Dopo aver indagato sulle origini algerine del
presidente del Raggruppamento Nazionale, Jeune Afrique ha seguito le orme del
nonno paterno, a Casablanca. Rivelazioni esclusive.
Se il presidente del Raggruppamento Nazionale, Jordan Bardella, non si è mai trattenuto dal sottolineare le sue origini italiane, soprattutto per illustrare il modello di assimilazione che difende politicamente, ha sempre ignorato i legami della sua famiglia con il Maghreb.
Permesso di residenza
Innanzitutto quelli del bisnonno Mohand Séghir
Mada, un operaio immigrato algerino arrivato dalla Cabilia in Francia negli
anni ‘30 [leggi qui]. Ma anche quelle del nonno paterno,
Guerrino Bardella. Si sposò dapprima con Réjane Mada, del ramo algerino della
famiglia, e la coppia diede alla luce, nel 1968, Olivier Bardella, padre del
potenziale futuro primo ministro francese [questo articolo è stato
pubblicato prima del primo turno elettorale, NdT]. Successivamente la
coppia divorziò e Guerrino si stabilì in Marocco, dove sposò la sua seconda
moglie, una donna marocchina, di nome Hakima.
Sebbene non si conosca la data esatta del
matrimonio, il minimo che si possa dire è che risale a diversi anni fa: l’ultimo
permesso di soggiorno in Marocco di Guerrino Italo Bardella, ottenuto per
“ricongiungimento familiare”, secondo le informazioni di cui dispone Jeune
Afrique, è stato rilasciato nel 2016 per un periodo di dieci anni.
Ciò significa che non si trattava del suo primo
permesso di soggiorno in Marocco, ma di un rinnovo.
Conversione all’Islam
Con la nuova moglie, questo pensionato, ottantenne
dal 1° aprile 2024, vive felicemente a Casablanca, nel quartiere di Bourgogne.
Il matrimonio con Hakima implica la sua conversione all’Islam, secondo la legge
in vigore in Marocco, che prevede che un cittadino non possa sposare uno
straniero di fede non musulmana se prima non si è ufficialmente convertito
davanti a un adul (autorità giuridica religiosa) e a diversi testimoni.
Guerrino Bardella è noto come falegname ed
ebanista, lavora negli ambienti degli espatriati e della borghesia marocchina
ed è registrato nel Regno come cittadino italiano. Come molti dei suoi
connazionali che vivono nella capitale economica del Marocco, da tempo
frequenta il ristorante del Circolo italiano “Chez Massimo” in boulevard Bir
Anzarane nel quartiere del Maarif.
Un futuro migliore
Nato nel 1944 ad Alvito, in provincia di Frosinone,
nel Lazio, in una famiglia di quattro figli - ha una sorella, Giovanna, e due
fratelli: Honoré Roger e Silvio Ascenzo, tutti e tre deceduti - il figlio di un
muratore arriva a Montreuil, in Francia, nel 1960, in cerca di un futuro
migliore. Nel 1963 sposò Réjane Mada, figlia di Mohand Séghir Mada.
Poco si sa del rapporto di Jordan Bardella con il
nonno, che si era convertito all’Islam e si era stabilito in Marocco. Ancora
meno si sa del suo rapporto con le origini algerine, che il Presidente del RN
non ha mai menzionato pubblicamente.
L’apparente stabilità istituzionale dell’Italia nasconde oggi una realtà
sociale complessa. Anche la sua narrativa politica è in discussione.
A soli 28 anni, nel 2018 Michele Sodano è stato eletto
Deputato Nazionale per la circoscrizione di Agrigento, Sicilia. Ha fatto parte
del Movimento 5 Stelle, organizzazione che in quegli anni è diventata un
fenomeno nazionale di particolare interesse per l’incredibile capacità di
coinvolgere la popolazione, nonché per la forte differenziazione delle
posizioni interne. Sodano ha concluso il suo mandato nell'ottobre 2022, non più
come rappresentante del M5S. A causa di divergenze con la leadership legate all’elezione
di Mario Draghi a Premier, nel febbraio 2021 è stato espulso dal suo partito
insieme a una ventina di suoi colleghi parlamentari. Nonostante la sua giovane
età, Sodano ha accumulato un ampio curriculum professionale. Laureato in
Economia presso l'Università Bocconi e specializzato presso l'Università di
Copenaghen, ha lavorato con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e in
diverse aziende private. Attualmente dirige Immagina Aps,
associazione/coworking, luogo di riferimento per incontri culturali,
progettazione e solidarietà, che può contare su una struttura situata nel cuore
di Agrigento. Ecco l’intervista esclusiva a questo giovane intellettuale
impegnato, convinto pacifista e riferimento “apartitico” per i gruppi cittadini
della sua città.
D: Come lo presento?
Michele Sodano (MS): Domanda
difficile. Normalmente, nella nostra cultura, ci presentiamo tutti con ciò che
facciamo. Nel mio caso, in questo momento della mia vita, sto dando la priorità
a quelle che ritengo attività per la mia comunità; inoltre apprezzo e valorizzo
al massimo il tempo che posso dedicare a me stesso, cosa che fino ad ora non ho
mai potuto fare. Mi sento molto fortunato se penso di potere rifiutare il
modello imperante della società contemporanea che ci vuole tutti impegnati a
vivere principalmente per il lavoro in azienda e finire così prigionieri di una
logica consumistica che può essere paragonata ad un grande carcere di lusso.
D: Vuole dire che la sua priorità
oggi è quasi esistenziale?
MS: Totalmente. Percepisco intorno a me tante persone
depresse, tristi; questo avviene perché nella maggior parte delle volte, non
sappiamo più nemmeno per cosa si è in vita. I modelli di successo che ci
vengono proposti sono molto lineari: produrre per un’azienda attraverso il
sacrificio del nostro tempo, andare in pensione e poi vivere in libertà forse
solo gli ultimi anni della nostra esistenza. Ma adesso sempre più esseri umani
cominciano ad intuire che la loro vita non debba ruotare interamente intorno ai
concetti di lavoro e reddito. La vita, nel suo miracolo, deve essere molto più
di questo. Io l’ho imparato quando ho dovuto affrontare una pesante malattia
all’età di 17 anni. È stato un momento di totale cambiamento per me. Attenzione
non sto in alcun modo demonizzando il concetto di lavoro, credo però che questo
debba corrispondere a un vero contributo, calibrato sulla nostra natura, le
nostre più intime aspirazioni e le nostre capacità, al mondo che ci circonda e
agli esseri umani che lo popolano.
Politica tradizionale in crisi
D: Una riflessione
sorprendente perché espressa dopo quattro anni vissuti in maniera frenetica, da
un Deputato Nazionale che ha vissuto a Roma, che ha preso decine di voli tra la
capitale italiana e Agrigento, la sua città…
MS: È stata un'esperienza ricca, per niente negativa che
non rinnego affatto. Mi ha permesso di comprendere meglio l’essenza di molte
cose. Non voglio essere arrogante, ma penso che adesso ho maggiore lucidità per
interpretare certe situazioni e fenomeni. In particolare, comprendere
nell’interezza del fenomeno l’enorme vuoto della politica. Ritengo, e forse ciò
che dico può sembrare provocatorio, che oggi, almeno in Italia, la differenza
tra destra e sinistra sia per lo più una questione di narrativa, non di
sostanza o di contenuto essenziale. Siamo bombardati costantemente da una
narrazione come un episodio diuna serie
Netflix, siamo molto lontani da qualsiasi contenuto sostanziale. Ciò è stato
particolarmente evidente dopo gli anni del governo Berlusconi, un ventennio che
ha ridotto quasi a zero gli strumenti di analisi sociale e che ha trasformato
la dimensione politica a quella dello spettacolo. Tutto ciò ha portato la
maggior parte della popolazione a non percepire nemmeno che oggi la politica
tutta, e il Parlamento in particolare, si è svuotata di ogni potere reale,
nessuna capacità di rappresentare il proprio popolo.
D: È un'affermazione molto
dura. Allora chi ha il potere oggi in Italia?
MS: La grande finanza, come in tutta Europa, dove domina
questo capitalismo neoliberista dominante. Ma l’Italia, in particolare, non ha
più difese immunitarie contro questo sistema. Ha una tradizione e una storia
straordinaria che ci inducono a pensare di vivere in un buon Paese. Ma in
realtà qui multinazionali e capitale finanziario possono fare quello che
vogliono, governare come vogliono e porsi all’apice di ogni processo
decisionale. Io ho avuto la possibilità di appurarlo per vie dirette, da Deputato
della Repubblica. La differenza tra Giorgia Meloni, oggi al governo, il Pd (ex
Partito Comunista) e il Movimento 5 Stelle è principalmente di narrativa.
Infatti quello che la Meloni sta mettendo in pratica oggi, in 18 mesi di
governo, non è dissimile da quanto hanno fatto, nel periodo precedente,
Giuseppe Conte o Mario Draghi (ultimi due premier prima della Meloni). Sono
stati proprio loro a spalancare le porte a tutte le principali privatizzazioni,
come quelle nel settore sanitario e delle società pubbliche, che oggi
continuano ad amplificarsi.
Un discorso per vincere la battaglia culturale
D: Secondo la sua analisi, non
sembra poi così drammatico che attualmente l'Italia sia governata da un leader
le cui origini affondano nella militanza neofascista…
MS: Non voglio negare che sia drammatico, perché la
Meloni e la destra, in più rispetto al “campo progressista”, avanzano proposte
ideologiche negative per lo sviluppo della coscienza umana. La loro xenofobia,
l’esasperazione del concetto di patriottismo, la paura dell'altro, la rabbia
verso chi è diverso, dal punto di vista ideologico e sociale creano danni
enormi e sono molto pericolose.
D: Pensa che questi impulsi,
messaggi e concetti siano irreversibili?
MS: Non posso valutare il livello di reversibilità o
irreversibilità degli argomenti imposti dall'estrema destra. La storia è fatta
di tesi, antitesi e sintesi. Non posso dire se, dopo tutti questi abominevoli
contenuti ideologici propagandati direttamente dalla politica governativa, si
raggiungerà una nuova fase di coscienza. Quello che vedo è un tremendo
smantellamento, molto accelerato, di tutto ciò che è “critical thinking” e
conoscenza nel senso più ampio del termine. Un disinvestimento concreto nella cultura,
nell’istruzione, che incide direttamente sulle consapevolezze più radicate dei
cittadini. Oggi, per esempio, molte persone reputano che il problema principale
di questo Paese profondamente indebolito per mano delle banche e delle mafie,
sia la presenza degli immigrati e il messaggio “immigrati o rifugiati che
vengono solo per rubare e farsi gli
affari propri” diventa dilagante, specie nelle fasce meno scolarizzate.
Tuttavia, per fortuna, resiste ancora una nicchia consapevole e solidale;
minoritaria, troppo piccola per incidere e incapace di organizzarsi. E così, di
fronte a una povertà dilagante, molti italiani diventano conservatori e si
appropriano acriticamente di argomentazioni bocciate dalla storia.
“Il campo progressista italiano le ha spianato la strada”
D: Ha avuto paura quando ha
vinto Fratelli d'Italia, il partito della Meloni, nel 2022?
MS: Preoccupazione e soprattutto una sensazione molto
strana: se la Meloni è qui è perché il campo progressista italiano le ha
spianato la strada.
D: Le chiedo ancora, per capire
bene: secondo la sua riflessione, l'attuale Governo, più che profondi
cambiamenti di programma, promuove un cambiamento ideologico e di narrazione
politica?
MS: Penso di sì. Ad esempio, i primi provvedimenti
approvati sono misureridicole, decreti
per opporsi ai “rave party” o per rendere illegale la carne sintetica, o ancora
circolari per vietare l’uso di parole inglesi. E così la politica trascina
tutta l’opinione pubblica e sposta il dibattito popolare su questioni non
essenziali. Ma allo stesso tempo, devo anche dire che si porta il Paese nel
passato, si condonano i grandi imprenditori con enormi evasioni fiscali, si
permette alle multinazionali di avere carta bianca su tutto. Hanno anche
cancellato il Reddito di Cittadinanza, che era un importantissimo sussidio di
700 euro per ogni famiglia sotto la soglia di povertà, una delle nostre grandi
conquiste quando governava il Movimento 5 Stelle. È terribile, perché con
l’enorme propaganda mediatica e sui social la Meloni e i suoi stanno radicando
la percezione che questo strumento di redistribuzione della ricchezza era
ingiusto e che “la gente deve lavorare”, non
importa se perfino senza diritti o sotto sfruttamento. Come se il problema non fosse la povertà strutturale di una parte
significativa della popolazione e l’incapacità a inserirsi nel mercato del
lavoro, ma la mancanza di volontà di lavorare. Esasperano tutto e approfittano
della disperazione della gente. Ecco perché insisto nel parlare del grande
problema della narrativa dei gruppi politici dominanti, ma probabilmente anche
Draghi e il Pd avrebbero, prima o poi, cancellato il Reddito di Cittadinanza.
D: Narrazione di destra e
smantellamento delle conquiste sociali…
MS: Senza dubbio. Quando nel 2018 il nostro movimento ha
raggiunto tale forza ed è salito al potere, abbiamo sentito che la giustizia
aveva trionfato. Ho vissuto in Danimarca, dove ero già attivo con il M5S. Ho
lasciato il mio lavoro lì per tornare in Sicilia e partecipare alla campagna
elettorale regionale. Dopo sei mesi e a soli 28 anni, con una candidatura del
tutto inaspettata e con il profilo di un giovane dalla parlata decisa e forte,
sono stato eletto Deputato con il sostegno di oltre il 50% dell'elettorato
della mia città. Molti italiani hanno vissuto tutto questo come una
straordinaria rivoluzione. Siamo stati in grado di legiferare e portare a
termini progressi impressionanti, come i sussidi per i più bisognosi, o
l’obbligo di avere contratti di lavoro stabili e sicuri dopo due anni di lavoro
nella stessa azienda. Siamo riusciti ad abolire la pubblicità del gioco
d’azzardo in un Paese in cui il gioco d’azzardo era sempre più una piaga e
continuava ad aumentare a causa della disperazione economica di molte persone.
Ma le concessioni alla destra di Salvini con cui era partito il primo Governo
sono iniziate rapidamente e ogni giorno perdevamo sempre più terreno. La stessa
classe dirigente del Movimento 5 Stelle ha, a poco a poco, preso gusto e si è
affezionata al potere, con la capacità di accettare compromessi sempre più a
ribasso.
Svanisce una grande illusione
D: Questo ha causato la crisi
interna al Movimento 5 Stelle?
MS: Esatto. Un gruppo di noi, che nel 2021 non ha
sostenuto la nomina di Mario Draghi a primo ministro, è stato espulso dal
Movimento e ha formato un gruppo parlamentare indipendente. Draghi, a nostro
avviso, rappresentava l’élite europea neoliberista e globalizzante. Un uomo
della Goldman Sachs, era stato direttore esecutivo della Banca Mondiale e poi,
per otto anni, presidente della Banca Centrale Europea. Dietro Draghi si sono
riuniti nuovamente la destra di Salvini e di Berlusconi, ma allo stesso tempo anche
il Partito Democratico e il M5S. La sua nomina era qualcosa che la nostra
decenza politica non poteva più accettare.
D: Un momento molto difficile
nella sua carriera politica?
MS: L'espulsione del M5S ha rappresentato un evento molto
amaro nella mia vita. Ma non potevo fidarmi di quel Governo che, come poi gli
eventi hanno dimostrato, non avrebbe apportato alcun beneficio al nostro
popolo. È stato triste perché ha rappresentato a mio parere la rottura
definitiva di un processo partecipativo, quello del Movimento 5 Stelle, che non
aveva eguali. Allo stesso tempo ritengo che la mia espulsione dal partito sia
una sorta di medaglia al valore se la guardo dal punto di vista della mia etica.
È stata una decisione di principio che ho preso sapendo che non avrebbe portato
alcun beneficio personale. Ho fatto ciò che era giusto, non la cosa più
conveniente per me ed è per questo che la considero un grande grido di libertà.
Da subito, con gli altri colleghi con cui abbiamo creato il gruppo
indipendente, abbiamo aperto una nuova fase della nostra vita parlamentare.
Abbiamo presentato progetti di legge in totale autonomia e, per la prima volta,
ho esposto nei miei interventi parlamentari i miei valori più radicali e le mie
convinzioni, senza dover leggere un documento scritto da qualcun altro. Devo
confessarti che è stata un'esperienza di cui sono molto orgoglioso. Altri
colleghi, amici e colleghi Parlamentari del nostro movimento hanno continuato
con la linea ufficiale. Provo per loro una specie di compassione, perché
dev'essere molto difficile sentirsi bene, e a posto con la propria coscienza,
dopo aver venduto l'anima al diavolo e tradito la volontà di milioni di
elettori che ci avevano dato un preciso mandato: sovvertire il sistema.
La crisi di un’Europa con la guerra dentro
D: Quando è scoppiata la
guerra in Ucraina, il vostro gruppo di M5S espulsi ha preso le distanze da ogni
sostegno militare all'Ucraina e al conflitto in generale…
MS: Infatti. Questa guerra distorce qualsiasi ruolo
strategico che l’Europa doveva svolgere. Come Unione Europea, siamo semplici
venditori di armi quando avremmo dovuto alzare una voce forte e alternativa a
favore della pace. Ritengo che oggi l'Europa, come concezione di un progetto
originale nella costruzione di un continente egualitario e giusto, sia molto
indebolita.
D: Per finire: la vostra
organizzazione IMMAGINA ha appena aperto le sue porte per presentare Grand Hotel Coronda, un libro sui prigionieri politici nel carcere argentino di Coronda
durante la dittatura militare. E in quella stessa sala si tengono le riunioni
periodiche dei diversi gruppi e forze che difendono la pace in Palestina…
MS: Per noi IMMAGINA è uno spazio aperto, in costruzione,
umano e profondamente solidale. L'obiettivo principale che perseguiamo è dare
un piccolo senso di eternità a questo momento che viviamo qui oggi. Non è un
progetto finito o chiuso. Le porte dei nostri locali sono aperte. Uno degli
obiettivi fondamentali per cui abbiamo dato vita a Immagina, è riappropriarci
della nostra esistenza. Questo implica due concetti principali: creare una
comunità solidale e intellettualmente speculativa e contribuire alla costruzione
della felicità collettiva. Con le nostre azioni cerchiamo di avanzare proposte
e parlare di umanità, senza mai dimenticare gli aspetti caratterizzanti del
nostro territorio. Con grande umiltà, passo dopo passo e con gioia, senza mai
lasciarci prendere dallo sconforto.E in questo quadro la solidarietà per noi è
un concetto fondante. Combattere tutto ciò che impoverisce oggi la nostra
società planetaria: frontiere, guerre a vantaggio di pochissimi, divisioni tra
le aree del mondo. Siamo solo esseri umani dello stesso meraviglioso universo e
dobbiamo preservarci a vicenda, non combatterci, prenderci cura, insieme, del
nostro pianeta.
Bakhita, affresco di Rosk & Loste, La Kalsa, Palermo. Foto Sergio Ferrari.
Stimati associati, compagni e amici dell’Associazione
nazionale partigiani d’Italia, ANPI,
In questi giorni di significativi anniversari—l’ottantesimo
dell’8 settembre 1943, che segnò l’inizio simbolico della Rivoluzione partigiana
in Italia e della liberazione del Dombass dall’occupazione nazifascista—è con
profondo sgomento che sono venuto a conoscenza del tacito sostegno da parte
dell’ANPI della Provincia di Milano a una mostra dal titolo "Occhi di
Mariopoli – Uno sguardo negli occhi dei difensori di Mariopoli".[1] Questa esposizione, allestita in Via Dante e nel
Museo del Risorgimento, è patrocinata dal Comune di Milano e dalla Zona 1 e
riguarda il battaglione Azov, noto per le sue posizioni nazifasciste,
antisemite e ultranazionaliste.[2] È stato organizzato e promosso con l’aiuto delle
associazioni Azov One e dalla Kvyatkovskyy Family Foundation, entrambe
affiliate al suddetto battaglione, come parte della loro campagna per
"ripulire" la reputazione di questa unità controversa.
Nella mostra oggetto di discussione, è stato fatto
un tentativo deliberato di nascondere il logo del Battaglione, che era invece
visibile nell’edizione della mostra presentata a Leopoli. Questo atto
consapevole da parte degli organizzatori evidenzia ulteriormente la
problematicità della mostra. Come ha chiaramente espresso l’ANPI di Porta
Genova (Milano), le immagini esposte mettono in primo piano le forze militari
anziché documentare le sofferenze delle popolazioni oppresse dalla guerra.
Inoltre, queste immagini fanno uso di simbolismi che evocano regimi e periodi
storici oscuri.
È fondamentale evidenziare che il battaglione Azov
trae le sue radici dalle milizie neofasciste affiliate a Pravy Sektor [Settore destro], che sono state
successivamente incorporate legalmente nelle forze armate ucraine.[3] Il simbolo che identifica questo battaglione è l’amo
per lupi, un emblema che fu inizialmente associato al Partito Nazista prima
della sua adozione della svastica. Tale simbolo è stato successivamente
incorporato nell’insieme di simboli runici utilizzati dalle S.S. ed è stato
anche adottato da otto divisioni della Wehrmacht, inclusa la 2ª Divisione
Panzer S.S. "Das Reich". Va notato che anche il Partito Social
Nazionalista Ucraino - Svoboda ha fatto uso di questo simbolo
distintivo.[4]
L’immagine emblema della mostra, una fotografia in
bianco e nero, è un ritratto di Denys Prokopenko, un comandante del battaglione
Azov noto per le sue ideologie suprematiste bianche.[5] Prokopenko ha intrapreso la sua carriera militare
inizialmente nel "Club dei ragazzi bianchi", un gruppo ultras
neonazista, per poi unirsi alla divisione Borodach. Quest’ultima è distintiva
per l’utilizzo del simbolo nazista del "Testa di morto" e tibia
incrociate. Prokopenko rappresenta solo uno dei tanti membri controversi di
questa unità paramilitare, i cui seguaci sfoggiano tatuaggi che fanno
riferimento a simbologie razziste, suprematiste, omofobe, antisemite e
nazifasciste.[6]
Il battaglione Azov è stato coinvolto in atti
spaventosi di crudeltà e illegalità, inclusi stermini, deportazioni e la
soppressione completa di libertà e dignità umana. Hanno persino praticato
crocifissioni e morti sul rogo.[7] Contrariamente alla narrativa veicolata dalla
mostra in questione, i membri del battaglione Azov non sono dunque eroi ma
piuttosto assassini crudeli e vigliacchi. La loro prigione segreta, conosciuta
come "La Biblioteca" era situata nell’aeroporto di Mariopoli sotto la
gestione dell’SBU, un luogo di tortura e assassinio per miliziani delle
repubbliche popolari del Donbas, comunisti, antifascisti e antimaidanisti.[8] Un luogo che evocava tristi somiglianze con lo
Stadio nazionale di Santiago del Cile.[9] In un contesto simile, sarebbe stato accettabile
ospitare una mostra su Pinochet e i suoi esecutori in Via Dante o al Museo del
Risorgimento nel 1973? Per illustrare l’ampio disagio suscitato e le contraddizioni
esplose con questa mostra, va notato che il quotidiano La Stampa di Torino ha
modificato in modo significativo il titolo di un suo articolo a essa relativo.
Il titolo originale, "[…] la mostra in centro sui neonazisti del
Battaglione Azov," è stato successivamente cambiato in "[…] la mostra
sulla resistenza ucraina a Mariupol," smorzando così il carattere
controverso dell’evento.[10]
L’esposizione ha suscitato un diffuso dissenso da
diverse componenti sociali, tra cui il pubblico generale, gruppi associativi e
formazioni politiche. Un numero significativo di persone ha inviato email di
protesta all’ente comunale, e nei giorni più recenti sono state pianificate
manifestazioni a cui hanno partecipato centinaia di individui, tutte con l’obiettivo
di esprimere opposizione all’esibizione e richiederne la chiusura.
Una battuta
circolava qualche anno fa nei bar di Tel Aviv: “Un ebreo israeliano ottimista
impara l'arabo, un ebreo israeliano pessimista impara l'inglese, un ebreo
israeliano realista impara a nuotare”. Sembra che quello che i Palestinesi o
gli arabi non sono riusciti a fare (semmai ne abbiano avuto davvero
l'intenzione), Netanyahu e i suoi accoliti di governo lo stanno provocando:
un'ondata di fuggi fuggi si è scatenata fra gli ebrei israeliani. Infatti,
centinaia e migliaia di israeliani di varie condizioni socioeconomiche e di
ogni età stanno dandosi da fare per trovare un'alternativa di vita allo Stato
ebraico. Ed è in questo modo che è nato un nuovo business, che si potrebbe
chiamare relocation industry (industria del trasferimento). L'articolo
di Hilo Glazer racconta del Progetto Baita, lanciato in provincia di Vercelli,
nella Valsesia, e di altri progetti, fra i quali ambiziosi progetti di
creazione di "città israeliane" in Europa, da Cipro e Grecia al
Portogallo, ed altrove. Uno di loro parla addirittura di creare una “comunità
di insediamento”, che ricorda i cosiddetti insediamenti (colonie) in
Cisgiordania. Possiamo legittimamente chiederci se questi progetti possano
costituire un superamento definitivo del sionismo e del tribalismo, oppure se
creeranno semplicemente “piccoli Israele” sparsi come coriandoli per il mondo.-FG
Sulla scia del golpe giudiziario [la riforma progettata dal governo Netanyahu], le discussioni israeliane sul trasferimento all’estero non si fermano più ai gruppi sui social media. In una valle lussureggiante dell’Italia nord-occidentale, le idee di emigrazione collettiva si stanno attuando sul campo e iniziative simili stanno prendendo forma anche altrove.
“Mentre il numero di ore di luce nella democrazia del loro Paese continua a
diminuire, sempre più israeliani arrivano nella valle montana alla ricerca di
un nuovo inizio. Tra loro ci sono giovani con neonati nel marsupio, altri con
bambini in età scolare, e ci sono persone brizzolate o pelate come me. Un
insegnante, un imprenditore tecnologico, uno psicologo, un toelettatore di
cani, un allenatore di basket. Alcuni dicono che stanno solo esplorando, si
vergognano ancora di ammettere che stanno prendendo seriamente in
considerazione l’opzione. Altri sembrano intenzionati e motivati: si informano
su come ottenere il permesso di soggiorno, su quanto costa una casa, su come
aprire un conto bancario e trasferire i fondi previdenziali finché è ancora
possibile. Alla base di tutto questo c’è uno strato di dolore, il dolore dei
bravi israeliani che credevano di potersi riposare sugli allori dopo 2.000
anni, ma che ora stanno riprendendo in mano il bastone del viandante”.
L’autore è Lavi Segal, la zona montuosa che descrive si trova nella
Valsesia, nella regione Piemonte dell’Italia nord-occidentale, ai piedi delle
Alpi. Segal, proprietario di un’azienda turistica della Galilea, condivide le
sue esperienze con i membri di un gruppo Facebook chiamato Baita, che offre informazioni
agli israeliani che cercano di immigrare e creare una propria comunità in
Valsesia, molti dei cui abitanti originari sono partiti negli ultimi decenni.
Il nome del gruppo è un amalgama di Bait (che in ebraico significa “casa”) e
Ita - abbreviazione di Italia. Baita in italiano si traduce anche come “capanna
in montagna”. E non si tratta di montagne qualsiasi: la Valsesia è conosciuta
come “la valle più verde d’Italia”. Segal afferma che quello che sta
presentando è un caso di pubblicità veritiera.
“Con tutto il rispetto per i discorsi sulla ‘bella Terra d’Israele’”, dice
ad Haaretz in un’intervista telefonica, “Israele è forse bella se
paragonata alla Siria o all’Arabia Saudita [sic] [ma] l’Europa e le Alpi sono
un altro mondo. Il paesaggio è mozzafiato, il clima è meraviglioso e tutti i
noti problemi di Israele - guerre, sporcizia, sovraffollamento, costo della
vita - semplicemente non esistono qui”.
Segal vive in Valsesia da due mesi con la moglie Nirit, entrambi
sessantenni. “Stiamo facendo un viaggio di familiarizzazione e di esplorazione”,
spiega. “Abbiamo affittato una casa qui e ogni tanto parliamo con le agenzie
immobiliari della possibilità di acquistarne una. Al momento non stiamo
parlando di uno sradicamento definitivo, anche se potrebbe accadere se la vita
in Israele diventasse intollerabile. Per il momento stiamo cercando un posto in
cui possiamo dividere il nostro tempo tra Israele e l’estero. Israele ci è
molto caro: Quando siamo lì partecipiamo attivamente alle manifestazioni” contro i piani del governo per la revisione del sistema giudiziario.
Nirit, che organizza ritiri artistici, ha due idee: “Questo posto è un
sogno quando si tratta di creare arte, ma sono molto legata a Israele e, come
molte persone del mio ambiente, lo sento soprattutto oggi. Sono preoccupata per
le implicazioni dell’ondata migratoria sul movimento di protesta”.
Cosa è stato
il berlusconismo? Come è riuscito ad imporre la sua egemonia? «Goffamente
astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata,
farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia
mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio
berlusconiano si è rivelata in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché
non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a
proposito di un altro «uomo della provvidenza (Louis-Napoléon Bonaparte)», ed
essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e
somiglianza
Pranzo natalizio a Villa San Martino (Arcore), 2011
Fin dal
momento della sua entrata diretta in politica, nel lontano 1994, il dispositivo
Berlusconi ha agito come un grande diversivo, un potentissimo magnete capace di
captare su di sé passioni contrapposte. Una sorta d’incantesimo che ha permesso
al padrone della televisione commerciale di collocarsi da subito al centro
della scena scompaginando gli schieramenti, rimescolando le carte, sparigliando
il tavolo da gioco. Forse solo riconoscendo questa sua irresistibile capacità
illusionistica si può riuscire a spiegare anche l’essenza contraddittoria,
quella combinazione di contrari che è l’antiberlusconismo.
Solo in questo
modo si riesce a comprendere perché personaggi della destra storica, come Indro
Montanelli o populisti di destra come Antonio Di Pietro siano diventati dei
paladini del popolo della sinistra, oppure un damerino reazionario come Marco
Travaglio abbia potuto ispirare prima le correnti giustizialiste della
sinistra, dai girotondi al popolo viola, e poi i Cinque stelle.
Sicuramente Berlusconi ha saputo
intercettare e interpretare a modo suo quel nuovo spirito del capitalismo
descritto da Luc Boltanski e ève
Chiappello in un volume pubblicato da Gallimard nel 2000 e arrivato in Italia
solo nel 2014 con Mimesis (Il nuovo
spirito del capitalismo). Versione italiana di quella nuova etica della
valorizzazione del capitale che, secondo i due sociologi, dopo l’originaria
fase puritana e la successiva età della programmazione e della razionalità
fordista, ha trovato nuova fonte d’ispirazione e legittimazione in una parte
delle critiche rivolte al modo di produzione capitalista durante la
contestazione degli anni Settanta. La critica al taylorismo fordista,
all’alienazione seriale del lavoro, ai rapporti di società rigidi e
gerarchizzati e alla società dello spettacolo, sono state assorbite e
metabolizzate fino a fare della creatività e della flessibilità i tratti
salienti del nuovo sistema dell’economia dei flussi, del valore aggiunto, del
lavoro immateriale incamerato nel prodotto finito. Inventiva, piacere e pazzia
– sempre secondo l’analisi di Boltanski e Chiappello – sono diventati
ingredienti del successo capitalista molto più dei costipati valori del lavoro,
della preghiera e del risparmio che ispiravano gli albori del capitalismo ma
anche quella sorta di calvinismo del valore lavoro di cui era intriso il
togliattismo.
Se
l’immaginazione non è mai arrivata al potere, sicuramente ha trovato posto in
piazza Affari. Dimostrazione della capacità dinamica e innovativa
dell’«imprenditoria deviante», secondo una categoria forgiata dalla sociologia
criminale. L’ambivalenza del comportamento berlusconiano, condotta all’interno
e all’esterno dell’ordine stabilito, ha permesso di condurre esperimenti,
d’esplorare possibilità anche illegittime. Risorsa necessaria affinché
l’iniziativa economica innovativa potesse avere luogo. In questo modo l’uomo di
Arcore ha mantenuto «una distinta leggerezza che ha consentito alle sue
imprese, in maniera weberiana, di levarsi al di là del bene e del male», come
ha scritto Vincenzo Ruggiero in, Crimini dell’immaginazione. Devianza e
letteratura, il Saggiatore, Milano 2005.
Il patron
della pubblicità con le sue televisioni è stato il volto italiano di questa
rivoluzione del capitale. Con la sua abilità nel produrre ideologia è riuscito
a sintetizzare anche interessi e spinte sociali diverse ma accomunate da
un’ipertrofica rapacità individualista. Venditore di sogni e d’illusioni,
spacciatore di marche, dealer di un mondo ridotto al dominio del logo e
delle sue imitazioni. Divenuto sistema-mondo, occupata la società, a Berlusconi
mancava solo la politica. Non la politica vera. Quella l’aveva sempre fatta,
come una volta vantò in una intervista. La sua rete commerciale non era altro
che un partito di tipo leninista. L’unico rimasto. Il partito dei
professionisti della pubblicità. Una struttura di quadri selezionati, radicati
nel territorio e nei distretti economici, con rapporti diffusi e alleanze con
le corporazioni, le organizzazioni di categoria e gli imprenditori legali e
illegali. Un vero modello d’organizzazione bolscevica della borghesia. Ed
difatti, alla fine del 1993, in pochi mesi riuscì a farne la struttura portante
di Forza Italia per lanciare l’attacco alla cittadella della
politica-istituzionale, all’occupazione della macchina statale. Grazie ad una
scientifica attività lobbistica e alle protezioni ottenute da settori influenti
della politica, più che alla capacità di stare sul mercato, ha potuto costruire
negli anni Ottanta la sua posizione dominante nel settore delle televisioni
commerciali e della raccolta pubblicitaria.
Ma a spianare
la strada al suo ingresso diretto nel mondo dei palazzi romani è stato il
tracollo del sistema politico dei partiti provocato dalle inchieste
giudiziarie. Quando sulle ceneri della Prima Repubblica rivaleggiavano ormai
forme contrapposte di populismo, Berlusconi è riuscito a sconvolgere la scena
politica del paese sradicando la tradizione dei partiti di massa già in crisi e
imponendo il proprio modello anche ai suoi avversari. In grado di miscelare
elementi elitari e plebiscitari, premoderni e ipermoderni, quello berlusconiano
è apparso un modello di populismo dove vecchio e nuovo s’integravano. Sorretto
dal ritorno all’affermazione della leadership carismatica e provvidenziale,
nella quale il potere patrimoniale sostituisce la vecchia legittimità
paternalista-patriarcale, il paradigma berlusconiano ha accompagnato l’elogio
dell’imprenditorialità diffusa dentro la quale riescono a convivere anche forme
arcaiche e bestiali di taylorismo. Il sogno e l’inganno di milioni di piccole
imprese, nuova configurazione di un rapporto lavorativo che occulta dietro il
mito dell’imprenditorialità individuale le gerarchie di un nuovo modello di
sfruttamento. Illusione di un facile accesso al ceto medio e all’arricchimento
personale modellato con i valori profusi dalle televisioni commerciali, tra
gossip, cronaca nera, veline e reality show.
Esaltazione
retorica e sognatrice dell’autoaffermazione individuale, della proprietà (tanto
più quando questa è insignificante e si riduce ad un’abitazione o un’automobile
acquistata contraendo mutui bancari pluridecennali o alla conversione dei
propri risparmi in bond e partecipazioni in titoli finanziari). Ideologia che
riesce a far convivere con un mirabile gioco di prestigio temi legati alla
riscoperta dei valori morali, come patria, famiglia e presunta etica della vita
(ostilità verso l’aborto e l’uso delle staminali), insieme ad una sorta di
sfrenato “edonismo proprietario”, di ’68 dei padroni (il “bunga bunga”).
«Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione
calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della
storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del
personaggio berlusconiano si è rivelato in realtà un suo punto di forza:
«Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di
scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza», ed essere
così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e
somiglianza. Tutto ciò come è stato possibile?
Quando la
società dei lavoratori e dei cittadini volontari è messa fuori gioco, ha
risposto Mario Tronti: «la politica diventa il monopolio dei magistrati, dei
grandi comunicatori, della finanza, delle lobby, dei salotti. Cessa di essere
la sede in cui i progetti di società si affrontano e confrontano e diventa il
luogo dell’indifferenza, uno spazio indistinto dove l’apparenza prevale sul
contenuto, l’estetica s’impone sulla sostanza». Per questo l’antiberlusconismo
giustizialista non solo si è rivelato inefficace ma si è addirittura dimostrato
dannoso riverberandosi unicamente come riflesso subalterno del suo acerrimo
nemico spianando la strada al governo della destra fascista.
La destalinizzazione giunse nel 1956, a tre anni dalla morte di Stalin, per
mano del suo stesso successore, Chruščëv; i democristiani impiegarono molto meno
per liberarsi della figura di Moro (i morotei di Bari, sua città di elezione,
lo fecero la notte successiva alla sua morte, migrando nelle varie correnti);
quanto tempo ci vorrà per liberarsi del peso di questa figura già santificata
che, come dice oggi il manifesto, il 12 giugno 2023 è “asceso in campo”?
Non credo che Tajani rappresenti il Chruščëv italiano, in grado di avviare
la necessaria demolizione del mito per permettere al Paese di andare avanti. Il
Paese si è identificato con questa figura che, ora che è ufficialmente
scomparsa, non so nemmeno se sia mai esistita o se fosse scomparsa da molto
tempo e sostituita da una controfigura, ricostruita negli anni come un
androide, come ancora oggi si favoleggia nel caso di Mao. Perché questo è stato
un personaggio che si è realmente costruito da sé, in modo imperfetto e
grottesco, come capitava di fare da bambini con il meccano (un gioco di metallo
anni Cinquanta, spazzato via dalla plastica e dal Lego), dove era impossibile
costruire dei pupazzi, pupazzi che comunque costruivamo e immaginavamo
potessero esistere per popolare un mondo di gru, palazzi e castelli di metallo.
Un mio conoscente, verso la fine degli anni ’90, lo incontrò per caso di notte
nei corridoi di un hotel di Bruxelles e non lo riconobbe, piccolo, goffo e
incerto nell’andare, così diverso dalle immagini che già trent’anni fa la TV ci
proiettava. Non ci vuole molta fantasia nell’immaginare quello che succederà a breve;
non esiste un erede politico e i suoi eredi materiali faranno, in un tempo più
o meno breve, quello che hanno fatto gli eredi degli Agnelli: cercheranno di
de-personalizzare le aziende, creando una rete che permetterà la sopravvivenza,
qualunque sistema economico politico subentri tra qualche anno. Perché siamo in
guerra e alla fine del conflitto (che finirà prima o poi) non si sa bene cosa
accadrà. Se non ripeteranno gli errori della famiglia torinese, che ha perso il
treno dell’auto elettrica, daranno un senso al lavoro svolto nella società
italiana dal mondo berlusconiano.
Perché quello del Cavaliere è stato un mondo che la sinistra non ha saputo
creare per dare un sogno al Paese ed un esempio al mondo. Senza il mazzarinismo
di Dell’Utri, senza il colbertismo privatistico di Tremonti, senza il
talleyrandismo di Gianni Letta la sua dimensione politica non sarebbe esistita
e non sarebbe stata possibile la creazione di quella zona d’ombra che unisce il
sogno alla terribile realtà. Un sogno in cui attori da Commedia dell’arte come
Mike Buongiorno, Corrado o Raimondo Vianello sono diventati personaggi della
Commedia, in grado di fare della loro vita uno spettacolo e di bloccare persino
i ladri nello loro attività, con uno stile degno dell’episodio di S. Francesco
con il lupo.
Perché figure come Nicolini, in grado di far uscire lo spirito festoso e
popolare degli italiani e neutralizzare la tragica notte della prima
Repubblica, sono state mortificate dalla sinistra; a loro si è preferito
privilegiare figure simili a quelle di Fouché e farle salire nelle
responsabilità di Stato.
Mentre questo avveniva, molti degli uomini di sinistra della generazione
del Cavaliere sognavano di imitare le sue gesta con il mondo femminile; chi non
poteva, si contentava di guardare lo sconcio nazional-popolare che ha travolto
prima la TV e poi i nascenti social media. In tal modo la destra ha allevato
una generazione di donne con lo stomaco di ferro, in grado di accettare tutto
per la conquista del potere, mentre il mondo femminista si contentava di
difendere poche e limitate vittorie (divorzio, aborto) e rifugiarsi
nell’Aventino della differenza. A don Camillo e Peppone si sono sostituite
reali coppie anagrafiche che hanno costituito “gli opposti che si attraggono”,
nel reality che viviamo giornalmente e che sostituisce la vita reale.
Politicamente Fratelli d’Italia recupererà il serbatoio elettorale, ma
incorrerà nel rischio di morire per il troppo mangiare, evocando così la grande
letteratura europea rinascimentale. Perché la bulimia di potere, le cui
avvisaglie si sono manifestate nelle nomine fatte in questi mesi di governo in
assenza del controllo berlusconiano, è difficile se non impossibile da curare.
Il Cavaliere amava il sistema del libero mercato (così come si è affermato
nel tempo, con tutti i suoi falsi miti e le trappole economiche) ma temeva il
mercato globale e si preoccupava di mantenersi amici coloro che lo avrebbero
contrastato. Amava comandare ma non gradiva la guerra, badava agli interessi di
famiglia ma aveva sorrisi ed anche lacrime per tutti (non erano false quelle
piante a Brindisi in memoria dei migranti della Kater y Rades, già allora
vittime dell’Europa-fortezza, dove nel 1997 non mi sembra sia andato alcuno del
governo in carica).
Quando nel 1994, nella tornata uninominale delle elezioni con metodo
maggioritario, Berlusconi si candidò in un collegio chiave a Roma, pensai che
la sinistra dovesse contrapporgli un simbolo altrettanto nazional-popolare, come
la “casalinga di Voghera”; invece candidò Luigi Spaventa, economista di buon
livello, ex-ministro ed erede della storia familiare che seguiva quella dello
Stato italiano dalle sue origini, e perse. C’erano a Roma tante donne
antiberlusconiane, semplici e forti, come Annarella di Trastevere che avrebbero
rappresentato bene il popolo che – a naso – non si sarebbe fidato di questa
novità dal sapore antico. Invece niente.
Oggi la destra è nelle condizioni dei comunisti dopo Stalin: non ha più un
sogno, può avere solo rimpianti, e si è infilata in una guerra che non ama ma
che è necessaria per fare affari in assenza di potere reale nei media e avere
quella patente di “lotta per la democrazia” che ancora le manca. E la sinistra,
quella che ama la democrazia ma non ne vede traccia nei governi democratici,
cosa vuole fare?
La storia ci ricorda che fermarsi e riflettere è essenziale, difendendo la
propria memoria nei momenti difficili come questi, attendendo lungo il fiume e
riorganizzando le idee e le forze.
La guerra in Ucraina ha fatto perdere il senso delle cose e ha travolto le
coscienze; forse la UE perderà questo conflitto, come la Germania fece nella
Prima guerra mondiale, senza avere perso una battaglia. Oppure lo vincerà e
farà in quell’occasione come fece la Francia (assieme agli altri alleati):
chiese troppo e favorì in tal modo Hitler. O farà come l’Italia nel 1943, si sveglierà
all’improvviso dall’incubo e cercherà di allearsi con qualcuno che le avrebbe
permesso di leccarsi le ferite di un insulso conflitto fatto per conquistare
l’Impero…
La morte di Mr. B affonda le destre pigliatutto al potere, più la von der
Leyen che la nostrana Presidente; l’apparenza sembra molto diversa, ma è solo
questione di tempo.
Noi, che crediamo in un’onesta democrazia con i suoi piccoli pregi e i suoi
reali difetti, abbiamo un futuro solo se abbiamo voglia e capacità di
ricostruire il sogno per la democrazia popolare, un tempo chiamata democrazia
progressiva. Quel sogno sostituito da Mr B con le luci della ribalta ora
spente.
Giuseppe Veneziano, Non sono un santo, dalla serie Operette immorali, acrilico su tela, 2018