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25/04/2025

Elnet, ovvero l'arte sionista di comprare le coscienze europee a basso prezzo

Si chiama Elnet, acronimo di European Leadership Network, da non confondere con ELN, acronimo dell'altro European Leadership Network, un think tank “rispettabile” creato nel 2011 e con sede a Londra. Elnet non ha nulla di rispettabile: è una macchina da guerra israelo-yankee creata nel 2007 dopo la seconda Intifada per intossicare l'opinione pubblica occidentale con la più pura hasbara [propaganda] sionista. Obiettivo principale: i parlamentari nazionali dell’UE e gli eurodiputati. Dopo il 7 ottobre 2023, Elnet ha organizzato 20 viaggi in Israele per 300 parlamentari europei e britannici. Ma Elnet ha anche diversificato le sue operazioni, organizzando viaggi in Terra Promessa per militari, industriali e grandi intellettuali, tra cui Bernard-Henri Lévy e Michel Onfray, senza dimenticare l'inimitabile svizzero-catalano Manuel Carlos Valls i Galfetti, nonché viaggi di politici e militari israeliani in Europa. Tra i parlamentari, si rastrella ampiamente, dai conservatori agli ecologisti, passando per i liberali e i socialdemocratici, dai lituani ai portoghesi, passando per gli ungheresi, i rumeni, i francesi, i tedeschi, gli italiani, ecc. Di seguito alcuni documenti su questa impresa di acquisto (a basso prezzo) delle coscienze. - -Ayman El Hakim

 

Elnet, un agente di influenza filoisraeliano nel cuore del Parlamento francese

Dal 2017, questa lobby ha inviato in Israele, spese pagate, un centinaio di parlamentari. Il suo amministratore delegato sostiene di aver fatto «più del [suo] dovere» nel sostenere «l'immensa maggioranza» dell'Assemblea nazionale e del Senato nei confronti dello Stato ebraico dal 7 ottobre.

Pauline GraulleMediapart, 29/12/2024
Tradotto da Tlaxcala

Nelle foto posano sorridenti davanti al Muro del Pianto, concentrati in una sala riunioni del ministero degli Esteri israeliano o con espressione grave durante una visita a un kibbutz attaccato da Hamas il 7 ottobre... Nel corso degli anni, queste immagini di deputati e senatori francesi sono apparse a decine sul sito web di Elnet – acronimo di «European Leadership Network» , un'associazione ben nota alla maggior parte dei parlamentari che ricevono regolarmente le sue e-mail con inviti a viaggi in Israele.

Sulla carta, questi soggiorni, interamente finanziati da Elnet – occorrono 4.000 euro per quattro giorni, hotel e viaggio in aereo compresi –, hanno tutto per attirare i politici: offrono incontri “di alto livello” con intellettuali, ambasciatori o ufficiali dell'esercito israeliano, ma anche visite alla Knesset, al memoriale di Yad Vashem o alle basi militari al confine con la Palestina...


”Con la vostra presenza, contribuirete a rafforzare le relazioni strategiche bilaterali tra due paesi [...] che condividono gli stessi valori [e] hanno gli stessi nemici”, scriveva l'organizzazione nell'estate del 2021 in una mail inviata a trentaquattro parlamentari macronisti, Les Républicains (LR), centristi e socialisti, alla vigilia della loro partenza per lo Stato ebraico. Un viaggio durante il quale hanno potuto incontrare un ex numero due del Mossad per discutere delle questioni di sicurezza del Paese, o Benjamin Netanyahu, allora capo dell'opposizione, che ha riassunto in una sola parola la ricetta del «miracolo israeliano»: il «capitalismo».

Nel marzo 2023, quindici deputati LR si sono recati nuovamente a Gerusalemme per ascoltare, tra l'altro, un comandante della polizia che ha presentato loro il sistema di videosorveglianza con riconoscimento facciale della città vecchia e per guardare con lui il video di un attentato compiuto poche settimane prima dai palestinesi. Due mesi prima, mentre si moltiplicavano le manifestazioni contro la controversa riforma della giustizia di Netanyahu, era stata la volta dei deputati macronisti di ascoltare un deputato del Likud assicurare loro che il governo non avrebbe in alcun caso leso le libertà fondamentali…

Dopo il 7 ottobre, Elnet ha rafforzato la sua azione. Solo otto giorni dopo i massacri commessi da Hamas, l'organizzazione ha inviato dieci deputati LR e Renaissance – insieme a Manuel Valls, recentemente nominato ministro d’oltremare [colonie] – a visitare la base militare di Shurah, a sud di Tel Aviv, dove giacevano i corpi di 300 vittime non ancora identificate, a incontrare le famiglie degli ostaggi e a parlare con i sopravvissuti all'ospedale Ichilov. «Mentre l'attenzione dei media si concentra sulle immagini della distruzione a Gaza, è ancora più importante che i decisori europei vedano la realtà sul campo dal punto di vista israeliano per contribuire a mantenere il necessario sostegno da parte dei principali alleati europei», ha commentato Elnet dopo la visita.

Nel gennaio 2024, mentre il numero dei morti a Gaza sfiorava i 25.000, una delegazione di 22 senatori, tra cui Francis Szpiner, Loïc Hervé e Françoise Gatel, ministro dei governi Barnier e Bayrou, ha pubblicato un editoriale al ritorno dal viaggio con Elnet: «Questo viaggio ha rafforzato il nostro attaccamento alla società israeliana e la nostra profonda convinzione che Israele [...] sia in prima linea in una guerra di civiltà contro la barbarie», hanno scritto.

Un lungo lavoro di influenza

Creata nel 2010, la sezione francese di Elnet – che ha anche sedi in Belgio, Regno Unito, Germania e Italia – ha sede a pochi metri dall'Assemblea Nazionale, in rue Saint-Dominique. Una posizione strategica per l'ONG, che dichiara di essere finanziata «al 100%» da contributi privati (vedi allegati) e che ha l'ambizione di «rafforzare il dialogo diplomatico, politico e strategico tra Francia e Israele».

Dietro questo obiettivo, Elnet fatica a nascondere la sua simpatia per il governo di estrema destra guidato da Netanyahu. Ancora di più dall'inizio della guerra a Gaza, che diverse organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International, definiscono ormai un «genocidio». «È una lobby che ha una certa importanza», riassume il senatore socialista Rachid Temal, autore di un rapporto pubblicato a luglio sulle influenze straniere, che sottolinea che «l'associazione, come tutte le altre lobby, ha il diritto di esercitare la propria influenza purché lo dichiari».

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Una regolarizzazione molto tardiva presso l'HATVP

Nonostante la legge Sapin del 2016 sulla lotta alla corruzione, che obbliga i rappresentanti di interessi a registrarsi come tali presso l'Alta Autorità per la trasparenza della vita pubblica (HATVP), Elnet ha impiegato otto anni per registrarsi presso l'istituzione.

Un'incongruenza che non era sfuggita alla senatrice UDI Nathalie Goulet che, durante le discussioni sulle influenze straniere al Palazzo del Lussemburgo quest'estate, aveva osservato che «alcuni organismi che invitano regolarmente i parlamentari in viaggio [...] non figurano nell'elenco di queste lobby, Elnet per non citarne uno».

Interrogata il 21 novembre da Mediapart sui motivi per cui non si era ancora dichiarata all'HATVP, l'associazione ha risposto: «Non ritenevamo di rientrare nella categoria dei rappresentanti di interessi. Al fine di garantire la nostra conformità alla legge, abbiamo incontrato l'HATVP e abbiamo concordato con i suoi responsabili che dovevamo dichiararci come tali. La procedura è quindi in corso». Contattata a sua volta su questo punto, l'HATVP ha dichiarato di «non poter fornire ulteriori informazioni». Per una fortunata coincidenza, Elnet è finalmente apparsa nel registro... cinque giorni dopo la nostra richiesta.

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Il 23 settembre, in un'intervista al media online Qualita, un canale destinato ai francesi immigrati in Israele, il presidente di Elnet-France, Arié Bensemhoun, si è apertamente congratulato per l'influenza della sua organizzazione sul microcosmo politico francese.

«Rimango relativamente ottimista sulla capacità di cambiare i parametri del discorso diplomatico», ha affermato. Da un lato c'è la diplomazia ufficiale, dall'altro c'è la diplomazia parlamentare. Ricordo che la stragrande maggioranza del parlamento [francese] sostiene Israele [...] nella sua lotta contro Hamas e Hezbollah, e questo è il risultato di decenni di lavoro svolto da alcuni, da altri, noi abbiamo fatto più che la nostra parte”.

Di fatto, dal 2017, i dibattiti sul conflitto israelo-palestinese hanno gradualmente cambiato tono in un'Assemblea nazionale che fino ad allora aveva mostrato una linea piuttosto benevola nei confronti della causa palestinese, in sintonia con il Quai d'Orsay. Tra il voto, nel 2019, di una risoluzione che condanna qualsiasi discorso « antisionista » in quanto automaticamente antisemita, l'accusa, in piena aula, contro l'avvocato franco-palestinese Salah Hamouri nel 2022, le dimissioni del presidente del gruppo Francia-Palestina, privato della parola durante un dibattito sull'« apartheid » in Israele, e il “sostegno incondizionato” allo Stato ebraico decretato dalla presidente dell'Assemblea nazionale Yaël Braun-Pivet nel 2023, è poco dire che l'atmosfera è cambiata.

Da qui a vedere la mano di Elnet? L'associazione non ha comunque perso tempo per influenzare le rappresentanze dei parlamentari francesi negli ultimi anni. Interrogata da Mediapart, l'ONG dichiara di «non tenere i conti», ma stando alle dichiarazioni ufficiali dei deputati e dei senatori – tenuti a rendere pubblica «ogni accettazione di un invito a un viaggio da parte di una persona giuridica o fisica di cui hanno beneficiato in ragione del loro mandato» , dal 2017 sono stati organizzati 55 viaggi per deputati e 46 per senatori.

A queste cifre si aggiungono i viaggi di andata e ritorno effettuati ma non dichiarati: in totale, un centinaio di parlamentari sono così partiti per Israele con Elnet, che è diventata di gran lunga la prima organizzazione a esercitare influenza attraverso i viaggi dei parlamentari.

Tifosi nella Macronia e tra le fila della LR

Alcuni parlamentari sono persino diventati habitué di Elnet. Tra i macronisti, la deputata di Renaissance des Français d'Israël, Caroline Yadan, ma anche la sua collega dell'Hauts-de-Seine Constance Le Grip o ancora il ministro degli Affari europei Benjamin Haddad hanno effettuato diversi viaggi di andata e ritorno. Ferventi difensori del “diritto di Israele a difendersi” dal 7 ottobre, tutti appartengono al gruppo di amicizia Francia-Israele e assumono una forma di proselitismo filoisraeliano nelle file del campo presidenziale.

È anche il caso dell'ex presidente del gruppo di amicizia Francia-Israele (dal 2019 al 2023), oggi ministro delegato per la parità tra donne e uomini e la lotta contro le discriminazioni, Aurore Bergé, che è stata una delle prime a beneficiare dei viaggi Elnet. Nel luglio 2018, subito dopo il suo ingresso al Palais-Bourbon, la giovane deputata degli Yvelines ha fatto parte di una delegazione Elnet di trentuno parlamentari ricevuti per una discussione definita “costruttiva” con Benjamin Netanyahu.

Da allora, colei che giudica questa associazione “utile per combattere il flagello dell'antisemitismo, tanto più in questo momento in cui sta riemergendo”, è tornata almeno due volte con Elnet. L'ultimo viaggio risale al 7 ottobre 2024, in occasione delle commemorazioni degli attacchi mortali di Hamas, insieme ai colleghi Caroline Yadan e Sylvain Maillard. Dal luogo del massacro del festival Nova, hanno colto l'occasione per difendere una posizione pienamente conforme a quella del Ministero degli Affari Esteri in merito alla fornitura di armi a Israele.

Sempre a destra, Elnet trova diversi altri sostenitori, come il vicepresidente (UDI) del Senato Loïc Hervé, Meyer Habib, “amico personale” di Netanyahu, ma anche i deputati LR Michèle Tabarot, Roger Karoutchi, Karl Olive – oggi vicino a Emmanuel Macron – o Pierre-Henri Dumont. L'ex presidente della commissione affari internazionali dell'Assemblea – che ha perso il suo seggio nel 2024 – non ha mai esitato a farsi ambasciatore dell'organizzazione: «È un onore far parte della delegazione di Elnet», ha recentemente affermato in un messaggio calibrato, debitamente diffuso sui social network dall'organizzazione.

Al contrario, molti deputati non apprezzano le insistenti richieste di Elnet. Il deputato macronista Ludovic Mendès riferisce di essere stato avvicinato dal CEO di Elnet-France due anni fa, durante una cena del Crif (Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia). Ma «non se ne parla di andare da nessuna parte con un'organizzazione finanziata da chissà chi e che promuove una linea religiosa o politica», assicura a Mediapart. Quando vado in Israele, voglio poter andare dove voglio, anche dalla parte palestinese”. Anche un'ex deputata vicina a Gabriel Attal racconta di aver rifiutato le proposte dell'ONG: ‘Ho un'etica’, dice.

Tra le fila socialiste, anche l'ex deputata Valérie Rabault e il deputato Jérôme Guedj, entrambi membri del gruppo Francia-Israele all'Assemblea, hanno deciso di non rispondere alle richieste di Elnet, per paura di potenziali «ingerenze». Il deputato Liot (Libertà, indipendenti, oltremare e territori), ex vicepresidente del Palais-Bourbon incaricato delle questioni deontologiche, David Habib, ha invece deciso di giocare a carte scoperte: ha effettivamente partecipato a un viaggio con Elnet, ma ha pagato tutte le spese di tasca propria.

Rimangono infine i partecipanti che accettano i viaggi ma dicono di “non essere ingannati” sui suoi obiettivi. “Elnet fa soft power e chiaramente non è lì per portare un messaggio critico su Israele. Ma questi viaggi rimangono interessanti”, ritiene il macronista Mounir Belhamiti, membro della commissione difesa dell'Assemblea nazionale, che si è recato una volta in Israele al momento della legge di programmazione militare, ma ha rifiutato di tornarci dopo il 7 ottobre.

Una posizione condivisa dal suo collega Christophe Marion, che si è recato due volte in Israele con Elnet: «È un po' come i viaggi in URSS negli anni '30, sorride, anche se permette di comprendere meglio la complessa situazione nella regione. Non ho problemi ad andarci, purché non mi venga chiesto di sostenere determinate posizioni al mio ritorno». Tuttavia, il politico riconosce che probabilmente si porrebbe più domande se l'organizzazione gli proponesse di tornarci oggi.

Il bersaglio dell'«estrema sinistra»

Definendosi un «think tank per il dialogo strategico tra Francia e Israele», Elnet assicura di limitarsi a promuovere «la democrazia, la libertà, la giustizia e la pace» in modo «indipendente» e «apolitico».

Arié Bensemhoun, presidente di Elnet-France, non parla però d'altro che di politica. Sia su Radio J, dove tiene una rubrica regolare, sia su CNews, è ben lungi dall'avere una visione « apolitica » del conflitto in Medio Oriente.

Così, all'indomani della decisione dei giudici della Corte penale internazionale (CPI) di emettere un mandato di arresto internazionale contro il primo ministro israeliano, ha scritto su X: «Le accuse mosse [...] non si basano su nulla, nessuna prova, se non le false affermazioni delle ONG al soldo degli islamisti e dei terroristi di Hamas e dell'Autorità palestinese [...]. Come un tempo davanti ai nazisti, le nazioni si sono piegate davanti agli islamisti che vogliono distruggere le nostre società libere e democratiche».

A metà settembre, mentre l'Unicef contava più di 43.000 morti, tra cui oltre 14.100 bambini nella Striscia di Gaza, Arié Bensemhoun spiegava anche su Radio J che «i civili palestinesi che ci vengono presentati come innocenti non sono tutti innocenti. Nessuno può immaginare che i nazisti abbiano potuto fare tutto ciò che hanno fatto senza che tutto o parte del popolo fosse complice. È la stessa cosa per i palestinesi di Gaza», affermava colui che da un anno denuncia «le ONG vendute ad Hamas».

In Francia, attacca anche gli «islamisti», gli «estremisti di sinistra» e altri «wokisti». «L'estrema sinistra» rimane infatti il bersaglio privilegiato dell'ex presidente dell'Unione degli studenti ebrei di Francia (UEJF) di Tolosa (Alta Garonna), a cominciare da La France insoumise (LFI) e dalla sua «ossessione antiebraica» che Arié Bensemhoun critica aspramente nei suoi editoriali. Qualche giorno fa è stato Dominique de Villepin a farne le spese, come testimonia questo testo pubblicato sul sito di Elnet, dopo le dichiarazioni dell'ex primo ministro.

Il 16 ottobre, il direttore di Elnet-France si è anche permesso di inviare una lettera aperta alla presidente dell'Assemblea nazionale per chiedere «solennemente» a Yaël Braun-Pivet di «pronunciare sanzioni disciplinari» nei confronti del vicepresidente del Gruppo di amicizia Francia-Israele, Aymeric Caron.

Secondo lui, l'Insoumis avrebbe “un ruolo cinico e preponderante nella legittimazione dell'odio verso gli ebrei nel nostro Paese” per aver diffuso video “non verificati” dei massacri a Gaza o aver paragonato l'esercito israeliano al “mostro nazista”. Secondo le nostre informazioni, Yaël Braun-Pivet ha respinto la richiesta del leader di Elnet. Il suo entourage ha tuttavia rifiutato di farci leggere la lettera.

Parigi, 18-19 maggio 2025, un appuntamento da non perdere

Elnet Italia



Roberta Anati




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➤ Lista degli agenti dell’Entità sionista in Italia e dei loro collaboratori – aggiornata al 18.09.2024

15/07/2024

FADWA ISLAH
Dopo l'Algeria, il Marocco: nuove rivelazioni sui legami di Jordan Bardella con il Maghreb

  

 

Fadwa Islah, Jeune Afrique, 28/6/2024

Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Dopo aver indagato sulle origini algerine del presidente del Raggruppamento Nazionale, Jeune Afrique ha seguito le orme del nonno paterno, a Casablanca. Rivelazioni esclusive.

Se il presidente del Raggruppamento Nazionale, Jordan Bardella, non si è mai trattenuto dal sottolineare le sue origini italiane, soprattutto per illustrare il modello di assimilazione che difende politicamente, ha sempre ignorato i legami della sua famiglia con il Maghreb.

Permesso di residenza 

Innanzitutto quelli del bisnonno Mohand Séghir Mada, un operaio immigrato algerino arrivato dalla Cabilia in Francia negli anni ‘30 [leggi qui]. Ma anche quelle del nonno paterno, Guerrino Bardella. Si sposò dapprima con Réjane Mada, del ramo algerino della famiglia, e la coppia diede alla luce, nel 1968, Olivier Bardella, padre del potenziale futuro primo ministro francese [questo articolo è stato pubblicato prima del primo turno elettorale, NdT]. Successivamente la coppia divorziò e Guerrino si stabilì in Marocco, dove sposò la sua seconda moglie, una donna marocchina, di nome Hakima.

Sebbene non si conosca la data esatta del matrimonio, il minimo che si possa dire è che risale a diversi anni fa: l’ultimo permesso di soggiorno in Marocco di Guerrino Italo Bardella, ottenuto per “ricongiungimento familiare”, secondo le informazioni di cui dispone Jeune Afrique, è stato rilasciato nel 2016 per un periodo di dieci anni.

Ciò significa che non si trattava del suo primo permesso di soggiorno in Marocco, ma di un rinnovo.

Conversione all’Islam

Con la nuova moglie, questo pensionato, ottantenne dal 1° aprile 2024, vive felicemente a Casablanca, nel quartiere di Bourgogne. Il matrimonio con Hakima implica la sua conversione all’Islam, secondo la legge in vigore in Marocco, che prevede che un cittadino non possa sposare uno straniero di fede non musulmana se prima non si è ufficialmente convertito davanti a un adul (autorità giuridica religiosa) e a diversi testimoni.

Guerrino Bardella è noto come falegname ed ebanista, lavora negli ambienti degli espatriati e della borghesia marocchina ed è registrato nel Regno come cittadino italiano. Come molti dei suoi connazionali che vivono nella capitale economica del Marocco, da tempo frequenta il ristorante del Circolo italiano “Chez Massimo” in boulevard Bir Anzarane nel quartiere del Maarif.

Un futuro migliore

Nato nel 1944 ad Alvito, in provincia di Frosinone, nel Lazio, in una famiglia di quattro figli - ha una sorella, Giovanna, e due fratelli: Honoré Roger e Silvio Ascenzo, tutti e tre deceduti - il figlio di un muratore arriva a Montreuil, in Francia, nel 1960, in cerca di un futuro migliore. Nel 1963 sposò Réjane Mada, figlia di Mohand Séghir Mada.

Poco si sa del rapporto di Jordan Bardella con il nonno, che si era convertito all’Islam e si era stabilito in Marocco. Ancora meno si sa del suo rapporto con le origini algerine, che il Presidente del RN non ha mai menzionato pubblicamente.

 

04/04/2024

SERGIO FERRARI
Italia : Politica-spettacolo ed estrema destra in ascesa
Intervista a Michele Sodano ad Agrigento

Sergio Ferrari, 25/3/2024
Originale: Italia : Política-espectáculo y la ultraderecha en ascenso-Entrevista a Michele Sodano en Agrigento
Português Français
Tradotto da
Alba Canelli, Tlaxcala

L’apparente stabilità istituzionale dell’Italia nasconde oggi una realtà sociale complessa. Anche la sua narrativa politica è in discussione.

A soli 28 anni, nel 2018 Michele Sodano è stato eletto Deputato Nazionale per la circoscrizione di Agrigento, Sicilia. Ha fatto parte del Movimento 5 Stelle, organizzazione che in quegli anni è diventata un fenomeno nazionale di particolare interesse per l’incredibile capacità di coinvolgere la popolazione, nonché per la forte differenziazione delle posizioni interne. Sodano ha concluso il suo mandato nell'ottobre 2022, non più come rappresentante del M5S. A causa di divergenze con la leadership legate all’elezione di Mario Draghi a Premier, nel febbraio 2021 è stato espulso dal suo partito insieme a una ventina di suoi colleghi parlamentari. Nonostante la sua giovane età, Sodano ha accumulato un ampio curriculum professionale. Laureato in Economia presso l'Università Bocconi e specializzato presso l'Università di Copenaghen, ha lavorato con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e in diverse aziende private. Attualmente dirige Immagina Aps, associazione/coworking, luogo di riferimento per incontri culturali, progettazione e solidarietà, che può contare su una struttura situata nel cuore di Agrigento. Ecco l’intervista esclusiva a questo giovane intellettuale impegnato, convinto pacifista e riferimento “apartitico” per i gruppi cittadini della sua città.


D: Come lo presento?

Michele Sodano (MS): Domanda difficile. Normalmente, nella nostra cultura, ci presentiamo tutti con ciò che facciamo. Nel mio caso, in questo momento della mia vita, sto dando la priorità a quelle che ritengo attività per la mia comunità; inoltre apprezzo e valorizzo al massimo il tempo che posso dedicare a me stesso, cosa che fino ad ora non ho mai potuto fare. Mi sento molto fortunato se penso di potere rifiutare il modello imperante della società contemporanea che ci vuole tutti impegnati a vivere principalmente per il lavoro in azienda e finire così prigionieri di una logica consumistica che può essere paragonata ad un grande carcere di lusso.

D: Vuole dire che la sua priorità oggi è quasi esistenziale?

MS: Totalmente. Percepisco intorno a me tante persone depresse, tristi; questo avviene perché nella maggior parte delle volte, non sappiamo più nemmeno per cosa si è in vita. I modelli di successo che ci vengono proposti sono molto lineari: produrre per un’azienda attraverso il sacrificio del nostro tempo, andare in pensione e poi vivere in libertà forse solo gli ultimi anni della nostra esistenza. Ma adesso sempre più esseri umani cominciano ad intuire che la loro vita non debba ruotare interamente intorno ai concetti di lavoro e reddito. La vita, nel suo miracolo, deve essere molto più di questo. Io l’ho imparato quando ho dovuto affrontare una pesante malattia all’età di 17 anni. È stato un momento di totale cambiamento per me. Attenzione non sto in alcun modo demonizzando il concetto di lavoro, credo però che questo debba corrispondere a un vero contributo, calibrato sulla nostra natura, le nostre più intime aspirazioni e le nostre capacità, al mondo che ci circonda e agli esseri umani che lo popolano.

 

Politica tradizionale in crisi

D: Una riflessione sorprendente perché espressa dopo quattro anni vissuti in maniera frenetica, da un Deputato Nazionale che ha vissuto a Roma, che ha preso decine di voli tra la capitale italiana e Agrigento, la sua città…

MS: È stata un'esperienza ricca, per niente negativa che non rinnego affatto. Mi ha permesso di comprendere meglio l’essenza di molte cose. Non voglio essere arrogante, ma penso che adesso ho maggiore lucidità per interpretare certe situazioni e fenomeni. In particolare, comprendere nell’interezza del fenomeno l’enorme vuoto della politica. Ritengo, e forse ciò che dico può sembrare provocatorio, che oggi, almeno in Italia, la differenza tra destra e sinistra sia per lo più una questione di narrativa, non di sostanza o di contenuto essenziale. Siamo bombardati costantemente da una narrazione come un episodio di  una serie Netflix, siamo molto lontani da qualsiasi contenuto sostanziale. Ciò è stato particolarmente evidente dopo gli anni del governo Berlusconi, un ventennio che ha ridotto quasi a zero gli strumenti di analisi sociale e che ha trasformato la dimensione politica a quella dello spettacolo. Tutto ciò ha portato la maggior parte della popolazione a non percepire nemmeno che oggi la politica tutta, e il Parlamento in particolare, si è svuotata di ogni potere reale, nessuna capacità di rappresentare il proprio popolo.

D: È un'affermazione molto dura. Allora chi ha il potere oggi in Italia?

MS: La grande finanza, come in tutta Europa, dove domina questo capitalismo neoliberista dominante. Ma l’Italia, in particolare, non ha più difese immunitarie contro questo sistema. Ha una tradizione e una storia straordinaria che ci inducono a pensare di vivere in un buon Paese. Ma in realtà qui multinazionali e capitale finanziario possono fare quello che vogliono, governare come vogliono e porsi all’apice di ogni processo decisionale. Io ho avuto la possibilità di appurarlo per vie dirette, da Deputato della Repubblica. La differenza tra Giorgia Meloni, oggi al governo, il Pd (ex Partito Comunista) e il Movimento 5 Stelle è principalmente di narrativa. Infatti quello che la Meloni sta mettendo in pratica oggi, in 18 mesi di governo, non è dissimile da quanto hanno fatto, nel periodo precedente, Giuseppe Conte o Mario Draghi (ultimi due premier prima della Meloni). Sono stati proprio loro a spalancare le porte a tutte le principali privatizzazioni, come quelle nel settore sanitario e delle società pubbliche, che oggi continuano ad amplificarsi.

Un discorso per vincere la battaglia culturale

D: Secondo la sua analisi, non sembra poi così drammatico che attualmente l'Italia sia governata da un leader le cui origini affondano nella militanza neofascista…

MS: Non voglio negare che sia drammatico, perché la Meloni e la destra, in più rispetto al “campo progressista”, avanzano proposte ideologiche negative per lo sviluppo della coscienza umana. La loro xenofobia, l’esasperazione del concetto di patriottismo, la paura dell'altro, la rabbia verso chi è diverso, dal punto di vista ideologico e sociale creano danni enormi e sono molto pericolose.

D: Pensa che questi impulsi, messaggi e concetti siano irreversibili?

MS: Non posso valutare il livello di reversibilità o irreversibilità degli argomenti imposti dall'estrema destra. La storia è fatta di tesi, antitesi e sintesi. Non posso dire se, dopo tutti questi abominevoli contenuti ideologici propagandati direttamente dalla politica governativa, si raggiungerà una nuova fase di coscienza. Quello che vedo è un tremendo smantellamento, molto accelerato, di tutto ciò che è “critical thinking” e conoscenza nel senso più ampio del termine. Un disinvestimento concreto nella cultura, nell’istruzione, che incide direttamente sulle consapevolezze più radicate dei cittadini. Oggi, per esempio, molte persone reputano che il problema principale di questo Paese profondamente indebolito per mano delle banche e delle mafie, sia la presenza degli immigrati e il ​​messaggio immigrati o rifugiati che vengono solo per rubare e farsi gli affari propri” diventa dilagante, specie nelle fasce meno scolarizzate. Tuttavia, per fortuna, resiste ancora una nicchia consapevole e solidale; minoritaria, troppo piccola per incidere e incapace di organizzarsi. E così, di fronte a una povertà dilagante, molti italiani diventano conservatori e si appropriano acriticamente di argomentazioni bocciate dalla storia.

“Il campo progressista italiano le ha spianato la strada”

D: Ha avuto paura quando ha vinto Fratelli d'Italia, il partito della Meloni, nel 2022?

MS: Preoccupazione e soprattutto una sensazione molto strana: se la Meloni è qui è perché il campo progressista italiano le ha spianato la strada.

D: Le chiedo ancora, per capire bene: secondo la sua riflessione, l'attuale Governo, più che profondi cambiamenti di programma, promuove un cambiamento ideologico e di narrazione politica?

MS: Penso di sì. Ad esempio, i primi provvedimenti approvati sono misure  ridicole, decreti per opporsi ai “rave party” o per rendere illegale la carne sintetica, o ancora circolari per vietare l’uso di parole inglesi. E così la politica trascina tutta l’opinione pubblica e sposta il dibattito popolare su questioni non essenziali. Ma allo stesso tempo, devo anche dire che si porta il Paese nel passato, si condonano i grandi imprenditori con enormi evasioni fiscali, si permette alle multinazionali di avere carta bianca su tutto. Hanno anche cancellato il Reddito di Cittadinanza, che era un importantissimo sussidio di 700 euro per ogni famiglia sotto la soglia di povertà, una delle nostre grandi conquiste quando governava il Movimento 5 Stelle. È terribile, perché con l’enorme propaganda mediatica e sui social la Meloni e i suoi stanno radicando la percezione che questo strumento di redistribuzione della ricchezza era ingiusto e che “la gente deve lavorare”, non importa se perfino senza diritti o sotto sfruttamento. Come se il problema non fosse la povertà strutturale di una parte significativa della popolazione e l’incapacità a inserirsi nel mercato del lavoro, ma la mancanza di volontà di lavorare. Esasperano tutto e approfittano della disperazione della gente. Ecco perché insisto nel parlare del grande problema della narrativa dei gruppi politici dominanti, ma probabilmente anche Draghi e il Pd avrebbero, prima o poi, cancellato il Reddito di Cittadinanza.

D: Narrazione di destra e smantellamento delle conquiste sociali…

MS: Senza dubbio. Quando nel 2018 il nostro movimento ha raggiunto tale forza ed è salito al potere, abbiamo sentito che la giustizia aveva trionfato. Ho vissuto in Danimarca, dove ero già attivo con il M5S. Ho lasciato il mio lavoro lì per tornare in Sicilia e partecipare alla campagna elettorale regionale. Dopo sei mesi e a soli 28 anni, con una candidatura del tutto inaspettata e con il profilo di un giovane dalla parlata decisa e forte, sono stato eletto Deputato con il sostegno di oltre il 50% dell'elettorato della mia città. Molti italiani hanno vissuto tutto questo come una straordinaria rivoluzione. Siamo stati in grado di legiferare e portare a termini progressi impressionanti, come i sussidi per i più bisognosi, o l’obbligo di avere contratti di lavoro stabili e sicuri dopo due anni di lavoro nella stessa azienda. Siamo riusciti ad abolire la pubblicità del gioco d’azzardo in un Paese in cui il gioco d’azzardo era sempre più una piaga e continuava ad aumentare a causa della disperazione economica di molte persone. Ma le concessioni alla destra di Salvini con cui era partito il primo Governo sono iniziate rapidamente e ogni giorno perdevamo sempre più terreno. La stessa classe dirigente del Movimento 5 Stelle ha, a poco a poco, preso gusto e si è affezionata al potere, con la capacità di accettare compromessi sempre più a ribasso.

 

Svanisce una grande illusione

D: Questo ha causato la crisi interna al Movimento 5 Stelle?

MS: Esatto. Un gruppo di noi, che nel 2021 non ha sostenuto la nomina di Mario Draghi a primo ministro, è stato espulso dal Movimento e ha formato un gruppo parlamentare indipendente. Draghi, a nostro avviso, rappresentava l’élite europea neoliberista e globalizzante. Un uomo della Goldman Sachs, era stato direttore esecutivo della Banca Mondiale e poi, per otto anni, presidente della Banca Centrale Europea. Dietro Draghi si sono riuniti nuovamente la destra di Salvini e di Berlusconi, ma allo stesso tempo anche il Partito Democratico e il M5S. La sua nomina era qualcosa che la nostra decenza politica non poteva più accettare.

D: Un momento molto difficile nella sua carriera politica?

MS: L'espulsione del M5S ha rappresentato un evento molto amaro nella mia vita. Ma non potevo fidarmi di quel Governo che, come poi gli eventi hanno dimostrato, non avrebbe apportato alcun beneficio al nostro popolo. È stato triste perché ha rappresentato a mio parere la rottura definitiva di un processo partecipativo, quello del Movimento 5 Stelle, che non aveva eguali. Allo stesso tempo ritengo che la mia espulsione dal partito sia una sorta di medaglia al valore se la guardo dal punto di vista della mia etica. È stata una decisione di principio che ho preso sapendo che non avrebbe portato alcun beneficio personale. Ho fatto ciò che era giusto, non la cosa più conveniente per me ed è per questo che la considero un grande grido di libertà. Da subito, con gli altri colleghi con cui abbiamo creato il gruppo indipendente, abbiamo aperto una nuova fase della nostra vita parlamentare. Abbiamo presentato progetti di legge in totale autonomia e, per la prima volta, ho esposto nei miei interventi parlamentari i miei valori più radicali e le mie convinzioni, senza dover leggere un documento scritto da qualcun altro. Devo confessarti che è stata un'esperienza di cui sono molto orgoglioso. Altri colleghi, amici e colleghi Parlamentari del nostro movimento hanno continuato con la linea ufficiale. Provo per loro una specie di compassione, perché dev'essere molto difficile sentirsi bene, e a posto con la propria coscienza, dopo aver venduto l'anima al diavolo e tradito la volontà di milioni di elettori che ci avevano dato un preciso mandato: sovvertire il sistema.

La crisi di un’Europa con la guerra dentro

D: Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il vostro gruppo di M5S espulsi ha preso le distanze da ogni sostegno militare all'Ucraina e al conflitto in generale…

MS: Infatti. Questa guerra distorce qualsiasi ruolo strategico che l’Europa doveva svolgere. Come Unione Europea, siamo semplici venditori di armi quando avremmo dovuto alzare una voce forte e alternativa a favore della pace. Ritengo che oggi l'Europa, come concezione di un progetto originale nella costruzione di un continente egualitario e giusto, sia molto indebolita.


D: Per finire: la vostra organizzazione IMMAGINA ha appena aperto le sue porte per presentare Grand Hotel Coronda, un libro sui prigionieri politici nel carcere argentino di Coronda durante la dittatura militare. E in quella stessa sala si tengono le riunioni periodiche dei diversi gruppi e forze che difendono la pace in Palestina…

MS: Per noi IMMAGINA è uno spazio aperto, in costruzione, umano e profondamente solidale. L'obiettivo principale che perseguiamo è dare un piccolo senso di eternità a questo momento che viviamo qui oggi. Non è un progetto finito o chiuso. Le porte dei nostri locali sono aperte. Uno degli obiettivi fondamentali per cui abbiamo dato vita a Immagina, è riappropriarci della nostra esistenza. Questo implica due concetti principali: creare una comunità solidale e intellettualmente speculativa e contribuire alla costruzione della felicità collettiva. Con le nostre azioni cerchiamo di avanzare proposte e parlare di umanità, senza mai dimenticare gli aspetti caratterizzanti del nostro territorio. Con grande umiltà, passo dopo passo e con gioia, senza mai lasciarci prendere dallo sconforto.E in questo quadro la solidarietà per noi è un concetto fondante. Combattere tutto ciò che impoverisce oggi la nostra società planetaria: frontiere, guerre a vantaggio di pochissimi, divisioni tra le aree del mondo. Siamo solo esseri umani dello stesso meraviglioso universo e dobbiamo preservarci a vicenda, non combatterci, prenderci cura, insieme, del nostro pianeta.

  

Bakhita, affresco di Rosk & Loste, La Kalsa, Palermo. Foto Sergio Ferrari.


 

16/09/2023

GREGORIO CARBONI MAESTRI
Lettera aperta all’ANPI su una mostra glorificando il Battaglione Azov

Gregorio Carboni Maestri, settembre 2023

Stimati associati, compagni e amici dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ANPI,

In questi giorni di significativi anniversari—l’ottantesimo dell8 settembre 1943, che segnò l’inizio simbolico della Rivoluzione partigiana in Italia e della liberazione del Dombass dall’occupazione nazifascista—è con profondo sgomento che sono venuto a conoscenza del tacito sostegno da parte dell’ANPI della Provincia di Milano a una mostra dal titolo "Occhi di Mariopoli – Uno sguardo negli occhi dei difensori di Mariopoli".[1] Questa esposizione, allestita in Via Dante e nel Museo del Risorgimento, è patrocinata dal Comune di Milano e dalla Zona 1 e riguarda il battaglione Azov, noto per le sue posizioni nazifasciste, antisemite e ultranazionaliste.[2] È stato organizzato e promosso con l’aiuto delle associazioni Azov One e dalla Kvyatkovskyy Family Foundation, entrambe affiliate al suddetto battaglione, come parte della loro campagna per "ripulire" la reputazione di questa unità controversa.


 Nella mostra oggetto di discussione, è stato fatto un tentativo deliberato di nascondere il logo del Battaglione, che era invece visibile nell’edizione della mostra presentata a Leopoli. Questo atto consapevole da parte degli organizzatori evidenzia ulteriormente la problematicità della mostra. Come ha chiaramente espresso l’ANPI di Porta Genova (Milano), le immagini esposte mettono in primo piano le forze militari anziché documentare le sofferenze delle popolazioni oppresse dalla guerra. Inoltre, queste immagini fanno uso di simbolismi che evocano regimi e periodi storici oscuri.

È fondamentale evidenziare che il battaglione Azov trae le sue radici dalle milizie neofasciste affiliate a Pravy Sektor  [Settore destro], che sono state successivamente incorporate legalmente nelle forze armate ucraine.[3] Il simbolo che identifica questo battaglione è l’amo per lupi, un emblema che fu inizialmente associato al Partito Nazista prima della sua adozione della svastica. Tale simbolo è stato successivamente incorporato nell’insieme di simboli runici utilizzati dalle S.S. ed è stato anche adottato da otto divisioni della Wehrmacht, inclusa la 2ª Divisione Panzer S.S. "Das Reich". Va notato che anche il Partito Social Nazionalista Ucraino - Svoboda ha fatto uso di questo simbolo distintivo.[4]

L’immagine emblema della mostra, una fotografia in bianco e nero, è un ritratto di Denys Prokopenko, un comandante del battaglione Azov noto per le sue ideologie suprematiste bianche.[5] Prokopenko ha intrapreso la sua carriera militare inizialmente nel "Club dei ragazzi bianchi", un gruppo ultras neonazista, per poi unirsi alla divisione Borodach. Quest’ultima è distintiva per l’utilizzo del simbolo nazista del "Testa di morto" e tibia incrociate. Prokopenko rappresenta solo uno dei tanti membri controversi di questa unità paramilitare, i cui seguaci sfoggiano tatuaggi che fanno riferimento a simbologie razziste, suprematiste, omofobe, antisemite e nazifasciste.[6]

Il battaglione Azov è stato coinvolto in atti spaventosi di crudeltà e illegalità, inclusi stermini, deportazioni e la soppressione completa di libertà e dignità umana. Hanno persino praticato crocifissioni e morti sul rogo.[7] Contrariamente alla narrativa veicolata dalla mostra in questione, i membri del battaglione Azov non sono dunque eroi ma piuttosto assassini crudeli e vigliacchi. La loro prigione segreta, conosciuta come "La Biblioteca" era situata nell’aeroporto di Mariopoli sotto la gestione dell’SBU, un luogo di tortura e assassinio per miliziani delle repubbliche popolari del Donbas, comunisti, antifascisti e antimaidanisti.[8] Un luogo che evocava tristi somiglianze con lo Stadio nazionale di Santiago del Cile.[9] In un contesto simile, sarebbe stato accettabile ospitare una mostra su Pinochet e i suoi esecutori in Via Dante o al Museo del Risorgimento nel 1973? Per illustrare l’ampio disagio suscitato e le contraddizioni esplose con questa mostra, va notato che il quotidiano La Stampa di Torino ha modificato in modo significativo il titolo di un suo articolo a essa relativo. Il titolo originale, "[…] la mostra in centro sui neonazisti del Battaglione Azov," è stato successivamente cambiato in "[…] la mostra sulla resistenza ucraina a Mariupol," smorzando così il carattere controverso dell’evento.[10]

L’esposizione ha suscitato un diffuso dissenso da diverse componenti sociali, tra cui il pubblico generale, gruppi associativi e formazioni politiche. Un numero significativo di persone ha inviato email di protesta all’ente comunale, e nei giorni più recenti sono state pianificate manifestazioni a cui hanno partecipato centinaia di individui, tutte con l’obiettivo di esprimere opposizione all’esibizione e richiederne la chiusura.

05/09/2023

HILO GLAZER
Nelle Prealpi italiane, degli israeliani fondano una comunità di espatriati. Iniziative simili stanno nascendo altrove

 Nota del traduttore

Una battuta circolava qualche anno fa nei bar di Tel Aviv: “Un ebreo israeliano ottimista impara l'arabo, un ebreo israeliano pessimista impara l'inglese, un ebreo israeliano realista impara a nuotare”. Sembra che quello che i Palestinesi o gli arabi non sono riusciti a fare (semmai ne abbiano avuto davvero l'intenzione), Netanyahu e i suoi accoliti di governo lo stanno provocando: un'ondata di fuggi fuggi si è scatenata fra gli ebrei israeliani. Infatti, centinaia e migliaia di israeliani di varie condizioni socioeconomiche e di ogni età stanno dandosi da fare per trovare un'alternativa di vita allo Stato ebraico. Ed è in questo modo che è nato un nuovo business, che si potrebbe chiamare relocation industry (industria del trasferimento). L'articolo di Hilo Glazer racconta del Progetto Baita, lanciato in provincia di Vercelli, nella Valsesia, e di altri progetti, fra i quali ambiziosi progetti di creazione di "città israeliane" in Europa, da Cipro e Grecia al Portogallo, ed altrove. Uno di loro parla addirittura di creare una “comunità di insediamento”, che ricorda i cosiddetti insediamenti (colonie) in Cisgiordania. Possiamo legittimamente chiederci se questi progetti possano costituire un superamento definitivo del sionismo e del tribalismo, oppure se creeranno semplicemente “piccoli Israele” sparsi come coriandoli per il mondo.-FG

Hilo Glazer, Haaretz, 2/9/2023
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

 Sulla scia del golpe giudiziario [la riforma progettata dal governo Netanyahu], le discussioni israeliane sul trasferimento all’estero non si fermano più ai gruppi sui social media. In una valle lussureggiante dell’Italia nord-occidentale, le idee di emigrazione collettiva si stanno attuando sul campo e iniziative simili stanno prendendo forma anche altrove.

“Mentre il numero di ore di luce nella democrazia del loro Paese continua a diminuire, sempre più israeliani arrivano nella valle montana alla ricerca di un nuovo inizio. Tra loro ci sono giovani con neonati nel marsupio, altri con bambini in età scolare, e ci sono persone brizzolate o pelate come me. Un insegnante, un imprenditore tecnologico, uno psicologo, un toelettatore di cani, un allenatore di basket. Alcuni dicono che stanno solo esplorando, si vergognano ancora di ammettere che stanno prendendo seriamente in considerazione l’opzione. Altri sembrano intenzionati e motivati: si informano su come ottenere il permesso di soggiorno, su quanto costa una casa, su come aprire un conto bancario e trasferire i fondi previdenziali finché è ancora possibile. Alla base di tutto questo c’è uno strato di dolore, il dolore dei bravi israeliani che credevano di potersi riposare sugli allori dopo 2.000 anni, ma che ora stanno riprendendo in mano il bastone del viandante”.

L’autore è Lavi Segal, la zona montuosa che descrive si trova nella Valsesia, nella regione Piemonte dell’Italia nord-occidentale, ai piedi delle Alpi. Segal, proprietario di un’azienda turistica della Galilea, condivide le sue esperienze con i membri di un gruppo Facebook chiamato Baita, che offre informazioni agli israeliani che cercano di immigrare e creare una propria comunità in Valsesia, molti dei cui abitanti originari sono partiti negli ultimi decenni. Il nome del gruppo è un amalgama di Bait (che in ebraico significa “casa”) e Ita - abbreviazione di Italia. Baita in italiano si traduce anche come “capanna in montagna”. E non si tratta di montagne qualsiasi: la Valsesia è conosciuta come “la valle più verde d’Italia”. Segal afferma che quello che sta presentando è un caso di pubblicità veritiera.

“Con tutto il rispetto per i discorsi sulla ‘bella Terra d’Israele’”, dice ad Haaretz in un’intervista telefonica, “Israele è forse bella se paragonata alla Siria o all’Arabia Saudita [sic] [ma] l’Europa e le Alpi sono un altro mondo. Il paesaggio è mozzafiato, il clima è meraviglioso e tutti i noti problemi di Israele - guerre, sporcizia, sovraffollamento, costo della vita - semplicemente non esistono qui”.

Segal vive in Valsesia da due mesi con la moglie Nirit, entrambi sessantenni. “Stiamo facendo un viaggio di familiarizzazione e di esplorazione”, spiega. “Abbiamo affittato una casa qui e ogni tanto parliamo con le agenzie immobiliari della possibilità di acquistarne una. Al momento non stiamo parlando di uno sradicamento definitivo, anche se potrebbe accadere se la vita in Israele diventasse intollerabile. Per il momento stiamo cercando un posto in cui possiamo dividere il nostro tempo tra Israele e l’estero. Israele ci è molto caro: Quando siamo lì partecipiamo attivamente alle manifestazioni” contro i piani del governo per la revisione del sistema giudiziario.

Nirit, che organizza ritiri artistici, ha due idee: “Questo posto è un sogno quando si tratta di creare arte, ma sono molto legata a Israele e, come molte persone del mio ambiente, lo sento soprattutto oggi. Sono preoccupata per le implicazioni dellondata migratoria sul movimento di protesta”.

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