Gregorio Carboni Maestri, settembre 2023
Stimati associati, compagni e amici dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ANPI,
In questi giorni di significativi anniversari—l’ottantesimo dell’8 settembre 1943, che segnò l’inizio simbolico della Rivoluzione partigiana in Italia e della liberazione del Dombass dall’occupazione nazifascista—è con profondo sgomento che sono venuto a conoscenza del tacito sostegno da parte dell’ANPI della Provincia di Milano a una mostra dal titolo "Occhi di Mariopoli – Uno sguardo negli occhi dei difensori di Mariopoli".[1] Questa esposizione, allestita in Via Dante e nel Museo del Risorgimento, è patrocinata dal Comune di Milano e dalla Zona 1 e riguarda il battaglione Azov, noto per le sue posizioni nazifasciste, antisemite e ultranazionaliste.[2] È stato organizzato e promosso con l’aiuto delle associazioni Azov One e dalla Kvyatkovskyy Family Foundation, entrambe affiliate al suddetto battaglione, come parte della loro campagna per "ripulire" la reputazione di questa unità controversa.
È fondamentale evidenziare che il battaglione Azov trae le sue radici dalle milizie neofasciste affiliate a Pravy Sektor [Settore destro], che sono state successivamente incorporate legalmente nelle forze armate ucraine.[3] Il simbolo che identifica questo battaglione è l’amo per lupi, un emblema che fu inizialmente associato al Partito Nazista prima della sua adozione della svastica. Tale simbolo è stato successivamente incorporato nell’insieme di simboli runici utilizzati dalle S.S. ed è stato anche adottato da otto divisioni della Wehrmacht, inclusa la 2ª Divisione Panzer S.S. "Das Reich". Va notato che anche il Partito Social Nazionalista Ucraino - Svoboda ha fatto uso di questo simbolo distintivo.[4]
L’immagine emblema della mostra, una fotografia in bianco e nero, è un ritratto di Denys Prokopenko, un comandante del battaglione Azov noto per le sue ideologie suprematiste bianche.[5] Prokopenko ha intrapreso la sua carriera militare inizialmente nel "Club dei ragazzi bianchi", un gruppo ultras neonazista, per poi unirsi alla divisione Borodach. Quest’ultima è distintiva per l’utilizzo del simbolo nazista del "Testa di morto" e tibia incrociate. Prokopenko rappresenta solo uno dei tanti membri controversi di questa unità paramilitare, i cui seguaci sfoggiano tatuaggi che fanno riferimento a simbologie razziste, suprematiste, omofobe, antisemite e nazifasciste.[6]
Il battaglione Azov è stato coinvolto in atti spaventosi di crudeltà e illegalità, inclusi stermini, deportazioni e la soppressione completa di libertà e dignità umana. Hanno persino praticato crocifissioni e morti sul rogo.[7] Contrariamente alla narrativa veicolata dalla mostra in questione, i membri del battaglione Azov non sono dunque eroi ma piuttosto assassini crudeli e vigliacchi. La loro prigione segreta, conosciuta come "La Biblioteca" era situata nell’aeroporto di Mariopoli sotto la gestione dell’SBU, un luogo di tortura e assassinio per miliziani delle repubbliche popolari del Donbas, comunisti, antifascisti e antimaidanisti.[8] Un luogo che evocava tristi somiglianze con lo Stadio nazionale di Santiago del Cile.[9] In un contesto simile, sarebbe stato accettabile ospitare una mostra su Pinochet e i suoi esecutori in Via Dante o al Museo del Risorgimento nel 1973? Per illustrare l’ampio disagio suscitato e le contraddizioni esplose con questa mostra, va notato che il quotidiano La Stampa di Torino ha modificato in modo significativo il titolo di un suo articolo a essa relativo. Il titolo originale, "[…] la mostra in centro sui neonazisti del Battaglione Azov," è stato successivamente cambiato in "[…] la mostra sulla resistenza ucraina a Mariupol," smorzando così il carattere controverso dell’evento.[10]
L’esposizione ha suscitato un diffuso dissenso da diverse componenti sociali, tra cui il pubblico generale, gruppi associativi e formazioni politiche. Un numero significativo di persone ha inviato email di protesta all’ente comunale, e nei giorni più recenti sono state pianificate manifestazioni a cui hanno partecipato centinaia di individui, tutte con l’obiettivo di esprimere opposizione all’esibizione e richiederne la chiusura.