Richard Werly , Le Temps, 24/1/2022
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala
Tentativo (riuscito) di golpe militare a Ouagadougou lunedì. Forze francesi bloccate in Mali, dove il governo attacca apertamente Parigi. Il mandato di Emmanuel Macron finisce in un innegabile fallimento africano
Un manifestante regge un volantino contro le politiche del presidente francese Emmanuel Macron a Bamako, 14 gennaio 2022. - Florent Vergnes/AFP Foto
Novembre 2017: all'Università di Ouagadougou, Emmanuel Macron pronuncia un presunto discorso di rifondazione. Sotto la lunga presidenza autoritaria di Blaise Compaoré (1987-2014), la capitale del Burkina Faso ha svolto il ruolo di quartier generale della “Françafrique”, mentre la situazione nella vicina Costa d'Avorio e nel Sahel si deteriorava. La caduta del padrino Compaoré, questo militare ex protetto di Parigi, tre anni prima, ha dato un nuovo impulso alla democratizzazione. Il nuovo capo di stato francese, appena eletto, ha mostrato la sua volontà di rompere con il passato: “Non sono venuto qui per dirvi qual è la politica africana della Francia, come alcuni sostengono. Perché non c'è più una politica africana della Francia! C'è una politica che possiamo condurre, ci sono amici, ci sono persone con cui siamo d'accordo, altre no. Ma soprattutto c'è un continente che dobbiamo guardare in faccia”.
Scommesse perdute
Quello che è successo dopo è ben noto. Gli studenti protestano contro l'aria condizionata fuori servizio nel loro campus. Solo per essere immediatamente rimandati da Emmanuel Macron al loro presidente, Roch Marc Christian Kaboré, che era appena scappato dall'aula. Quattro anni dopo, l'epilogo di questo malessere tra l'ex potenza tutelare francese e le fragili autorità del Burkina Faso potrebbe essersi svolto lunedì 24 gennaio nel fragore delle armi e nel caos di una giornata di rivolte. Arrestato da militari putschisti e poi detenuto in una caserma di Ouagadougou, il presidente burkinabé sembra essere sull'orlo di un destino identico a quello del suo omologo maliano, Ibrahim Boubacar Keïta, morto il 16 gennaio e rovesciato il 18 agosto 2020. La scommessa della Francia di installare governi eletti sullo sfondo della guerra contro il terrorismo islamista e la diffusione dei traffici (droga, migranti, ecc.) nel Sahel sembra sempre più destinata a fallire: “La scommessa fatta sugli eserciti locali e gli sforzi fatti per riportare i servizi statali in questi paesi sono falliti”, conclude pessimisticamente la giornalista Isabelle Lasserre nel suo saggio molto pertinente Macron, le disrupteur (Ed. L'Observatoire).
“Françafrique”: Emmanuel Macron non sopporta questo termine e ha fatto di tutto per liberarsene, nonostante l'intervento dell'esercito francese in Mali dal 2013 e il suo spiegamento a sostegno delle forze del G5 Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania, Ciad). “La relazione tra la Francia e l'Africa sta cambiando profondamente”, ha ripetuto ai suoi interlocutori al vertice Francia-Africa a Montpellier nell'ottobre 2021, dedicato esclusivamente ai giovani, lontano dai governi. Il problema è che la realtà sul terreno è l'opposto di questa pia speranza difesa all'Eliseo dal Consiglio presidenziale per l'Africa istituito nell'agosto 2017, un gruppo di esperti dominato da africani della diaspora, educati lontano dal continente nero. Le capitali del Mali e del Burkina Faso, controllate da una borghesia imprenditoriale legata ai militari, non sono più trampolini di lancio per il cambiamento democratico, ma metropoli chiuse dove vive un'élite che ha perso il contatto con il paese reale.