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Sergio Rodríguez Gelfenstein
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15/07/2024

FADWA ISLAH
Dopo l'Algeria, il Marocco: nuove rivelazioni sui legami di Jordan Bardella con il Maghreb

  

 

Fadwa Islah, Jeune Afrique, 28/6/2024

Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

Dopo aver indagato sulle origini algerine del presidente del Raggruppamento Nazionale, Jeune Afrique ha seguito le orme del nonno paterno, a Casablanca. Rivelazioni esclusive.

Se il presidente del Raggruppamento Nazionale, Jordan Bardella, non si è mai trattenuto dal sottolineare le sue origini italiane, soprattutto per illustrare il modello di assimilazione che difende politicamente, ha sempre ignorato i legami della sua famiglia con il Maghreb.

Permesso di residenza 

Innanzitutto quelli del bisnonno Mohand Séghir Mada, un operaio immigrato algerino arrivato dalla Cabilia in Francia negli anni ‘30 [leggi qui]. Ma anche quelle del nonno paterno, Guerrino Bardella. Si sposò dapprima con Réjane Mada, del ramo algerino della famiglia, e la coppia diede alla luce, nel 1968, Olivier Bardella, padre del potenziale futuro primo ministro francese [questo articolo è stato pubblicato prima del primo turno elettorale, NdT]. Successivamente la coppia divorziò e Guerrino si stabilì in Marocco, dove sposò la sua seconda moglie, una donna marocchina, di nome Hakima.

Sebbene non si conosca la data esatta del matrimonio, il minimo che si possa dire è che risale a diversi anni fa: l’ultimo permesso di soggiorno in Marocco di Guerrino Italo Bardella, ottenuto per “ricongiungimento familiare”, secondo le informazioni di cui dispone Jeune Afrique, è stato rilasciato nel 2016 per un periodo di dieci anni.

Ciò significa che non si trattava del suo primo permesso di soggiorno in Marocco, ma di un rinnovo.

Conversione all’Islam

Con la nuova moglie, questo pensionato, ottantenne dal 1° aprile 2024, vive felicemente a Casablanca, nel quartiere di Bourgogne. Il matrimonio con Hakima implica la sua conversione all’Islam, secondo la legge in vigore in Marocco, che prevede che un cittadino non possa sposare uno straniero di fede non musulmana se prima non si è ufficialmente convertito davanti a un adul (autorità giuridica religiosa) e a diversi testimoni.

Guerrino Bardella è noto come falegname ed ebanista, lavora negli ambienti degli espatriati e della borghesia marocchina ed è registrato nel Regno come cittadino italiano. Come molti dei suoi connazionali che vivono nella capitale economica del Marocco, da tempo frequenta il ristorante del Circolo italiano “Chez Massimo” in boulevard Bir Anzarane nel quartiere del Maarif.

Un futuro migliore

Nato nel 1944 ad Alvito, in provincia di Frosinone, nel Lazio, in una famiglia di quattro figli - ha una sorella, Giovanna, e due fratelli: Honoré Roger e Silvio Ascenzo, tutti e tre deceduti - il figlio di un muratore arriva a Montreuil, in Francia, nel 1960, in cerca di un futuro migliore. Nel 1963 sposò Réjane Mada, figlia di Mohand Séghir Mada.

Poco si sa del rapporto di Jordan Bardella con il nonno, che si era convertito all’Islam e si era stabilito in Marocco. Ancora meno si sa del suo rapporto con le origini algerine, che il Presidente del RN non ha mai menzionato pubblicamente.

 

04/04/2024

SERGIO FERRARI
Italia : Politica-spettacolo ed estrema destra in ascesa
Intervista a Michele Sodano ad Agrigento

Sergio Ferrari, 25/3/2024
Originale: Italia : Política-espectáculo y la ultraderecha en ascenso-Entrevista a Michele Sodano en Agrigento
Português Français
Tradotto da
Alba Canelli, Tlaxcala

L’apparente stabilità istituzionale dell’Italia nasconde oggi una realtà sociale complessa. Anche la sua narrativa politica è in discussione.

A soli 28 anni, nel 2018 Michele Sodano è stato eletto Deputato Nazionale per la circoscrizione di Agrigento, Sicilia. Ha fatto parte del Movimento 5 Stelle, organizzazione che in quegli anni è diventata un fenomeno nazionale di particolare interesse per l’incredibile capacità di coinvolgere la popolazione, nonché per la forte differenziazione delle posizioni interne. Sodano ha concluso il suo mandato nell'ottobre 2022, non più come rappresentante del M5S. A causa di divergenze con la leadership legate all’elezione di Mario Draghi a Premier, nel febbraio 2021 è stato espulso dal suo partito insieme a una ventina di suoi colleghi parlamentari. Nonostante la sua giovane età, Sodano ha accumulato un ampio curriculum professionale. Laureato in Economia presso l'Università Bocconi e specializzato presso l'Università di Copenaghen, ha lavorato con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e in diverse aziende private. Attualmente dirige Immagina Aps, associazione/coworking, luogo di riferimento per incontri culturali, progettazione e solidarietà, che può contare su una struttura situata nel cuore di Agrigento. Ecco l’intervista esclusiva a questo giovane intellettuale impegnato, convinto pacifista e riferimento “apartitico” per i gruppi cittadini della sua città.


D: Come lo presento?

Michele Sodano (MS): Domanda difficile. Normalmente, nella nostra cultura, ci presentiamo tutti con ciò che facciamo. Nel mio caso, in questo momento della mia vita, sto dando la priorità a quelle che ritengo attività per la mia comunità; inoltre apprezzo e valorizzo al massimo il tempo che posso dedicare a me stesso, cosa che fino ad ora non ho mai potuto fare. Mi sento molto fortunato se penso di potere rifiutare il modello imperante della società contemporanea che ci vuole tutti impegnati a vivere principalmente per il lavoro in azienda e finire così prigionieri di una logica consumistica che può essere paragonata ad un grande carcere di lusso.

D: Vuole dire che la sua priorità oggi è quasi esistenziale?

MS: Totalmente. Percepisco intorno a me tante persone depresse, tristi; questo avviene perché nella maggior parte delle volte, non sappiamo più nemmeno per cosa si è in vita. I modelli di successo che ci vengono proposti sono molto lineari: produrre per un’azienda attraverso il sacrificio del nostro tempo, andare in pensione e poi vivere in libertà forse solo gli ultimi anni della nostra esistenza. Ma adesso sempre più esseri umani cominciano ad intuire che la loro vita non debba ruotare interamente intorno ai concetti di lavoro e reddito. La vita, nel suo miracolo, deve essere molto più di questo. Io l’ho imparato quando ho dovuto affrontare una pesante malattia all’età di 17 anni. È stato un momento di totale cambiamento per me. Attenzione non sto in alcun modo demonizzando il concetto di lavoro, credo però che questo debba corrispondere a un vero contributo, calibrato sulla nostra natura, le nostre più intime aspirazioni e le nostre capacità, al mondo che ci circonda e agli esseri umani che lo popolano.

 

Politica tradizionale in crisi

D: Una riflessione sorprendente perché espressa dopo quattro anni vissuti in maniera frenetica, da un Deputato Nazionale che ha vissuto a Roma, che ha preso decine di voli tra la capitale italiana e Agrigento, la sua città…

MS: È stata un'esperienza ricca, per niente negativa che non rinnego affatto. Mi ha permesso di comprendere meglio l’essenza di molte cose. Non voglio essere arrogante, ma penso che adesso ho maggiore lucidità per interpretare certe situazioni e fenomeni. In particolare, comprendere nell’interezza del fenomeno l’enorme vuoto della politica. Ritengo, e forse ciò che dico può sembrare provocatorio, che oggi, almeno in Italia, la differenza tra destra e sinistra sia per lo più una questione di narrativa, non di sostanza o di contenuto essenziale. Siamo bombardati costantemente da una narrazione come un episodio di  una serie Netflix, siamo molto lontani da qualsiasi contenuto sostanziale. Ciò è stato particolarmente evidente dopo gli anni del governo Berlusconi, un ventennio che ha ridotto quasi a zero gli strumenti di analisi sociale e che ha trasformato la dimensione politica a quella dello spettacolo. Tutto ciò ha portato la maggior parte della popolazione a non percepire nemmeno che oggi la politica tutta, e il Parlamento in particolare, si è svuotata di ogni potere reale, nessuna capacità di rappresentare il proprio popolo.

D: È un'affermazione molto dura. Allora chi ha il potere oggi in Italia?

MS: La grande finanza, come in tutta Europa, dove domina questo capitalismo neoliberista dominante. Ma l’Italia, in particolare, non ha più difese immunitarie contro questo sistema. Ha una tradizione e una storia straordinaria che ci inducono a pensare di vivere in un buon Paese. Ma in realtà qui multinazionali e capitale finanziario possono fare quello che vogliono, governare come vogliono e porsi all’apice di ogni processo decisionale. Io ho avuto la possibilità di appurarlo per vie dirette, da Deputato della Repubblica. La differenza tra Giorgia Meloni, oggi al governo, il Pd (ex Partito Comunista) e il Movimento 5 Stelle è principalmente di narrativa. Infatti quello che la Meloni sta mettendo in pratica oggi, in 18 mesi di governo, non è dissimile da quanto hanno fatto, nel periodo precedente, Giuseppe Conte o Mario Draghi (ultimi due premier prima della Meloni). Sono stati proprio loro a spalancare le porte a tutte le principali privatizzazioni, come quelle nel settore sanitario e delle società pubbliche, che oggi continuano ad amplificarsi.

Un discorso per vincere la battaglia culturale

D: Secondo la sua analisi, non sembra poi così drammatico che attualmente l'Italia sia governata da un leader le cui origini affondano nella militanza neofascista…

MS: Non voglio negare che sia drammatico, perché la Meloni e la destra, in più rispetto al “campo progressista”, avanzano proposte ideologiche negative per lo sviluppo della coscienza umana. La loro xenofobia, l’esasperazione del concetto di patriottismo, la paura dell'altro, la rabbia verso chi è diverso, dal punto di vista ideologico e sociale creano danni enormi e sono molto pericolose.

D: Pensa che questi impulsi, messaggi e concetti siano irreversibili?

MS: Non posso valutare il livello di reversibilità o irreversibilità degli argomenti imposti dall'estrema destra. La storia è fatta di tesi, antitesi e sintesi. Non posso dire se, dopo tutti questi abominevoli contenuti ideologici propagandati direttamente dalla politica governativa, si raggiungerà una nuova fase di coscienza. Quello che vedo è un tremendo smantellamento, molto accelerato, di tutto ciò che è “critical thinking” e conoscenza nel senso più ampio del termine. Un disinvestimento concreto nella cultura, nell’istruzione, che incide direttamente sulle consapevolezze più radicate dei cittadini. Oggi, per esempio, molte persone reputano che il problema principale di questo Paese profondamente indebolito per mano delle banche e delle mafie, sia la presenza degli immigrati e il ​​messaggio immigrati o rifugiati che vengono solo per rubare e farsi gli affari propri” diventa dilagante, specie nelle fasce meno scolarizzate. Tuttavia, per fortuna, resiste ancora una nicchia consapevole e solidale; minoritaria, troppo piccola per incidere e incapace di organizzarsi. E così, di fronte a una povertà dilagante, molti italiani diventano conservatori e si appropriano acriticamente di argomentazioni bocciate dalla storia.

“Il campo progressista italiano le ha spianato la strada”

D: Ha avuto paura quando ha vinto Fratelli d'Italia, il partito della Meloni, nel 2022?

MS: Preoccupazione e soprattutto una sensazione molto strana: se la Meloni è qui è perché il campo progressista italiano le ha spianato la strada.

D: Le chiedo ancora, per capire bene: secondo la sua riflessione, l'attuale Governo, più che profondi cambiamenti di programma, promuove un cambiamento ideologico e di narrazione politica?

MS: Penso di sì. Ad esempio, i primi provvedimenti approvati sono misure  ridicole, decreti per opporsi ai “rave party” o per rendere illegale la carne sintetica, o ancora circolari per vietare l’uso di parole inglesi. E così la politica trascina tutta l’opinione pubblica e sposta il dibattito popolare su questioni non essenziali. Ma allo stesso tempo, devo anche dire che si porta il Paese nel passato, si condonano i grandi imprenditori con enormi evasioni fiscali, si permette alle multinazionali di avere carta bianca su tutto. Hanno anche cancellato il Reddito di Cittadinanza, che era un importantissimo sussidio di 700 euro per ogni famiglia sotto la soglia di povertà, una delle nostre grandi conquiste quando governava il Movimento 5 Stelle. È terribile, perché con l’enorme propaganda mediatica e sui social la Meloni e i suoi stanno radicando la percezione che questo strumento di redistribuzione della ricchezza era ingiusto e che “la gente deve lavorare”, non importa se perfino senza diritti o sotto sfruttamento. Come se il problema non fosse la povertà strutturale di una parte significativa della popolazione e l’incapacità a inserirsi nel mercato del lavoro, ma la mancanza di volontà di lavorare. Esasperano tutto e approfittano della disperazione della gente. Ecco perché insisto nel parlare del grande problema della narrativa dei gruppi politici dominanti, ma probabilmente anche Draghi e il Pd avrebbero, prima o poi, cancellato il Reddito di Cittadinanza.

D: Narrazione di destra e smantellamento delle conquiste sociali…

MS: Senza dubbio. Quando nel 2018 il nostro movimento ha raggiunto tale forza ed è salito al potere, abbiamo sentito che la giustizia aveva trionfato. Ho vissuto in Danimarca, dove ero già attivo con il M5S. Ho lasciato il mio lavoro lì per tornare in Sicilia e partecipare alla campagna elettorale regionale. Dopo sei mesi e a soli 28 anni, con una candidatura del tutto inaspettata e con il profilo di un giovane dalla parlata decisa e forte, sono stato eletto Deputato con il sostegno di oltre il 50% dell'elettorato della mia città. Molti italiani hanno vissuto tutto questo come una straordinaria rivoluzione. Siamo stati in grado di legiferare e portare a termini progressi impressionanti, come i sussidi per i più bisognosi, o l’obbligo di avere contratti di lavoro stabili e sicuri dopo due anni di lavoro nella stessa azienda. Siamo riusciti ad abolire la pubblicità del gioco d’azzardo in un Paese in cui il gioco d’azzardo era sempre più una piaga e continuava ad aumentare a causa della disperazione economica di molte persone. Ma le concessioni alla destra di Salvini con cui era partito il primo Governo sono iniziate rapidamente e ogni giorno perdevamo sempre più terreno. La stessa classe dirigente del Movimento 5 Stelle ha, a poco a poco, preso gusto e si è affezionata al potere, con la capacità di accettare compromessi sempre più a ribasso.

 

Svanisce una grande illusione

D: Questo ha causato la crisi interna al Movimento 5 Stelle?

MS: Esatto. Un gruppo di noi, che nel 2021 non ha sostenuto la nomina di Mario Draghi a primo ministro, è stato espulso dal Movimento e ha formato un gruppo parlamentare indipendente. Draghi, a nostro avviso, rappresentava l’élite europea neoliberista e globalizzante. Un uomo della Goldman Sachs, era stato direttore esecutivo della Banca Mondiale e poi, per otto anni, presidente della Banca Centrale Europea. Dietro Draghi si sono riuniti nuovamente la destra di Salvini e di Berlusconi, ma allo stesso tempo anche il Partito Democratico e il M5S. La sua nomina era qualcosa che la nostra decenza politica non poteva più accettare.

D: Un momento molto difficile nella sua carriera politica?

MS: L'espulsione del M5S ha rappresentato un evento molto amaro nella mia vita. Ma non potevo fidarmi di quel Governo che, come poi gli eventi hanno dimostrato, non avrebbe apportato alcun beneficio al nostro popolo. È stato triste perché ha rappresentato a mio parere la rottura definitiva di un processo partecipativo, quello del Movimento 5 Stelle, che non aveva eguali. Allo stesso tempo ritengo che la mia espulsione dal partito sia una sorta di medaglia al valore se la guardo dal punto di vista della mia etica. È stata una decisione di principio che ho preso sapendo che non avrebbe portato alcun beneficio personale. Ho fatto ciò che era giusto, non la cosa più conveniente per me ed è per questo che la considero un grande grido di libertà. Da subito, con gli altri colleghi con cui abbiamo creato il gruppo indipendente, abbiamo aperto una nuova fase della nostra vita parlamentare. Abbiamo presentato progetti di legge in totale autonomia e, per la prima volta, ho esposto nei miei interventi parlamentari i miei valori più radicali e le mie convinzioni, senza dover leggere un documento scritto da qualcun altro. Devo confessarti che è stata un'esperienza di cui sono molto orgoglioso. Altri colleghi, amici e colleghi Parlamentari del nostro movimento hanno continuato con la linea ufficiale. Provo per loro una specie di compassione, perché dev'essere molto difficile sentirsi bene, e a posto con la propria coscienza, dopo aver venduto l'anima al diavolo e tradito la volontà di milioni di elettori che ci avevano dato un preciso mandato: sovvertire il sistema.

La crisi di un’Europa con la guerra dentro

D: Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il vostro gruppo di M5S espulsi ha preso le distanze da ogni sostegno militare all'Ucraina e al conflitto in generale…

MS: Infatti. Questa guerra distorce qualsiasi ruolo strategico che l’Europa doveva svolgere. Come Unione Europea, siamo semplici venditori di armi quando avremmo dovuto alzare una voce forte e alternativa a favore della pace. Ritengo che oggi l'Europa, come concezione di un progetto originale nella costruzione di un continente egualitario e giusto, sia molto indebolita.


D: Per finire: la vostra organizzazione IMMAGINA ha appena aperto le sue porte per presentare Grand Hotel Coronda, un libro sui prigionieri politici nel carcere argentino di Coronda durante la dittatura militare. E in quella stessa sala si tengono le riunioni periodiche dei diversi gruppi e forze che difendono la pace in Palestina…

MS: Per noi IMMAGINA è uno spazio aperto, in costruzione, umano e profondamente solidale. L'obiettivo principale che perseguiamo è dare un piccolo senso di eternità a questo momento che viviamo qui oggi. Non è un progetto finito o chiuso. Le porte dei nostri locali sono aperte. Uno degli obiettivi fondamentali per cui abbiamo dato vita a Immagina, è riappropriarci della nostra esistenza. Questo implica due concetti principali: creare una comunità solidale e intellettualmente speculativa e contribuire alla costruzione della felicità collettiva. Con le nostre azioni cerchiamo di avanzare proposte e parlare di umanità, senza mai dimenticare gli aspetti caratterizzanti del nostro territorio. Con grande umiltà, passo dopo passo e con gioia, senza mai lasciarci prendere dallo sconforto.E in questo quadro la solidarietà per noi è un concetto fondante. Combattere tutto ciò che impoverisce oggi la nostra società planetaria: frontiere, guerre a vantaggio di pochissimi, divisioni tra le aree del mondo. Siamo solo esseri umani dello stesso meraviglioso universo e dobbiamo preservarci a vicenda, non combatterci, prenderci cura, insieme, del nostro pianeta.

  

Bakhita, affresco di Rosk & Loste, La Kalsa, Palermo. Foto Sergio Ferrari.


 

16/09/2023

GREGORIO CARBONI MAESTRI
Lettera aperta all’ANPI su una mostra glorificando il Battaglione Azov

Gregorio Carboni Maestri, settembre 2023

Stimati associati, compagni e amici dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ANPI,

In questi giorni di significativi anniversari—l’ottantesimo dell8 settembre 1943, che segnò l’inizio simbolico della Rivoluzione partigiana in Italia e della liberazione del Dombass dall’occupazione nazifascista—è con profondo sgomento che sono venuto a conoscenza del tacito sostegno da parte dell’ANPI della Provincia di Milano a una mostra dal titolo "Occhi di Mariopoli – Uno sguardo negli occhi dei difensori di Mariopoli".[1] Questa esposizione, allestita in Via Dante e nel Museo del Risorgimento, è patrocinata dal Comune di Milano e dalla Zona 1 e riguarda il battaglione Azov, noto per le sue posizioni nazifasciste, antisemite e ultranazionaliste.[2] È stato organizzato e promosso con l’aiuto delle associazioni Azov One e dalla Kvyatkovskyy Family Foundation, entrambe affiliate al suddetto battaglione, come parte della loro campagna per "ripulire" la reputazione di questa unità controversa.


 Nella mostra oggetto di discussione, è stato fatto un tentativo deliberato di nascondere il logo del Battaglione, che era invece visibile nell’edizione della mostra presentata a Leopoli. Questo atto consapevole da parte degli organizzatori evidenzia ulteriormente la problematicità della mostra. Come ha chiaramente espresso l’ANPI di Porta Genova (Milano), le immagini esposte mettono in primo piano le forze militari anziché documentare le sofferenze delle popolazioni oppresse dalla guerra. Inoltre, queste immagini fanno uso di simbolismi che evocano regimi e periodi storici oscuri.

È fondamentale evidenziare che il battaglione Azov trae le sue radici dalle milizie neofasciste affiliate a Pravy Sektor  [Settore destro], che sono state successivamente incorporate legalmente nelle forze armate ucraine.[3] Il simbolo che identifica questo battaglione è l’amo per lupi, un emblema che fu inizialmente associato al Partito Nazista prima della sua adozione della svastica. Tale simbolo è stato successivamente incorporato nell’insieme di simboli runici utilizzati dalle S.S. ed è stato anche adottato da otto divisioni della Wehrmacht, inclusa la 2ª Divisione Panzer S.S. "Das Reich". Va notato che anche il Partito Social Nazionalista Ucraino - Svoboda ha fatto uso di questo simbolo distintivo.[4]

L’immagine emblema della mostra, una fotografia in bianco e nero, è un ritratto di Denys Prokopenko, un comandante del battaglione Azov noto per le sue ideologie suprematiste bianche.[5] Prokopenko ha intrapreso la sua carriera militare inizialmente nel "Club dei ragazzi bianchi", un gruppo ultras neonazista, per poi unirsi alla divisione Borodach. Quest’ultima è distintiva per l’utilizzo del simbolo nazista del "Testa di morto" e tibia incrociate. Prokopenko rappresenta solo uno dei tanti membri controversi di questa unità paramilitare, i cui seguaci sfoggiano tatuaggi che fanno riferimento a simbologie razziste, suprematiste, omofobe, antisemite e nazifasciste.[6]

Il battaglione Azov è stato coinvolto in atti spaventosi di crudeltà e illegalità, inclusi stermini, deportazioni e la soppressione completa di libertà e dignità umana. Hanno persino praticato crocifissioni e morti sul rogo.[7] Contrariamente alla narrativa veicolata dalla mostra in questione, i membri del battaglione Azov non sono dunque eroi ma piuttosto assassini crudeli e vigliacchi. La loro prigione segreta, conosciuta come "La Biblioteca" era situata nell’aeroporto di Mariopoli sotto la gestione dell’SBU, un luogo di tortura e assassinio per miliziani delle repubbliche popolari del Donbas, comunisti, antifascisti e antimaidanisti.[8] Un luogo che evocava tristi somiglianze con lo Stadio nazionale di Santiago del Cile.[9] In un contesto simile, sarebbe stato accettabile ospitare una mostra su Pinochet e i suoi esecutori in Via Dante o al Museo del Risorgimento nel 1973? Per illustrare l’ampio disagio suscitato e le contraddizioni esplose con questa mostra, va notato che il quotidiano La Stampa di Torino ha modificato in modo significativo il titolo di un suo articolo a essa relativo. Il titolo originale, "[…] la mostra in centro sui neonazisti del Battaglione Azov," è stato successivamente cambiato in "[…] la mostra sulla resistenza ucraina a Mariupol," smorzando così il carattere controverso dell’evento.[10]

L’esposizione ha suscitato un diffuso dissenso da diverse componenti sociali, tra cui il pubblico generale, gruppi associativi e formazioni politiche. Un numero significativo di persone ha inviato email di protesta all’ente comunale, e nei giorni più recenti sono state pianificate manifestazioni a cui hanno partecipato centinaia di individui, tutte con l’obiettivo di esprimere opposizione all’esibizione e richiederne la chiusura.

05/09/2023

HILO GLAZER
Nelle Prealpi italiane, degli israeliani fondano una comunità di espatriati. Iniziative simili stanno nascendo altrove

 Nota del traduttore

Una battuta circolava qualche anno fa nei bar di Tel Aviv: “Un ebreo israeliano ottimista impara l'arabo, un ebreo israeliano pessimista impara l'inglese, un ebreo israeliano realista impara a nuotare”. Sembra che quello che i Palestinesi o gli arabi non sono riusciti a fare (semmai ne abbiano avuto davvero l'intenzione), Netanyahu e i suoi accoliti di governo lo stanno provocando: un'ondata di fuggi fuggi si è scatenata fra gli ebrei israeliani. Infatti, centinaia e migliaia di israeliani di varie condizioni socioeconomiche e di ogni età stanno dandosi da fare per trovare un'alternativa di vita allo Stato ebraico. Ed è in questo modo che è nato un nuovo business, che si potrebbe chiamare relocation industry (industria del trasferimento). L'articolo di Hilo Glazer racconta del Progetto Baita, lanciato in provincia di Vercelli, nella Valsesia, e di altri progetti, fra i quali ambiziosi progetti di creazione di "città israeliane" in Europa, da Cipro e Grecia al Portogallo, ed altrove. Uno di loro parla addirittura di creare una “comunità di insediamento”, che ricorda i cosiddetti insediamenti (colonie) in Cisgiordania. Possiamo legittimamente chiederci se questi progetti possano costituire un superamento definitivo del sionismo e del tribalismo, oppure se creeranno semplicemente “piccoli Israele” sparsi come coriandoli per il mondo.-FG

Hilo Glazer, Haaretz, 2/9/2023
Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala

 Sulla scia del golpe giudiziario [la riforma progettata dal governo Netanyahu], le discussioni israeliane sul trasferimento all’estero non si fermano più ai gruppi sui social media. In una valle lussureggiante dell’Italia nord-occidentale, le idee di emigrazione collettiva si stanno attuando sul campo e iniziative simili stanno prendendo forma anche altrove.

“Mentre il numero di ore di luce nella democrazia del loro Paese continua a diminuire, sempre più israeliani arrivano nella valle montana alla ricerca di un nuovo inizio. Tra loro ci sono giovani con neonati nel marsupio, altri con bambini in età scolare, e ci sono persone brizzolate o pelate come me. Un insegnante, un imprenditore tecnologico, uno psicologo, un toelettatore di cani, un allenatore di basket. Alcuni dicono che stanno solo esplorando, si vergognano ancora di ammettere che stanno prendendo seriamente in considerazione l’opzione. Altri sembrano intenzionati e motivati: si informano su come ottenere il permesso di soggiorno, su quanto costa una casa, su come aprire un conto bancario e trasferire i fondi previdenziali finché è ancora possibile. Alla base di tutto questo c’è uno strato di dolore, il dolore dei bravi israeliani che credevano di potersi riposare sugli allori dopo 2.000 anni, ma che ora stanno riprendendo in mano il bastone del viandante”.

L’autore è Lavi Segal, la zona montuosa che descrive si trova nella Valsesia, nella regione Piemonte dell’Italia nord-occidentale, ai piedi delle Alpi. Segal, proprietario di un’azienda turistica della Galilea, condivide le sue esperienze con i membri di un gruppo Facebook chiamato Baita, che offre informazioni agli israeliani che cercano di immigrare e creare una propria comunità in Valsesia, molti dei cui abitanti originari sono partiti negli ultimi decenni. Il nome del gruppo è un amalgama di Bait (che in ebraico significa “casa”) e Ita - abbreviazione di Italia. Baita in italiano si traduce anche come “capanna in montagna”. E non si tratta di montagne qualsiasi: la Valsesia è conosciuta come “la valle più verde d’Italia”. Segal afferma che quello che sta presentando è un caso di pubblicità veritiera.

“Con tutto il rispetto per i discorsi sulla ‘bella Terra d’Israele’”, dice ad Haaretz in un’intervista telefonica, “Israele è forse bella se paragonata alla Siria o all’Arabia Saudita [sic] [ma] l’Europa e le Alpi sono un altro mondo. Il paesaggio è mozzafiato, il clima è meraviglioso e tutti i noti problemi di Israele - guerre, sporcizia, sovraffollamento, costo della vita - semplicemente non esistono qui”.

Segal vive in Valsesia da due mesi con la moglie Nirit, entrambi sessantenni. “Stiamo facendo un viaggio di familiarizzazione e di esplorazione”, spiega. “Abbiamo affittato una casa qui e ogni tanto parliamo con le agenzie immobiliari della possibilità di acquistarne una. Al momento non stiamo parlando di uno sradicamento definitivo, anche se potrebbe accadere se la vita in Israele diventasse intollerabile. Per il momento stiamo cercando un posto in cui possiamo dividere il nostro tempo tra Israele e l’estero. Israele ci è molto caro: Quando siamo lì partecipiamo attivamente alle manifestazioni” contro i piani del governo per la revisione del sistema giudiziario.

Nirit, che organizza ritiri artistici, ha due idee: “Questo posto è un sogno quando si tratta di creare arte, ma sono molto legata a Israele e, come molte persone del mio ambiente, lo sento soprattutto oggi. Sono preoccupata per le implicazioni dellondata migratoria sul movimento di protesta”.

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13/06/2023

PAOLO PERSICHETTI
Berlusconi, il ‘68 dei padroni e l’edonismo proprietario

Paolo Persichetti, l’Unità /Insorgenze, 12/6/2023

 Cosa è stato il berlusconismo? Come è riuscito ad imporre la sua egemonia? «Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelata in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza (Louis-Napoléon Bonaparte)», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza

Pranzo natalizio a Villa San Martino (Arcore), 2011


Fin dal momento della sua entrata diretta in politica, nel lontano 1994, il dispositivo Berlusconi ha agito come un grande diversivo, un potentissimo magnete capace di captare su di sé passioni contrapposte. Una sorta d’incantesimo che ha permesso al padrone della televisione commerciale di collocarsi da subito al centro della scena scompaginando gli schieramenti, rimescolando le carte, sparigliando il tavolo da gioco. Forse solo riconoscendo questa sua irresistibile capacità illusionistica si può riuscire a spiegare anche l’essenza contraddittoria, quella combinazione di contrari che è l’antiberlusconismo.

Solo in questo modo si riesce a comprendere perché personaggi della destra storica, come Indro Montanelli o populisti di destra come Antonio Di Pietro siano diventati dei paladini del popolo della sinistra, oppure un damerino reazionario come Marco Travaglio abbia potuto ispirare prima le correnti giustizialiste della sinistra, dai girotondi al popolo viola, e poi i Cinque stelle.

Sicuramente Berlusconi ha saputo intercettare e interpretare a modo suo quel nuovo spirito del capitalismo descritto da Luc Boltanski e ève Chiappello in un volume pubblicato da Gallimard nel 2000 e arrivato in Italia solo nel 2014 con Mimesis (Il nuovo spirito del capitalismo). Versione italiana di quella nuova etica della valorizzazione del capitale che, secondo i due sociologi, dopo l’originaria fase puritana e la successiva età della programmazione e della razionalità fordista, ha trovato nuova fonte d’ispirazione e legittimazione in una parte delle critiche rivolte al modo di produzione capitalista durante la contestazione degli anni Settanta. La critica al taylorismo fordista, all’alienazione seriale del lavoro, ai rapporti di società rigidi e gerarchizzati e alla società dello spettacolo, sono state assorbite e metabolizzate fino a fare della creatività e della flessibilità i tratti salienti del nuovo sistema dell’economia dei flussi, del valore aggiunto, del lavoro immateriale incamerato nel prodotto finito. Inventiva, piacere e pazzia – sempre secondo l’analisi di Boltanski e Chiappello – sono diventati ingredienti del successo capitalista molto più dei costipati valori del lavoro, della preghiera e del risparmio che ispiravano gli albori del capitalismo ma anche quella sorta di calvinismo del valore lavoro di cui era intriso il togliattismo.

Se l’immaginazione non è mai arrivata al potere, sicuramente ha trovato posto in piazza Affari. Dimostrazione della capacità dinamica e innovativa dell’«imprenditoria deviante», secondo una categoria forgiata dalla sociologia criminale. L’ambivalenza del comportamento berlusconiano, condotta all’interno e all’esterno dell’ordine stabilito, ha permesso di condurre esperimenti, d’esplorare possibilità anche illegittime. Risorsa necessaria affinché l’iniziativa economica innovativa potesse avere luogo. In questo modo l’uomo di Arcore ha mantenuto «una distinta leggerezza che ha consentito alle sue imprese, in maniera weberiana, di levarsi al di là del bene e del male», come ha scritto Vincenzo Ruggiero in, Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, il Saggiatore, Milano 2005.

Il patron della pubblicità con le sue televisioni è stato il volto italiano di questa rivoluzione del capitale. Con la sua abilità nel produrre ideologia è riuscito a sintetizzare anche interessi e spinte sociali diverse ma accomunate da un’ipertrofica rapacità individualista. Venditore di sogni e d’illusioni, spacciatore di marche, dealer di un mondo ridotto al dominio del logo e delle sue imitazioni. Divenuto sistema-mondo, occupata la società, a Berlusconi mancava solo la politica. Non la politica vera. Quella l’aveva sempre fatta, come una volta vantò in una intervista. La sua rete commerciale non era altro che un partito di tipo leninista. L’unico rimasto. Il partito dei professionisti della pubblicità. Una struttura di quadri selezionati, radicati nel territorio e nei distretti economici, con rapporti diffusi e alleanze con le corporazioni, le organizzazioni di categoria e gli imprenditori legali e illegali. Un vero modello d’organizzazione bolscevica della borghesia. Ed difatti, alla fine del 1993, in pochi mesi riuscì a farne la struttura portante di Forza Italia per lanciare l’attacco alla cittadella della politica-istituzionale, all’occupazione della macchina statale. Grazie ad una scientifica attività lobbistica e alle protezioni ottenute da settori influenti della politica, più che alla capacità di stare sul mercato, ha potuto costruire negli anni Ottanta la sua posizione dominante nel settore delle televisioni commerciali e della raccolta pubblicitaria.

Ma a spianare la strada al suo ingresso diretto nel mondo dei palazzi romani è stato il tracollo del sistema politico dei partiti provocato dalle inchieste giudiziarie. Quando sulle ceneri della Prima Repubblica rivaleggiavano ormai forme contrapposte di populismo, Berlusconi è riuscito a sconvolgere la scena politica del paese sradicando la tradizione dei partiti di massa già in crisi e imponendo il proprio modello anche ai suoi avversari. In grado di miscelare elementi elitari e plebiscitari, premoderni e ipermoderni, quello berlusconiano è apparso un modello di populismo dove vecchio e nuovo s’integravano. Sorretto dal ritorno all’affermazione della leadership carismatica e provvidenziale, nella quale il potere patrimoniale sostituisce la vecchia legittimità paternalista-patriarcale, il paradigma berlusconiano ha accompagnato l’elogio dell’imprenditorialità diffusa dentro la quale riescono a convivere anche forme arcaiche e bestiali di taylorismo. Il sogno e l’inganno di milioni di piccole imprese, nuova configurazione di un rapporto lavorativo che occulta dietro il mito dell’imprenditorialità individuale le gerarchie di un nuovo modello di sfruttamento. Illusione di un facile accesso al ceto medio e all’arricchimento personale modellato con i valori profusi dalle televisioni commerciali, tra gossip, cronaca nera, veline e reality show.

Esaltazione retorica e sognatrice dell’autoaffermazione individuale, della proprietà (tanto più quando questa è insignificante e si riduce ad un’abitazione o un’automobile acquistata contraendo mutui bancari pluridecennali o alla conversione dei propri risparmi in bond e partecipazioni in titoli finanziari). Ideologia che riesce a far convivere con un mirabile gioco di prestigio temi legati alla riscoperta dei valori morali, come patria, famiglia e presunta etica della vita (ostilità verso l’aborto e l’uso delle staminali), insieme ad una sorta di sfrenato “edonismo proprietario”, di ’68 dei padroni (il “bunga bunga”).
«Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelato in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza. Tutto ciò come è stato possibile?

Quando la società dei lavoratori e dei cittadini volontari è messa fuori gioco, ha risposto Mario Tronti: «la politica diventa il monopolio dei magistrati, dei grandi comunicatori, della finanza, delle lobby, dei salotti. Cessa di essere la sede in cui i progetti di società si affrontano e confrontano e diventa il luogo dell’indifferenza, uno spazio indistinto dove l’apparenza prevale sul contenuto, l’estetica s’impone sulla sostanza». Per questo l’antiberlusconismo giustizialista non solo si è rivelato inefficace ma si è addirittura dimostrato dannoso riverberandosi unicamente come riflesso subalterno del suo acerrimo nemico spianando la strada al governo della destra fascista.

2008  


2011

2023

GIANFRANCO LACCONE
Sedersi sulla riva del fiume e attendere
Dopo la scomparsa di Mister B, la destra è nelle condizioni dei comunisti dopo Stalin

Gianfranco Laccone, 13/6/2023

La destalinizzazione giunse nel 1956, a tre anni dalla morte di Stalin, per mano del suo stesso successore, Chruščëv ; i democristiani impiegarono molto meno per liberarsi della figura di Moro (i morotei di Bari, sua città di elezione, lo fecero la notte successiva alla sua morte, migrando nelle varie correnti); quanto tempo ci vorrà per liberarsi del peso di questa figura già santificata che, come dice oggi il manifesto, il 12 giugno 2023 è “asceso in campo”?


Non credo che Tajani rappresenti il Chruščëv italiano, in grado di avviare la necessaria demolizione del mito per permettere al Paese di andare avanti. Il Paese si è identificato con questa figura che, ora che è ufficialmente scomparsa, non so nemmeno se sia mai esistita o se fosse scomparsa da molto tempo e sostituita da una controfigura, ricostruita negli anni come un androide, come ancora oggi si favoleggia nel caso di Mao. Perché questo è stato un personaggio che si è realmente costruito da sé, in modo imperfetto e grottesco, come capitava di fare da bambini con il meccano (un gioco di metallo anni Cinquanta, spazzato via dalla plastica e dal Lego), dove era impossibile costruire dei pupazzi, pupazzi che comunque costruivamo e immaginavamo potessero esistere per popolare un mondo di gru, palazzi e castelli di metallo. Un mio conoscente, verso la fine degli anni ’90, lo incontrò per caso di notte nei corridoi di un hotel di Bruxelles e non lo riconobbe, piccolo, goffo e incerto nell’andare, così diverso dalle immagini che già trent’anni fa la TV ci proiettava.

Non ci vuole molta fantasia nell’immaginare quello che succederà a breve; non esiste un erede politico e i suoi eredi materiali faranno, in un tempo più o meno breve, quello che hanno fatto gli eredi degli Agnelli: cercheranno di de-personalizzare le aziende, creando una rete che permetterà la sopravvivenza, qualunque sistema economico politico subentri tra qualche anno. Perché siamo in guerra e alla fine del conflitto (che finirà prima o poi) non si sa bene cosa accadrà. Se non ripeteranno gli errori della famiglia torinese, che ha perso il treno dell’auto elettrica, daranno un senso al lavoro svolto nella società italiana dal mondo berlusconiano.

Perché quello del Cavaliere è stato un mondo che la sinistra non ha saputo creare per dare un sogno al Paese ed un esempio al mondo. Senza il mazzarinismo di Dell’Utri, senza il colbertismo privatistico di Tremonti, senza il talleyrandismo di Gianni Letta la sua dimensione politica non sarebbe esistita e non sarebbe stata possibile la creazione di quella zona d’ombra che unisce il sogno alla terribile realtà. Un sogno in cui attori da Commedia dell’arte come Mike Buongiorno, Corrado o Raimondo Vianello sono diventati personaggi della Commedia, in grado di fare della loro vita uno spettacolo e di bloccare persino i ladri nello loro attività, con uno stile degno dell’episodio di S. Francesco con il lupo.

Perché figure come Nicolini, in grado di far uscire lo spirito festoso e popolare degli italiani e neutralizzare la tragica notte della prima Repubblica, sono state mortificate dalla sinistra; a loro si è preferito privilegiare figure simili a quelle di Fouché e farle salire nelle responsabilità di Stato.

Mentre questo avveniva, molti degli uomini di sinistra della generazione del Cavaliere sognavano di imitare le sue gesta con il mondo femminile; chi non poteva, si contentava di guardare lo sconcio nazional-popolare che ha travolto prima la TV e poi i nascenti social media. In tal modo la destra ha allevato una generazione di donne con lo stomaco di ferro, in grado di accettare tutto per la conquista del potere, mentre il mondo femminista si contentava di difendere poche e limitate vittorie (divorzio, aborto) e rifugiarsi nell’Aventino della differenza. A don Camillo e Peppone si sono sostituite reali coppie anagrafiche che hanno costituito “gli opposti che si attraggono”, nel reality che viviamo giornalmente e che sostituisce la vita reale.

Politicamente Fratelli d’Italia recupererà il serbatoio elettorale, ma incorrerà nel rischio di morire per il troppo mangiare, evocando così la grande letteratura europea rinascimentale. Perché la bulimia di potere, le cui avvisaglie si sono manifestate nelle nomine fatte in questi mesi di governo in assenza del controllo berlusconiano, è difficile se non impossibile da curare.

Il Cavaliere amava il sistema del libero mercato (così come si è affermato nel tempo, con tutti i suoi falsi miti e le trappole economiche) ma temeva il mercato globale e si preoccupava di mantenersi amici coloro che lo avrebbero contrastato. Amava comandare ma non gradiva la guerra, badava agli interessi di famiglia ma aveva sorrisi ed anche lacrime per tutti (non erano false quelle piante a Brindisi in memoria dei migranti della Kater y Rades, già allora vittime dell’Europa-fortezza, dove nel 1997 non mi sembra sia andato alcuno del governo in carica).

Quando nel 1994, nella tornata uninominale delle elezioni con metodo maggioritario, Berlusconi si candidò in un collegio chiave a Roma, pensai che la sinistra dovesse contrapporgli un simbolo altrettanto nazional-popolare, come la “casalinga di Voghera”; invece candidò Luigi Spaventa, economista di buon livello, ex-ministro ed erede della storia familiare che seguiva quella dello Stato italiano dalle sue origini, e perse. C’erano a Roma tante donne antiberlusconiane, semplici e forti, come Annarella di Trastevere che avrebbero rappresentato bene il popolo che – a naso – non si sarebbe fidato di questa novità dal sapore antico. Invece niente. 

 Oggi la destra è nelle condizioni dei comunisti dopo Stalin: non ha più un sogno, può avere solo rimpianti, e si è infilata in una guerra che non ama ma che è necessaria per fare affari in assenza di potere reale nei media e avere quella patente di “lotta per la democrazia” che ancora le manca. E la sinistra, quella che ama la democrazia ma non ne vede traccia nei governi democratici, cosa vuole fare?

La storia ci ricorda che fermarsi e riflettere è essenziale, difendendo la propria memoria nei momenti difficili come questi, attendendo lungo il fiume e riorganizzando le idee e le forze.

La guerra in Ucraina ha fatto perdere il senso delle cose e ha travolto le coscienze; forse la UE perderà questo conflitto, come la Germania fece nella Prima guerra mondiale, senza avere perso una battaglia. Oppure lo vincerà e farà in quell’occasione come fece la Francia (assieme agli altri alleati): chiese troppo e favorì in tal modo Hitler. O farà come l’Italia nel 1943, si sveglierà all’improvviso dall’incubo e cercherà di allearsi con qualcuno che le avrebbe permesso di leccarsi le ferite di un insulso conflitto fatto per conquistare l’Impero…

La morte di Mr. B affonda le destre pigliatutto al potere, più la von der Leyen che la nostrana Presidente; l’apparenza sembra molto diversa, ma è solo questione di tempo.

Noi, che crediamo in un’onesta democrazia con i suoi piccoli pregi e i suoi reali difetti, abbiamo un futuro solo se abbiamo voglia e capacità di ricostruire il sogno per la democrazia popolare, un tempo chiamata democrazia progressiva. Quel sogno sostituito da Mr B con le luci della ribalta ora spente.

 Giuseppe Veneziano, Non sono un santo, dalla serie Operette immorali, acrilico su tela, 2018