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03/11/2023

GIDEON LEVY
Ecco i bambini estratti dopo il bombardamento del campo profughi di Jabalia a Gaza

Gideon LevyHaaretz, 2 novembre 2023
Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Palestinesi che cercano i sopravvissuti sotto le macerie degli edifici distrutti in seguito ai bombardamenti israeliani nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, 1 novembre 2023. Abed Khaled /AP

Un terrorista di Hamas è stato estratto dalle macerie, portato in braccio dal padre. Il suo volto è coperto di polvere, il suo corpo si muove ondeggiando come un sacco, il suo sguardo è vuoto. Non è chiaro se sia vivo o morto. È un bambino di tre o quattro anni e il padre, disperato, lo ha trasportato di corsa all’Ospedale Indonesiano della Striscia di Gaza, che era già pieno di feriti e di morti.

Un’altra terrorista è stata estratta dai rottami. Questa volta è chiaramente viva, i suoi capelli chiari e ricci sono bianchi di polvere; ha cinque o sei anni e viene portata in braccio dal padre. Guarda a destra e a sinistra, come se si chiedesse da dove arriveranno i soccorsi.

Un uomo con un gilet a brandelli ha tra le mani un lenzuolo bianco piegato come un sudario con cui copre il corpo di un bambino e lo scuote con disperazione. È il corpo di suo figlio, un neonato. Questo neonato non aveva ancora avuto la possibilità di arruolarsi al quartier generale militare di Hamas nel campo profughi di Jabalia. Aveva vissuto solo pochi giorni – l’eternità di una farfalla – ed è stato ucciso.

Decine di giovani hanno continuato a scavare tra le macerie a mani nude nel disperato tentativo di estrarre persone ancora vive o il corpo di qualche vicino, smuovendo pezzi di muro per liberare un bambino la cui mano spuntava dalle rovine. Forse questo bambino era un terrorista della forza Nukhba di Hamas.

Tutt’intorno ci sono centinaia di uomini, con vestiti stracciati, che si stringono le mani disperati. Alcuni di loro sono scoppiati in lacrime. Un riscaldatore solare israeliano con un adesivo in ebraico giace tra le macerie, a ricordo dei giorni passati. “Non abbiamo tempo per i sentimenti ora”, dice ad Al Jazeera Mansour Shimal, residente del campo.

Martedì pomeriggio, i jet dell’aviazione israeliana hanno bombardato il Blocco 6 del campo profughi di Jabalia. In Israele, la notizia è stata a malapena riportata. Al Jazeera ha riferito che sei bombe sono state sganciate sul Blocco 6, lasciando un enorme cratere, in cui una fila di appartamenti grigi è caduta come un castello di carte. I piloti avranno riferito di aver centrato l’obiettivo. La vista era orribile.

Quando mi sono recato nel quartiere Daraj di Gaza nel luglio 2002, il giorno dopo l’assassinio di Salah Shehadeh, ho visto una scena assai dura. Ma erano paesaggi pastorali rispetto a ciò che si è visto a Jabalia martedì. A Daraj sono stati uccisi 14 civili, di cui 11 bambini: circa un decimo del numero di persone uccise nel bombardamento di martedì a Jabalia, secondo i rapporti palestinesi.

In Israele non hanno mostrato le immagini di Jabalia. Eppure, difficile da credere, sono avvenute. Alcune reti estere le hanno trasmesse a ciclo continuo. In Israele hanno detto che il comandante del battaglione centrale di Hamas a Jabalia, Ibrahim Biari, è stato ucciso in un attacco dell’aviazione nel campo profughi più affollato di Gaza e che decine di terroristi sono stati uccisi. L’uccisione di Shehadeh fu seguita da un incisivo dibattito pubblico in Israele. Quello che è avvenuto martedì a Jabalia è stato a malapena raccontato. È accaduto prima che venissero diffuse le brutte notizie sui soldati israeliani uccisi, mentre il fuoco di guerra continuava a crepitare.

Secondo i rapporti, circa 100 persone sono state uccise nell’attentato di Jabalia e circa 400 sono rimaste ferite. Le immagini dell’Ospedale Indonesiano erano terribili. Bambini bruciati gettati uno accanto all’altro, tre o quattro su un letto sudicio; la maggior parte di loro è stata curata sul pavimento per mancanza di letti sufficienti. “Curare” è la parola sbagliata. A causa della mancanza di medicinali, gli interventi chirurgici salvavita sono stati eseguiti non solo sul pavimento, ma anche senza anestesia. L’Ospedale Indonesiano di Beit Lahia è ora un inferno.

Israele è in guerra, dopo che Hamas ha ucciso e rapito con una barbarie e una brutalità che non possono essere perdonate. Ma i bambini estratti dalle macerie del Blocco 6 e alcuni dei loro genitori non hanno nulla a che fare con gli attacchi a Be’eri e Sderot.

Mentre i terroristi imperversavano in Israele, gli abitanti di Jabalia erano rannicchiati nelle loro capanne nel campo più affollato di Gaza, pensando a come passare un altro giorno in queste condizioni, peggiorate dall’assedio della Striscia degli ultimi 16 anni. Ora seppelliranno i loro figli in fosse comuni perché a Jabalia non c’è più spazio per tombe individuali.

02/10/2023

PANAGIOTIS GRIGORIOU
Gli occupanti... occupati!
L’odissea dell’esercito di occupazione italiano in Grecia

Panagiotis Grigoriou, Greek City, 30/9/2023

Tradotto da Fausto Giudice, Tlaxcala


Panagiotis Grigoriou (Atene, 1966) è un etnologo e storico greco, redattore del sitio web Greek Crisis e del suo successore Greek City e direttore della società di turismo alternativo Grèce Autrement.


 Si potrebbe pensare che le nostre “storielle”, ricordate durante le riunioni di famiglia, a volte illustrino solo il lato aneddotico degli eventi, l’insieme di fatti storici che siamo un po’ troppo veloci a liquidare come secondari. A casa nostra, nostro zio Chrístos, che non c’è più, amava raccontarci i suoi aneddoti degli anni ‘40, la guerra greco-italiana, l’occupazione, la Resistenza, e poi tutta l’illogica guerra civile greca dal 1944 al 1949, fino all’ultimo dettaglio della storia che era sua all’inizio. È stato persino felice di raccontarci la presenza dei soldati italiani in Grecia, la cui storia tortuosa si trova talvolta, ancora oggi, tra memoria e oblio.


Va ricordato che il 28 ottobre 1940 l’Italia diede inizio alla guerra greco-italiana invadendo la Grecia dall’Albania. Inizialmente Mussolini aveva lanciato l’invasione della Grecia in modo piuttosto frettoloso, poi, vista la preparazione militare della Grecia, non prevista dagli italiani, e la capacità dell’esercito ellenico di operare in un terreno montuoso, l’offensiva italiana iniziale fu contenuta e l’invasione si impantanò rapidamente.

Tuttavia, va ricordato che nell’ottobre 1940, con la benedizione di Londra, molti leader politici e istituzionali di Atene erano disfattisti prima del tempo, ritenendo che la regione dell’Epiro, nel nord-est della Grecia, potesse essere abbandonata a favore dei piani di Mussolini.

L’ambasciatore britannico in Grecia dell’epoca, Sir Michael Palairet, nel suo telegramma da Atene del 28 settembre 1940, documento reso noto diversi decenni più tardi negli archivi del Foreign Office, informava il suo governo “che il Capo di Stato Maggiore Generale, Generale Papágos, era pronto, se ritenuto necessario, a cedere l’Epiro agli italiani”.


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