariska folkets medgivande [läs här: Grön energi vs mänskliga rättigheter i ockuperade Västsahara, övers. anm.]. Som arrangörer tyckte vi att det var viktigt att främja relationer mellan solidaritetsrörelsen, det västsahariska folket och klimatrörelsen och vi kunde inte tänka oss en bättre person än Greta för att underlätta detta”, tillägger Ladraa.

Så länge människor lider måste vi göra allt som står i vår makt för att få ett slut på lidandet.

”Utan mänskliga rättigheter finns det ingen klimaträttvisa”

”Det är svårt att hitta tydligare exempel på klimatorättvisa och, naturligtvis, den överutvinning och plundring av naturresurser som Marocko genomför, och som går hand i hand med ockupationen och i sig är ett led i ockupationen.” ”Som klimataktivister bör vi bry oss om och prata om frågor som Västsahara, konflikten och ockupationen eftersom vi i slutändan är passionerade och bryr oss om mänsklig välfärd och att få slut på orättvisor, oavsett om de är sociala eller klimatrelaterade”, menar han.
För Thunberg - som har utsatts för israeliska attacker under de senaste 18 månaderna och som nu måste lägga till den marockanska regimens angrepp
- är sociala, politiska och klimatrelaterade orättvisor ”en del av samma kamp” i en värld som står inför de dramatiska konsekvenserna av uppvärmningen till följd av fossila bränslen.
”Vi kämpar mot samma system. Det är samma system som ger näring åt kolonialism och ockupationer som också ger näring åt kapitalistisk exploatering och överexploatering av naturen och människor. Och alla som har en plattform, alla som har möjlighet att agera måste höja sin röst, sprida medvetenhet om Västsahara och det västsahariska folket och ansluta sig till kraven på ett fritt Västsahara. Vi har helt enkelt inget annat val”, avslutar hon.

FRANCISCO CARRIÓN
“Quiconque a une once d’humanité doit soutenir les Sahraouis”
Interview de Greta Thunberg

Francisco Carrión, El Independiente, 9/1/2024
Traduit par Tafsut Aït Baâmrane, Tlaxcala

Francisco Carrión (Grenade, 1986) est un journaliste espagnol qui travaille pour El Independiente. Au cours de la dernière décennie, il a été correspondant du quotidien El Mundo au Caire, couvrant les années les plus dramatiques de l'histoire de l'Égypte. Il a reçu une vingtaine de prix pour son travail et ses chroniques.

Elle vient de prendre le chemin du retour. Une semaine de voyage s’annonce, d’abord par la route à travers l’Algérie, puis par bateau jusqu’à la côte espagnole. L’activiste suédoise Greta Thunberg rentre chez elle après quelques jours sous les tentes de l’exil sahraoui, les yeux encore fascinés par la rencontre avec la cause du Sahara occidental, dernière colonie d’Afrique.

« Ma première impression est la détermination des Sahraouis à lutter sans relâche pour leurs droits, même s’ils ont été privés et dépouillés de leurs droits humains les plus fondamentaux et se voient constamment refuser le droit à l’autodétermination, le droit à la dignité et à la liberté, et sont privés de justice », déclare l’activiste climatique dans une conversation avec El Independiente avant d’entamer son voyage de retour.

Thunberg a participé à une réunion d’activistes climatiques organisée par Solidarity Rising, une organisation créée par les activistes suédois Sanna Ghotbi et Benjamin Ladraa, qui ont parcouru 30 000 kilomètres à vélo à travers 26 pays en deux ans et demi pour sensibiliser au Sahara occidental, l’ancienne province espagnole occupée par le Maroc depuis 1975. L’activiste suédoise de 22 ans (qu’elle a eu le 3 janvier), qui est devenue le visage de l’activisme climatique, a passé trois jours dans le camp de Boujdour.

Des enfants sahraouis lors d’un des événements organisés avec Greta Thunberg

De la Palestine au Kurdistan et au Sahara

Cette expérience lui a permis d’être captivée par l’hospitalité des Sahraouis. « J’ai été surprise de voir à quel point ils ont essayé de nous faire sentir chez nous, et ils ont réussi », a-t-elle déclaré à ce journal. Après avoir défendu la cause palestinienne l’année dernière, en pleine opération militaire israélienne dans la bande de Gaza, et s’être rendue au Kurdistan - le plus grand peuple sans État-nation de la planète - fin 2024, Greta  a visité les camps de réfugiés sahraouis de Tindouf (Algérie), où vivent quelque 175 000 personnes. En 2025, cela fera 50 ans que l’Espagne s’est retirée de l’ancien Sahara espagnol, la 53e  province espagnole.
Selon Thunberg, le soutien à la cause sahraouie devrait être un exercice universel. « Il devrait être évident pour toute personne qui prétend avoir la moindre parcelle d’humanité de se solidariser avec le peuple du Sahara occidental et tous les groupes marginalisés, occupés ou opprimés ». « Bien sûr, leur lutte est notre lutte. Personne n’est libre tant que tout le monde ne l’est pas. Et tant que des gens souffrent, nous devons faire tout ce qui est en notre pouvoir pour mettre fin à cette souffrance.
Thunberg, qui, adolescente, a inspiré les Fridays for Future et est devenue une éveilleuse de consciences pour une génération préoccupée par les ravages du changement climatique et la santé de la planète, affirme qu’« il n’y a pas de justice climatique sans droits de l’homme » et s’en prend au Maroc et à ses politiques. « En tant qu’activiste climatique, il existe des liens tels que le fait que cette région est l’une des plus durement touchées par la crise climatique alors que ses habitants sont parmi les moins responsables de celle-ci ».
Le séjour de Thunberg dans la hamada algérienne a laissé des traces. « Il lui a fallu une semaine pour venir de Stockholm en train, en voiture et en ferry, y compris un court séjour à Paris », explique Benjamin Ladraa, l’un des organisateurs. « Sa participation a été une occasion importante de discuter de la manière dont nous incluons et impliquons le mouvement climatique dans la lutte pour un Sahara occidental libre. Le Maroc fait de l’écoblanchiment en construisant de l’énergie « verte » dans le territoire occupé sans le consentement du peuple sahraoui. En tant qu’organisateurs, nous avons pensé qu’il était important de favoriser les relations entre le mouvement de solidarité, le peuple sahraoui et le mouvement climatique et nous ne pouvions pas penser à une meilleure personne que Greta pour faciliter cela », ajoute Ladraa.
Tant que les gens souffrent, nous devons faire tout ce qui est en notre pouvoir pour mettre fin à cette souffrance.

« Sans droits de l’homme, il n’y a pas de justice climatique »

« Il est difficile de trouver des exemples plus clairs de l’injustice climatique et, bien sûr, de la surextraction et du pillage des ressources naturelles auxquels se livre le Maroc, qui vont de pair avec l’occupation et constituent eux-mêmes une étape de l’occupation. « En tant qu’activistes climatiques, nous devrions nous préoccuper et parler de questions telles que le Sahara occidental, le conflit et l’occupation parce qu’en fin de compte, nous sommes passionnés et soucieux du bien-être humain et de mettre fin aux injustices, qu’elles soient sociales ou climatiques », affirme-t-elle.

Nous devons nous joindre aux appels pour un Sahara occidental libre. Nous n’avons tout simplement pas d’autre choix

Pour Thunberg - qui a été la cible d’attaques israéliennes au cours de l’année et demie écoulée et qui devra maintenant ajouter les attaques du régime marocain - les injustices sociales, politiques et climatiques « font partie de la même lutte » dans un monde confronté aux conséquences dramatiques du réchauffement dû aux combustibles fossiles.
« Nous luttons contre les mêmes systèmes. Ce sont les mêmes systèmes qui alimentent le colonialisme et les occupations qui alimentent aussi l’exploitation capitaliste et la surexploitation de la nature et des êtres humains. Et tous ceux qui ont une plateforme, tous ceux qui ont la possibilité d’agir doivent élever leur voix, faire connaître le Sahara occidental et le peuple sahraoui, et se joindre aux appels pour un Sahara occidental libre. Nous n’avons tout simplement pas d’autre choix », conclut-elle.

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