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Sergio Rodríguez Gelfenstein
¿Qué hará Marcos Rubio? 

11/06/2024

Gustavo Petro: discorso di accettazione del Gran Collare dello Stato di Palestina

Gustavo Petro, Bogotà, 3 giugno 2024
Tradotto da Giulietta Masinova, Tlaxcala

Il 3 giugno 2024, a Bogotà, il Presidente colombiano Gustavo Petro è stato insignito del Gran Collare dello Stato di Palestina, il più alto ordine civile dello Stato di Palestina. Di seguito il suo discorso di accettazione



Foto
: Andrea Puentes - Presidenza della Colombia

“I giovani che escono dalle università degli Stati Uniti, dell'Europa, dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina sono l'espressione genuina di una nuova umanità che, se sopravvive, costruirà un mondo diverso, lontano dal materiale, molto più radicato nella frugalità, ma soprattutto nella saggezza e nella conoscenza, dove l'umanità non trova più pagine dove esseri umani uccidono altri esseri umani”.

Nel corso della mia vita ho ricevuto molte decorazioni. Le prime alla scuola, che sono quelle che ricordo di più; le medaglie di eccellenza che mi ha conferito Padre Pedro - l'ultima non voleva darmela, ma me l'ha data - e devo dirvi che questa è forse la più preziosa che ho ricevuto per il significato che indubbiamente ha nella storia del mondo, nella storia della resistenza e ora in questi giorni fatidici che stiamo vivendo, che segnano un prima e un dopo nella storia dell'umanità.

Non è un evento qualsiasi quello a cui stiamo assistendo: sono i nuovi segni di un mondo terribile, ma che deve anche essere riempito di speranza. Non è un mondo come lo sognava Fukuyama, senza contraddizioni, totalmente pacifico. È un mondo profondamente stressato dalla politica, forse più che nel XX secolo, che ha vissuto due guerre mondiali, che ha vissuto la rivoluzione socialista per gran parte del secolo.

La lotta tra due sistemi diversi di intendere il mondo, di intendere l'economia, di intendere la società, che avrebbe potuto portare a una terza conflagrazione, indubbiamente, ci siamo andati molto vicini, ma la responsabilità di entrambi, Unione Sovietica e Stati Uniti, che erano già stati alleati in una guerra, un episodio che a volte viene ignorato, quando insieme decisero di combattere il fascismo, sia la società americana che quella sovietica sapevano molto chiaramente che il loro nemico non era uno dei due, che il loro nemico era un terzo partito che cominciava ad avanzare con una specie di spettro in tutta l'Europa di allora, in tutto il mondo, portando con sé una serie di dottrine criminali che divennero potenti e che riempirono l'umanità di una delle sue pagine peggiori.

Ci sono voluti cinquanta milioni di morti per uscire da quella situazione, e sono stati senza dubbio i soldati dei popoli sovietico e americano che, insieme ai tanti resistenti in Europa, decine di migliaia di persone che hanno preso le armi, che non erano d'accordo con il fascismo, con l'oppressione assoluta, con il genocidio, e che hanno saputo resistere, in un percorso che alla fine è stato una delle grandi battaglie epiche dell'umanità.

Da lì, la parola democrazia è emersa con più forza di prima, e da questi due conglomerati in lotta per il potere mondiale è emersa la tesi di una società di nazioni che è diventata l'ONU, e con essa la costruzione di qualcosa che siamo arrivati a chiamare diritto internazionale.

A poco a poco, dopo molte discussioni che in un certo senso sono l'accumulo della civiltà umana, dai suoi remoti inizi, che non ricordiamo più, fino ai giorni nostri, c'è una sintesi di ciò che siamo come umanità; di come non ucciderci con tutti i problemi e le contraddizioni che vi si riflettono, perché non è, né più e né meno, l'espressione genuina dell'umanità di oggi.

E ovviamente è diversa, ovviamente è piena di complessità, di disuguaglianze, di profonde ingiustizie; persino gli esseri umani uccidono altri esseri umani. Finché questo esisterà, non potremo abbracciare veramente la costruzione di una civiltà che si chiami umana, non che abbia il nome di un Paese o di un altro, di una cultura o di un'altra di quelle che abbiamo già tanto conosciuto e che si sono configurate nella storia precedente, ma in qualcosa che possiamo chiamare, senza omologare, la cultura umana, lo specificamente umano, quello che ci ha portato qui sul pianeta Terra, nonostante tutto, e che può essere proiettato, a mio avviso, in un'idea di umanità verso le stelle, come molti dei nostri artisti e scultori e le nostre stesse bandiere a volte sottolineano.

Non per niente le stelle sono sulle bandiere. Qualcosa che ha a che fare con i messaggi subliminali nei sogni degli esseri umani.

Un nuovo 1933

Il mondo nato dopo la sconfitta del fascismo sta morendo. Stiamo vivendo nella sua fase di morte. È un'epoca di morte quella che stiamo vivendo. L'ho chiamato il 1933 globale, perché nel 1933 Hitler salì al potere in Germania con un crescente applauso popolare e con la distruzione dei valori stessi della cultura europea.

La stessa cultura che era cresciuta in Germania, la cultura germanica di Beethoven, di Bach, di Mozart, di Goethe, di tanti filosofi che abbiamo letto, forse il pensiero filosofico più profondo dell'umanità è lì in Germania. E nonostante questa massima cultura, forse questa sublime espressione della spiritualità umana, come Hegel arrivò a sottolineare, entrarono nella peggiore delle catastrofi.

Da un momento all'altro, la brillantezza si è trasformata in oscurità, mostrando di cosa sono capaci gli esseri umani, non solo nel regno del sublime, ma anche in quello della catastrofe, della Nakba globale.

Il fascismo è in aumento nel mondo

Oggi è un 1933 che non è in Germania, è nel mondo. Queste forze sono in ascesa, il fascismo è in ascesa nel mondo e dobbiamo chiamarlo per quello che è: sono i nazisti che stanno tornando al potere, che vengono per vendicarsi, che vogliono trasformare l'umanità in un robot schiavo, senza libertà. Sotto l'oppressione del più forte, la legge internazionale del diritto sta passando alla forza bruta.

La geopolitica non riguarda più chi ha più aerei e più soldi nei fondi di capitale, punto e basta; non chi rappresenta di più l'umanità e gli interessi generali della vita. Siamo indubbiamente sull'orlo di una Nakba globale. Ho reagito alla situazione palestinese in primo luogo perché ne eravamo a conoscenza fin da piccoli, quasi da bambini.

La rivoluzione come evoluzione dell'umanità

Le forze progressiste latinoamericane di allora, per lo più in clandestinità, resistevano alle dittature, alla morte che si avvicinava ogni giorno, che ci circondava, che uccideva tanti compagni a migliaia, un intero partito.

In tutta l'America Latina, le forze che hanno preso le armi hanno sempre avuto il nostro cuore al fianco della Palestina. Poiché il rivoluzionario è una condizione speciale - non tutti gli esseri umani nascono rivoluzionari - quando un essere rivoluzionario si unisce a un popolo, si fa la rivoluzione. Le rivoluzioni sono sempre un nuovo modo di evolvere per l'umanità. Non possono essere guardate in modo peccaminoso, come se fossero qualcosa di demoniaco; al contrario, sono ciò che ci fa emergere come umanità.

Ci siamo sviluppati a partire dalle rivoluzioni. Qui abbiamo avuto rivoluzioni nel XIX secolo, nel XVIII secolo; tre fari hanno iniziato un compito e forse non conosco altre lotte, ma mi sembra che tre fari siano stati innalzati nell'umanità quasi contemporaneamente.

Quasi senza l'esistenza di internet e attraverso i velieri e i marinai che trasportavano i libri - per lo più marinai arabi - che si occupavano di questa letteratura di idee clandestina e nascosta, che non poteva essere menzionata nelle corti, nei palazzi, nella politica reale dell'epoca; clandestinamente, attraverso i mari, i marinai arabi consegnavano i libri scritti in francese, libri rivoluzionari che raggiunsero il Nord America e si diffusero in Europa e sicuramente raggiunsero in qualche modo il mondo arabo e l'America Latina e in tutti e tre i luoghi si accesero i falò, si alzò la luce, si alzarono le bandiere.

Pensavamo quasi allo stesso modo nell'Europa libertaria, negli Stati Uniti libertari - che non si chiamavano così - e qui in America Latina; galoppavamo, allo stesso tempo, con la stessa bandiera, la possibilità di costruire repubbliche, perché il regno è sovrano, dicevamo, e la possibilità di costruire un mondo di democrazia e libertà, un sogno che andava con i cavalieri al galoppo attraverso le pianure, le montagne e i mari.

America: terra di libertà

Quello spirito non è finito qui; noi lo abbiamo portato avanti, in un certo senso siamo gli eredi di quei giovani che hanno saputo costruire queste repubbliche, con i loro pregi e difetti, e fare dell'America una terra di libertà.

Qui le dittature non hanno potuto germogliare, qui le monarchie non hanno potuto esistere, qui gli autoritarismi sono stati spazzati via dal popolo, più e più volte. L'America continua a essere una terra di libertà ed è per questo che, fin da giovanissimi, con quelle stesse idee, come ufficiali di Bolívar nella resistenza, siamo andati nel Sahara, in una storia che alcuni sopravvissuti dovrebbero ancora scrivere in un libro per ricordarla, affinché non venga lasciata indietro, nelle persone che sono già morte e che erano lì, tra cui il mio caro amico Enán Lora, di Córdoba.

Arrivarono nel Sahara e lì incontrarono molti popoli resistenti che prendevano le armi, lottavano contro la schiavitù, contro l'apartheid. Arrivarono i popoli, le organizzazioni armate dei popoli neri che volevano liberarsi nell'Africa subsahariana, e arrivarono le organizzazioni arabe.

Legami con la Palestina

Abbiamo anche costruito alleanze con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat; ci siamo addestrati insieme. Io non c'ero, ma ho sentito le loro storie quando sono arrivati, da Francisco Vargas, che è morto a Zipaquirá ed era mio amico, e da Enán Lora e da tutti quelli che erano lì e lì si sono uniti ai sogni arabi, sotto le stelle del deserto, costruendo sogni comuni nella tricontinentale, che pensavamo fosse il germe di una grande rivoluzione mondiale.

Quei sogni, più o meno, sono stati distrutti ovunque, siamo resistenti e, per alcuni di noi, rimaniamo tali. Il socialismo arabo è stato completamente distrutto, il panarabismo arabo è stato distrutto. In Europa sta emergendo nient'altro che il fascismo, che nega il proprio pensiero. Ad Atene, dove è nata la parola democrazia, c'è la fossa più grande del pianeta, piena di cadaveri in fondo al mare di gente che scappa dall'Africa per arrivare in Europa per un piatto di minestra.

La più grande ingiustizia nelle terre, nei mari, dove navigarono i pensatori che parlarono, per la prima volta al mondo, di democrazia e repubblica, ma anche di tirannia e oligarchie. Ci hanno insegnato i primi scorci di politica e la possibilità di essere spiriti liberi, come i Greci hanno insegnato a tutta l'umanità.

Abbiamo incontrato il popolo palestinese nel Sahara.  Questo non è scritto nella stampa colombiana, non appare nella storia ufficiale, perché è stato l'incontro della resistenza umana nella clandestinità, come in una sorta di vene con il sangue che scorre sottoterra, che unisce le persone per una lotta comune, in solidarietà. Per questo abbiamo reagito immediatamente quando le bombe sono cadute su Gaza.

Gaza, un laboratorio globale

Credo che a Gaza sia in corso un esperimento che utilizza Gaza come laboratorio.  È un esperimento terribile che ha a che fare con i nazisti; i nazisti lo hanno praticato in piccolo, relativamente, e hanno cercato di sterminare il popolo ebraico, e il popolo sovietico, e il popolo democratico, e i socialisti e i comunisti, e tutto ciò che sembrava diverso per loro doveva andare nel campo di concentramento e nella camera a gas.

L'Europa è morta lì, in quei campi. E ciò che Hitler proponeva è ciò che viene applicato a Gaza, ma come esperimento per il mondo. È così che vogliono dominarci; è che la maggioranza dell'umanità, che non vive sotto il potere economico mondiale in Europa, in Giappone o negli Stati Uniti, e che non è disposta a mantenere uno status quo di assoluta ingiustizia, dove per alcuni ci sono i vaccini contro le malattie, ma per i poveri non ci sono o arrivano troppo tardi.

Questo stato di ingiustizia, anche nei confronti della vita stessa, quello che il filosofo Foucault ha chiamato biopolitica del potere, cioè come il potere può porre fine alla vita in modo premeditato e su vasta scala, per dirla con Hitler, è ciò che vediamo oggi.

Lo stanno sperimentando a Gaza. Le bombe a Gaza non sono sparate da pochi soldati israeliani. È un capitale enorme nel mondo, centralizzato, coordinato, che influenza i grandi governi. Ecco perché vediamo una Francia che si contraddice con il suo stesso slogan "libertà, fraternità, uguaglianza".

Si sono già contraddetti quando sono stati i neri di Haiti a innalzare quello stesso slogan e a sollevare la bandiera e la rivoluzione haitiana, che è la più importante di tutta l'America, anch'essa dimenticata.

Ora lo abbiamo qui; i nazisti sono al potere; salgono attraverso il capitale finanziario, riescono a guidare il governo degli Stati Uniti, anche se è sedicente democratico, con correnti progressiste, ma questo progressismo giovanile, nero, arabo, diverso, latino, che c'è, non riesce a cambiare la volontà dello Stato, che continua a contribuire a sparare le bombe.

E non sta accadendo in Europa. Dopo tante lotte operaie e rivoluzioni socialiste e democratiche, dopo tante barricate erette nelle grandi città europee per costruire il progetto democratico e umanista, l'Europa stessa si arrende ai nazisti.

L'avidità del capitale

Nella stessa Germania, i socialisti che furono sterminati da Hitler non sono oggi in grado di fermare il genocidio quando sono ancora al potere. Le grandi potenze mondiali sono subordinate a un enorme capitale finanziario, la cui liquidità si basa sull'economia fossile, che deve finire nel mondo; e sono terrorizzate dall'idea di un cambiamento mondiale, di una rivoluzione mondiale, che è una rivoluzione per la vita, che non è mai avvenuta prima nella nostra storia umana, ma che oggi è assolutamente indispensabile.

Non c'è via d'uscita, perché l'altra via è la morte della specie, di tutti i nostri figli e nipoti, perché in un'economia fossile ciò che muore è tutto, è un omnicidio, a partire dalla specie umana.

L'avidità del capitale non vuole farci vedere la necessità della trasformazione, la rallenta continuamente, fa pressioni alle Nazioni Unite, nei centri del potere mondiale, influenza i governi, li finanzia, non c'è campagna elettorale che non finanzi, e così si impadronisce della politica, e così mette fine alla libertà della specie umana, la acceca attraverso i suoi media, che che dominano tutti, e il grande panopticon dell'umanità, come diceva Foucault, comincia a essere gestito da qualche scrivania, in un freddo ufficio del nord.

L'aveva già scritto Orson Welles, ed è la realtà di oggi, è quello che stiamo vivendo, un'umanità che è accecata per asservirla, così da non rendersi conto che il profitto accumulato velocemente sta portando alla morte della specie umana, che come aveva già detto l'economista e filosofo tedesco Marx, di cui non vogliamo più ricordare il nome, che il capitale distrugge le sue stesse condizioni di ricchezza, che sono la natura e l'essere umano.

Marx diceva che l'uomo - avrebbe dovuto scrivere l’essere umano, ma era patriarcale, europeo e maschilista - sta distruggendo l'essere umano, e tutte le tensioni che stiamo vedendo sul pianeta, la politica in ascesa, hanno a che fare con questo tentativo dell'umanità di sopravvivere e il tentativo del capitale fossile, attraverso la violenza, di fermare il cambiamento.

Tutto questo si veste di discorsi e ideologie, di blabla sulla stampa, ma siamo già in una guerra; siamo stati chiamati a una guerra, ed è o l'estinzione dell'umanità o la rivoluzione mondiale per la vita, e ciò che si sta concentrando a Gaza, in uno spazio così piccolo, è la condensazione di questo conflitto. A sparare non è Israele - è un mezzo - ma il grande capitale globale fossile e finanziario, contro un popolo che non può resistere, che non può sopportare, perché è stato resistente, perché ha insegnato a tutti i popoli del mondo che non c'è altra via che la resistenza.

Sollevare il vessillo della vita è il momento di oggi

Qualcosa che già sapevamo, ed è per questo che ci siamo riuniti da bambini, parlando lingue diverse e con religioni diverse, abbiamo capito che si trattava di una sola e unica bandiera. Alzare la bandiera è il momento di oggi, e di tutto il mondo.

I giovani che escono dalle università degli Stati Uniti, le più illustri - Harvard - i giovani che escono dalle università europee, i giovani che escono dalle università dell'Asia e dell'Africa e dell'America Latina, sono l'espressione genuina di una nuova umanità, che se sopravvive costruirà un mondo diverso, lontano dal materiale, molto più radicato nella frugalità, ma soprattutto nella saggezza e nella conoscenza, dove l'umanità non troverà più pagine in cui esseri umani uccidono altri esseri umani, perché avremo scoperto la nostra storia e la nostra missione.

È questo che dobbiamo recuperare a Gaza, dove si sta combattendo la prima delle battaglie, che non sarà l'ultima, e dobbiamo prepararci, come ai vecchi tempi. Mi preparavo da bambino, mentalmente e fisicamente, perché quello che sta per arrivare è la pagina della storia dell'umanità, quella battaglia si sta combattendo a Gaza e dobbiamo vincerla.

Tra le macerie, tra il sangue, tra i corpi frantumati dei figli di tante migliaia di bambini uccisi dal capitale, tra quella difficoltà e quel dolore che deve essere immenso, parte di questo lo capiamo in Colombia, perché anche qui hanno massacrato e lanciato bombe e sono morti molti innocenti.

Alcune cifre parlano di 500.000, altre di 700.000 uccisi dall'avidità. Rispetto a Gaza, forse siamo di fronte a una Nakba peggiore di quella scatenata in Colombia decenni fa e ancora non conclusa, nonostante questo governo, questa lotta deve ancora essere combattuta in Colombia.

È per questo che noi in Colombia e in America Latina possiamo comprendere ciò che sta accadendo nell'anima del popolo palestinese e non possiamo voltargli le spalle, non c'è alcuna ragione etica o morale che ci impedisca di alzare la voce quando possiamo e di agire finché possiamo. Siamo deboli, ma insieme siamo l'umanità e questa unione, che dobbiamo riunire, deve essere costruita tra tutte le lingue di Babele, come dice la Bibbia.

Nella Bibbia ci sono le immagini dell'aspetto del popolo ebraico e del popolo musulmano; entrambi semiti, secondo la Bibbia, discendenti di Cam, secondo la cronologia biblica. Chi ci critica, dicendo che siamo antisemiti, non ha nemmeno un'idea della Bibbia, non l'ha nemmeno letta; perché, se l'avesse letta saprebbe che in quei libri antichi c'è la storia dei due popoli sotto lo stesso padre.

Oggi devono essere fratelli. In qualche modo dovete trovare la strada, se riuscirete a essere fratelli, l'umanità avrà trovato la strada per la fratellanza definitiva, quindi questa difficile ricerca deve essere trovata.

In qualche modo Yasser Arafat ha sentito l'istinto, come Pizarro qui in Colombia, di quella che potrebbe essere la possibilità di pace sul cammino dell'umanità; una pace che è rivoluzionaria. Non è la guerra a essere rivoluzionaria, come noi stessi siamo falsamente stati portati a credere. È la pace che è rivoluzionaria.

Yasser Arafat l'ha trovato, ha trovato quel messaggio in qualche modo nella sua esistenza e ha cambiato la situazione dicendo che i due popoli possono essere fratelli; naturalmente, senza tirannia, naturalmente in libertà, naturalmente in democrazie pure. Che la terra palestinese può vivere nella diversità, come ha sempre vissuto, perché è una terra di diversità di credenze, è una terra di libertà.

Gesù era un ebreo palestinese, questa era la sua nazionalità, sotto la sottomissione romana, e ha costruito una via che non era la via dei guerriglieri ebrei, che camminavano accanto a lui e lo guardavano; una via di parole e ha costruito parole basate sull'amore e sulla vita. E mi sembra che la rivoluzione mondiale di oggi non alzi una semplice bandiera rossa come in passato; può essere rossa, ma è la bandiera della vita che è la bandiera rivoluzionaria.

Oggi è una rivoluzione della vita, è il dovere che tutti dobbiamo compiere, tessere, costruire, organizzare; ci chiameranno rivoluzionari, sì, ma noi ne siamo orgogliosi, perché siamo l'espressione genuina di un'umanità che non vuole catene, che non vuole ingiustizie, che vuole essere libera, spirito, tra le stelle.

Grazie per la vostra decorazione, i miei saluti e il mio affetto al popolo palestinese.

 

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