Suzanne O’Sullivan, The Sunday Times, 28/3/2021
Tradotto da Silvana
Fioresi, Tlaxcala
Estratto dal libro The Sleeping Beauties: And Other Stories of Mystery Illness [“Le belle addormentate e altre storie di malattie misteriose”, non ancora tradotto in italiano], pubblicato in aprile 2021 presso Picador Editore.
Nel paese scandinavo, centinaia di giovani rifugiati sono caduti in uno stato di apatia generalizzata in questi ultimi vent’anni. Senza che nessuno riesca a capire perché. In loco, una conosciuta neurologa irlandese ha portato avanti l’inchiesta.
Appena passata la soglia, mi sono subito sentita un’oppressione. Nola è sdraiata sopra a un letto, alla mia destra. Deve avere una decina d’anni. È la sua camera. Sapevo cosa mi aspettava, lo credevo, ma in realtà non ero pronta. Cinque persone e un cane sono appena entrati nella stanza, senza provocare nella ragazzina alcun minimo segno di reazione. Rimane perfettamente immobile, con gli occhi chiusi, si potrebbe dire tranquilla.
“È così da più di un anno e mezzo”, precisa la dottoressa Olssen, chinata su Nola per carezzarle dolcemente la guancia.
Djeneta, a destra, una rifugiata rom immobile a letto, senza reazioni da due anni e mezzo, e sua sorella, Ibadeta, da più di sei mesi, a Horndal, in Svezia, il 2 marzo 2017. Foto MAGNUS WENNMAN*
Sono a Horndal, in Svezia, un piccolo comune a 160 km a nord di Stoccolma. La dottoressa Olssen si occupa di Nola fin dall’inizio della sua malattia, conosce bene la sua famiglia. Tira le tende per lasciare entrare la luce e si volta verso i genitori di Nola: “Le bambine devono poter rendersi conto che è giorno. Hanno bisogno di sentire il sole sulla pelle”.
“Sanno che è giorno, risponde la madre, sulla difensiva. Le mettiamo sempre sedute fuori, di mattina. Le abbiamo rimesse a letto adesso perché sapevamo che venivate”.
Il petto che si gonfia è il suo unico segno di vita
Nola non è la sola ad occupare questa camera. Sua sorella Helan, più grande di lei di circa un anno, è anche lei sdraiata nel letto al piano inferiore del letto a castello, alla mia sinistra. Da dove mi trovo io, vedo solo la pianta dei suoi piedi. Il letto in alto, quello di suo fratello, è vuoto. Lui, non è malato: l’ho intravisto all’angolo di una porta, mentre andavo in camera. Se sono qui, è perché sono neurologa, specialista delle malattie cerebrali, e perché conosco bene il potere dello spirito sul corpo.
Mentre mi avvicino al letto di Nola, getto uno sguardo in direzione di Helan – a mia grande sorpresa la vedo socchiudere gli occhi, per guardarmi, un secondo, per poi richiuderli.
“È sveglia”, ho detto alla dottoressa Olssen.
“Si’, Helan è solo al primo stadio della malattia”.
Stesa sulle lenzuola del suo letto e pronta per il mio arrivo, Nola, invece, non manifesta nessun segno di coscienza. Indossa un vestito rosa e dei collant a quadri neri e bianchi. Ha i capelli spessi e brillanti, ma un colorito pallido. Il rosa delle sue labbra è spento, leggermente slavato. Le sue mani sono appoggiate una sull’altra sul suo ventre. Ha l’aria serena, come la principessa che ha dato un morso alla mela avvelenata. Unico segno incontestabile della sua malattia, la flebo tramite sonda nasogastrica il cui tubicino, inserito nel naso, è incollato alla guancia grazie a un cerotto. Unico segno di vita, il suo petto che sale e scende, piano piano.
Un processo lento di chiusura in sé stessa
Mi inginocchio vicino al suo letto per presentarmi a lei. Anche se non mi sente, so per certo che non capirà quello che dico: Nola conosce solo qualche parola d’inglese, e io, per quanto mi riguarda, non parlo né lo svedese né il curdo, la sua lingua materna – spero tuttavia di rassicurarla grazie al tono della mia voce.
Oltre a Nola e a Helan, diverse centinaia di casi di bambini “addormentati” sono stati individuati in Svezia da vent’anni a questa parte. Secondo quanto si dice, il fenomeno sarebbe comparso negli anni ‘90, ma il numero di bambini interessati è aumentato col cambio del secolo. Solo tra il 2003 e il 2005 sono stati contati 424 casi. Da allora ne sono apparsi altre diverse centinaia. Se il fenomeno riguarda maschi e femmine, queste ultime sono leggermente più numerose.