Perle du jour

Les USA ont occupé le Groenland pendant la Deuxième guerre mondiale et ont contribué au développement du pays au cours de la décennie qui a suivi. « En fait, nous les avons amenés à vivre dans des conditions plus modernes que l'âge de pierre dans lequel ils vivaient à cause de l'oppression par le Danemark ».

Carla Sands, ambassadrice des USA au  Danemark de 2017 à 2021, Newsmax, 28/3/2025


26/03/2025

MAURIZIO LAZZARATO
Armarsi per salvare il capitalismo finanziario!
La lezione di Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy

Maurizio Lazzarato, 26/3/2025
Vignette di Enrico Bertuccioli

“Per quanto grande sia una Nazione, se ama la guerra perirà; per quanto pacifico sia il mondo, se dimentica la guerra sarà in pericolo”

                         dal  Wu Zi, antico trattato militare cinese

“ Quando diciamo sistema di guerra intendiamo un sistema quale è appunto quello vigente che assume la guerra anche solo programmata e non combattuta come fondamento e culmine dell’ordine politico, cioè del rapporto tra i popoli e tra gli uomini. Un sistema dove la guerra non è un evento, ma una istituzione, non è una crisi ma una funzione, non è una rottura ma un cardine del sistema, una guerra sempre deprecata e esorcizzata, ma mai abbandonata come possibilità reale”

                                             Claudio Napoleoni, 1986


L’avvento di Trump è apocalittico, nel senso letterale che significa un gettar via ciò che copre, un togliere il velo, disvelare. Il suo agitarsi convulsivo ha il grande merito di mostrare la natura del capitalismo, il rapporto tra guerra, politica e profitto, tra capitale e stato di solito coperto dalla democrazia, dai diritti dell’uomo, dai valori e dalla missione della civilizzazione occidentale.
 

L’identità perfetta di “produzione” e distruzione

La guerra e l’Europa dove sono ancora attivi reti politiche et economiche, centri di potere che fanno riferimento alla strategia rappresentata da Biden, uscita sconfitta dall’ultima elezione presidenziale, sono l’occasione, per costruire una bolla fondata sugli armamenti che compensi le crescenti difficoltà dei «mercati» statunitensi. Da dicembre i titoli delle imprese che producono armi sono già oggetto di speculazione, passando di aumento in aumento e funzionando da rifugio sicuro per i capitali che vedono la situazione statunitense troppo rischiosa. L’operazione vede al suo centro i fondi di investimento che sono anche tra i maggiori azionisti delle principali compagnie di armamenti. Detengono quote significative in Boeing, Lockheed Martin e RTX, influenzando la gestione e le strategie di queste società. Anche in Europa sono presenti nel complesso militare - industriale: Rheinmetall, società tedesca che produce i Leopard e che ha visto il suo titolo aumentare del 100% negli ultimi mesi, ha come azionisti principali Blackrock, Société Générale, Vanguard, ecc. Rheinmetall, il più grande produttore di munizioni d'Europa, ha superato la principale casa automobilistica del continente, Volkswagen, in termini di capitalizzazione, ultimo segno del crescente appetito degli investitori per i titoli legati alla difesa.

Come funziona il capitalismo? 

La stessa ipocrisia è al centro della narrazione costruita per legittimare gli 800 miliardi di euro per il riarmo che la EU impone, attraverso il ricorso allo stato di eccezione agli stati membri. Armarsi non significa, come dice Draghi, difendere “i valori cha hanno fondato la nostra società europea» e hanno «garantito per decenni, ai suoi cittadini la pace, la solidarietà e con l’alleato americano, la sicurezza, la sovranità e l’indipendenza”, ma significa salvare il capitalismo finanziario.

Non c’è neanche bisogno di fare dei grandi discorsi e documentate analisi per mascherare la pochezza di queste narrazioni, È bastato un altro massacro di 400 civili palestinesi per far emergere la verità dell’indecente chiacchiericcio sull’unicità e la supremazia morale e culturale dell’Occidente.

Trump non è un pacifista, si limita a riconoscere la sconfitta strategica della Nato nella guerra in Ucraina, mentre le élites europee rifiutano l’evidenza. La pace per loro vorrebbe dire tornare allo stato catastrofico in cui hanno ridotto le loro nazioni. La guerra deve continuare perché per loro, come per i democratici e il deep state Usa è il mezzo per uscire dalla crisi cominciata nel 2008, come è già successo con la grande crisi del 1929. Trump pensa di risolvere la cosa privilegiando l’economia senza rinnegare la violenza, il ricatto, l’intimidazione, la guerra. E’ molto probabile che né gli uni né gli altri riescano nel loro intento perché hanno un problema enorme: il capitalismo , nella sua forma finanziaria, è in profonda crisi e proprio dal suo centro, gli USA arrivano segnali ‘drammatici’ per le élites che ci governano. I capitali invece di convergere verso gli Stati Uniti fuggono verso l’Europa. Grande novità, sintomo di grandi di rotture imprevedibili che rischiano di essere catastrofiche

Il capitale finanziario non produce merci, ma bolle che si gonfiano tutte negli Usa e scoppiano tutte a danno del resto del mondo, dimostrandosi delle armi di distruzione di massa. La finanza americana succhia valore (capitali) da tutto il mondo, lo investe in una bolla, che presto o tardi a scoppierà, obbligando le popolazioni del pianeta all’austerità, ai sacrifici per pagare i suoi fallimenti: prima la bolla di internet, poi la bolla dei subprimes che ha causato una delle più grandi crisi finanziarie della storia del capitalismo, aprendo le porte alla guerra. Hanno tentato anche la bolla del capitalismo green che non è mai decollata e infine la bolla, incomparabilmente più grande, delle imprese high tech. Per tamponare le falle dei disastro dei debiti privati scaricati sui debiti pubblici la Federal Reserve e la banca europea hanno inondato i mercati di liquidità che invece di ‘sgocciolare’ nell’economia reale, è servita a alimentare la bolla high -tech et lo sviluppo dei fondi di investimento, noti come le «Big Three», Vanguard, BlackRock e State Street (il più grande monopolio della storia del capitalismo, gestisce 50.000 miliardi di dollari, azionista di riferimento in tutte le più importanti imprese quotate in borsa). Ora anche questa bolla si sta sgonfiando.

Se tutta la capitalizzazione del listino della Borsa di Wall Street la dividete per due siamo ancora lontani dal valore reale delle imprese High tech, i cui titoli sono stati gonfiati proprio dai fondi per mantenere alti i dividendi per il loro «risparmiatori» (i democratici contavano anche sostituire il welfare con la finanza per tutti, come prima avevano delirato sulla casa per tutti gli americani).

Ora la pacchia volge al termine. La bolla ha raggiunto il suo limite e i valori scendono con il rischio concreto di un crollo. Se ci aggiungiamo l’incertezza che le politiche di Trump, rappresentante di una finanza che non è quella dei fondi di investimento, introduce in un sistema che questi ultimi erano riusciti a stabilizzare con il concorso dei democratici, comprendiamo le paure dei “mercati”. Il capitalismo occidentale ha bisogno di un’altra bolla perché non conosce che la riproduzione del sempre uguale (il tentativo trumpiano di ricostruire l’industria manifatturiera negli Usa è destinato a un insuccesso sicuro). 

L’Europa, che spende già oggi più del 60% della Russia in armi (la Nato rappresenta il 55% delle spese in armamenti a livello mondiale, la Russia il 5%) ha deciso un grande piano di investimenti di 800 miliardi di euro per aumentare ancora la spesa militare.

L’Unione europea vuole raccogliere e convogliare il risparmio continentale verso gli armamenti con delle conseguenze catastrofiche per il proletariato e una ulteriore divisione dell’Unione. La corsa agli armamenti non potrà funzionare da «keynesismo di guerra» perché gli investimenti in armi intervengono in una economia finanziarizzata e non più industriale. Costruita con soldi pubblici profitterà a una piccola minoranza di privati, mentre peggiorerà le condizioni della stragrande maggioranza della popolazione.

La bolla degli armamenti non potrà che produrre gli stessi effetti della bolla americana delle imprese high - tech. Dopo il 2008, le somme di denaro catturate per essere investite nella bolla high tech, non sono mai ‘sgocciolate’ verso il proletariato statunitense. Hanno invece prodotto una sempre più intensa deindustrializzazione, posti di lavoro dequalificati e precari, bassi salari, una povertà dilagante, la distruzione del poco di Welfare ereditato dal New Deal e la conseguente privatizzazione di tutti i servizi. È ciò che senza ombra di dubbio la bolla finanziaria  europea produrrà in Europa. La finanziarizzazione porterà non solo alla completa distruzione dello Stato Sociale e alle definitive privatizzazioni dei servizi, ma alla ulteriore frammentazione politica di ciò che resta dell’Unione Europea. I debiti, contratti da ogni stato separatamente, dovranno essere ripagati e si produrranno delle enormi differenze tra gli Stati europei nella capacità di onorare i debiti contratti. 

Il vero pericolo non sono i russi, ma i tedeschi con il loro riarmo da 500 miliardi e altri 500 per le infrastrutture, finanziamento determinante nella costruzione della bolla. L’ultima volta che si sono riarmati hanno combinato disastri mondiali (25 milioni di morti solo nella Russia sovietica, la soluzione finale, ecc.), da cui la celebre affermazione di François Mauriac : «amo talmente la Germania che ne preferisco due». Aspettando gli ulteriori sviluppi del nazionalismo e dell’estrema destra già al 21 % che il «Deutschland ist zurück» produrrà inevitabilmente, la Germania imporrà la solita egemonia imperialista sugli altri paesi Europei. I tedeschi hanno rapidamente abbandonato il credo ordo - liberale che non aveva nessun fondamento economico, ma solo politico e abbracciano fino in fondo la finanziarizzazione anglo - americana, ma con lo stesso obiettivo, comandare e sfruttare l’Europa. Il Financial Times racconta di una decisione presa da Merz, uomo di Blackrock e dal ministro del tesoro Kukies, uomo di Goldman Sachs, con l’avvallo dei partiti di ‘sinistra’ SPD e Die Linke, che, come i loro predecessori nel 1914, si assumono un’altra volta, la responsabilità di carneficine future.

Se il precedente imperialismo interno tedesco era fondato sull’austerità, il mercantilismo delle esportazioni, il blocco dei salari e la distruzione dello stato sociale, questo sarà fondato sulla gestione di un’economia di guerra europea gerarchizzata sui differenziali dei tassi di interesse da pagare per rimborsare il debito contratto.

I paesi già pesantemente indebitati (Italia, Francia, ecc.) dovranno trovare chi compra i loro titoli emessi per pagare il debito, in «un mercato» europeo sempre più concorrenziale. Agli investitori converrà comprare i titoli tedeschi, i titoli emessi dalle imprese di armamenti su cui giocherà la speculazione al rialzo, i titoli del debito pubblico europeo, sicuramente più sicuri e redditizi dei titoli di paesi super indebitati. Il famoso «spread» giocherà ancore un suo ruolo come nel 2011. I miliardi necessari a pagare i mercati non saranno disponibili per lo Stato sociale. L’ obiettivo strategico di tutti i governi e di tutte le oligarchie da cinquanta anni a questa parte, la distruzione della spesa sociale per la riproduzione del proletariato e la sua privatizzazione, sarà raggiunto.

27 egoismi nazionali si batteranno tra loro con nessuna posta in gioco, perché la storia, che ‘siamo gli unici a sapere cosa sia’, ci ha messi un angolo, inutili e irrilevanti dopo secoli di colonialismo, guerre e genocidi. 

La corsa agli armamenti è accompagnata da una martellante giustificazione «siamo in guerra» contro tutti (Russia, Cina , Corea del Nord, Iran, Brics) che non può essere abbandonata e che rischia di realizzarsi perché questo delirante quantitativo di armi deve comunque «essere consumato». 

La lezione di Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy

Solo gli sprovveduti possono dirsi stupefatti da quello che sta succedendo. Tutto si sta invece ripetendo, solo che avviene dentro un capitalismo finanziario e non più industriale come nel XX secolo.

La guerra e gli armamenti sono al centro dell’economia e della politica da quando il capitalismo è diventato imperialista. E sono anche il cuore del processo di riproduzione del capitale e del proletariato, in feroce concorrenza tra loro.  Ricostruiamo rapidamente il quadro teorico fornito da Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy, saldamente piantato, a differenza delle inutili teorie critiche contemporanee, sulle categorie di Imperialismo, monopolio e guerra che ci offre uno specchio della situazione contemporanea.

Partiamo dalla crisi del 1929 che affonda le sue radici nella Prima guerra mondiale e nel tentativo di uscirne attraverso l’attivazione della spesa pubblica tramite l’intervento dello Stato. Secondo Baran et Sweezy (d’ora in poi B&S) l’inconveniente della spesa pubblica negli anni 30 fu il suo volume, incapace di contrastare le forze depressive dell’economia privata. 

«Considerato come operazione di salvataggio dell’economia degli Usa nel suo complesso, il New Deal fu quindi un palese fallimento. Anche Galbraith, il profeta della prosperità senza commesse belliche, ha riconosciuto che nel decennio 1930 - 1940, ‘la grande crisi’ non terminava mai».

Se ne uscirà solo con la Seconda guerra mondiale: «Poi sopraggiunse la guerra, e con la guerra la salvezza (...) la spesa militare fece ciò che la spesa sociale non era riuscita a compiere» perché la spesa pubblica passò da 17,5 a 103,1 miliardi di dollari.

B&S dimostrano che la spesa pubblica non portò i risultati che invece realizzò la spesa militare perché fu limitata da un problema politico che è ancora il nostro. Perché il New Deal e la sua spesa, non riuscirono a raggiungere un obiettivo che «era a portata di mano, come poi dimostrò la guerra» ? Perché sulla natura e sulla composizione della spesa pubblica, cioè della riproduzione del sistema e del proletariato, si scatena la lotta di classe. 

«Data la struttura di potere del capitalismo monopolistico degli Usa, l’aumento di spesa civile aveva quasi raggiunto i suoi limiti estremi. Le forze che si opponevano alla ulteriore espansione erano troppo potenti per essere vinte». 

Le spese sociali entravano in concorrenza o arrecavano danno alle imprese e alle oligarchie, sottraendo loro potere economico e politico. “Poiché gli interessi privati controllano il potere politico i limiti della spesa pubblica sono rigidamente fissati senza alcuna preoccupazione dei bisogni sociali, per quanto possano essere vergognosamente evidenti”. E questi limiti valevano anche per spese, sanità e istruzione, che all’epoca, a differenza di oggi non erano direttamente in concorrenza con gli interessi privati delle oligarchie. 

La corsa agli armamenti permette l’aumento della spesa pubblica da parte dello Stato, senza che questa si trasformi in aumento dei salari e del consumo del proletariato. Come spendere denaro pubblico per evitare la depressione economica che il monopolio porta con sé, evitando il rafforzamento del proletariato ? “Per armamenti, per più armamenti, per sempre più armamenti”.

Michael Kalecki, lavorando sullo stesso periodo, ma sulla Germania nazista, riesce a delucidare altri aspetti del problema. Contro ogni economicismo che minaccia sempre la comprensione del capitalismo da parte delle teorie critiche anche marxiste, mette in evidenza la natura politica del ciclo del capitale:  “La disciplina nelle fabbriche e la stabilità politica sono più importanti per i capitalisti dei profitti correnti”.

Il ciclo politico del capitale che ormai può’ essere garantito solo dall’intervento dello stato, deve ricorrere alla spesa in armamenti e al fascismo. Anche per Kalecki, il problema politico si manifesta nella “direzione e nei fini della spesa pubblica”. L’avversione alla «sovvenzione dei consumi di massa» è motivata dalla distruzione che determina “delle basi dell’etica capitalista ‘ti guadagnerai il pane col sudore della tua fronte’ (a meno che tu non viva dei redditi del capitale)”.

Come fare perché la spesa pubblica non si tramuti in aumento di occupazione, consumo e salari e quindi in forza politica del proletariato? L’inconveniente per le oligarchie viene superato col fascismo perché la macchina statale è allora sotto controllo del grande capitale e dei vertici fascisti, con “la concentrazione delle spese statali negli armamenti”, mentre la “disciplina di fabbrica e la stabilità politica è assicurata dallo scioglimento dei sindacati e dai campi di concentramento. La pressione politica sostituisce qui la pressione economica della disoccupazione”.

Da qui l’immenso successo dei nazisti presso la maggior parte dei liberali sia inglesi che americani.

La guerra e la spesa per armamenti sono centrali per la politica americana anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, perché è inconcepibile una struttura politica senza una forza armata, senza cioè un monopolio del suo esercizio. Il volume dell’apparato militare di una nazione dipende dalla posizione occupata nella gerarchia mondiale dello sfruttamento. “Le nazioni più importanti avranno sempre bisogno del massimo e l’entità del loro fabbisogno (di forza armata) varierà a seconda che sia o no in corso tra loro una lotta vivace per il primo posto”. 

Le spese militari continuano dunque a crescere nel centro dell’imperialismo: “Naturalmente la maggior parte dell’espansione della spesa pubblica ha avuto luogo nel settore militare che è passata da meno dell’1 a più del 10% del PNL, e che rappresentato circa i due terzi dell’aumento complessivo di spesa pubblica a partire dal 1920. Questo massiccio assorbimento del surplus in preparativi limitare è stato il fatto centrale della storia americana del dopoguerra”. 

Kalecki fa notare che nel 1966 “oltre la metà dell’accrescimento del reddito nazionale si risolve nell’accrescimento delle spese militari”.

Ora, nel dopo guerra, il capitalismo non può più contare sul fascismo per controllare la spesa sociale. L’economista polacco, ‘allievo’ di Rosa Luxemburg, fa notare: “Una della funzioni fondamentali dell’hitlerismo fu di vincere l’avversione del grande capitale alla politica anticongiunturale su larga scala. La grande borghesia aveva dato il suo assenso all’abbandono del laisser-faire e all’accrescimento radicale del ruolo dello stato nell’economia nazionale, alla condizione che l’apparato statale si trovasse sotto controllo diretto della sua alleanza con il vertice fascista” e che la destinazione e il contenuto della spesa pubblica fosse determinata dagli armamenti. Nei trenta gloriosi, senza il fascismo che assicurava la direzione della spesa pubblica, gli Stati e i capitalisti sono costretti a un compromesso politico. Rapporti di forza determinati dal secolo delle rivoluzioni, obbligano lo Stato e i capitalisti a concessioni che sono comunque compatibili con i profitti che raggiungono tassi di crescita prima sconosciuti. Ma anche questo compromesso è di troppo perché, malgrado i grandi profitti, “i lavoratori diventano in tale situazione ‘recalcitranti’ e i ‘capitani di industria’ diventano ansiosi di ‘dar loro una lezione’”.

La contro - rivoluzione, dispiegatasi a partire dalla fine degli anni 60, avrà al suo centro, la distruzione della spesa sociale e la feroce volontà di orientare la spesa pubblica verso i soli e esclusivi interessi delle oligarchie. Il problema, a partire dalla repubblica di Weimar, non è mai stato un generico intervento dello Stato in economia, ma il fatto che lo Stato fosse stato investito dalla lotta di classe e che fosse stato costretto a cedere alle richieste delle lotte operaie e proletarie.

Nei tempi di “pace” della guerra fredda, senza l’ausilio del fascismo, l’esplosione delle spese militari necessita di una legittimazione, assicurata da una propaganda capace di evocare continuamente la minaccia di una guerra incombente, di un nemico alle porte pronto a distruggere i valori occidentali : “I creatori ufficiosi e ufficiali della pubblica opinione hanno pronta la risposta : gli Stati Uniti devono difendere il mondo libero dalla minaccia dell’aggressione sovietica (o cinese)”.

Kalecki, per lo stesso periodo specifica: “I giornali, il cinema, le stazioni radiofoniche e televisive cha lavorano sotto l’egida della classe dominante, creano un’atmosfera che favorisce la militarizzazione dell’economia”.

La spesa per armamenti non ha solo una funzione economica, ma anche di produzione di soggettività assoggettate. La guerra esaltando la subordinazione e il comando “contribuisce a creare una mentalità conservatrice”.

“Mentre la massiccia spesa pubblica per l’istruzione e il benessere tende a minare la posizione di privilegio dell’oligarchia, la spesa militare fa il contrario. La militarizzazione favorisce tutte le forze reazionarie (...) si determina un rispetto cieco per l’autorità; si insegna e si impone una condotta di conformismo e di sottomissione ; e l’opinione contraria si considera come un fatto  anti patriottico o addirittura un tradimento”.

Il capitalismo produce un capitalista che, proprio per la forma politica del suo ciclo, è un seminatore di morte e distruzione, piuttosto che un promotore del progresso. Ce lo dice Richard B. Russel, senatore conservatore del Sud degli USA già negli anni 60 citato da B&S: “C’è qualcosa nei preparativi di distruzione che induce gli uomini a spendere denaro più spensieratamente che se si trattasse di scopi costruttivi. Perché succede questo non lo so; ma da trent’anni circa che sono al Senato ho capito che nell’acquistare armi per uccidere, distruggere, cancellare città dalla faccia della terra ed eliminare grandi sistemi di trasporto c’è qualcosa che spinge gli uomini a non calcolare la spesa con la stessa attenzione impiegata quando si tratta di pensare ad alloggio decenti e a cure sanitarie per gli esseri umani”.

La riproduzione del capitale e del proletariato si è politicizzata grazie alle rivoluzioni del XX secolo. La lotta di classe investendo anche questa realtà ha fatto emergere une opposizione radicale tra la riproduzione della vita e la riproduzione della sua distruzione che dagli anni 30 non ha fatto altro che approfondirsi.

La guerra e gli armamenti, esclusi praticamente dall’insieme delle teorie critiche del capitalismo, funzionano da discriminanti nell’analisi del capitale e dello Stato.

È molto difficile definire il capitalismo un “modo di produzione”, come faceva Marx, perché economia, guerra, politica, Stato, tecnologia sono elementi strettamente intrecciati e inseparabili. La “critica dell’economia” non basta per produrre una teoria rivoluzionaria. Già con l’avvento dell’imperialismo si era prodotto un cambiamento radicale nel funzionamento del capitalismo e dello Stato, reso in maniera cristallina da Rosa Luxemburg per chi l’accumulazione ha due espetti. Il primo “riguarda la produzione del plus - valore - nella fabbrica, nella miniera, nello sfruttamento agricolo - e la circolazione delle merci nel mercato. Considerata da questo punto di vista, l’accumulazione è un processo economico la cui fase più importante è una transazione tra il capitalista e il salariato”. Il secondo aspetto ha il mondo intero come teatro, una dimensione mondiale irriducibile al concetto di “mercato” e alle sue leggi economiche. “Qui i metodi impiegati sono la politica coloniale, il sistema dei prestiti internazionali, la politica delle sfere di interesse, la guerra. La violenza, la truffa, l’oppressione, la predazione si sviluppano apertamente, senza maschera, ed è difficile riconoscervi le leggi rigorose del processo economico nell’intrecciarsi di violenze economiche e brutalità politiche”.

La guerra non è la continuazione della politica ma coesiste, da sempre, con essa, come mostra il funzionamento del mercato mondiale. Qui, dove la guerra, la truffa, la predazione convivono con l’economia la legge del valore non ha mai veramente funzionato. Il mercato mondiale sembra molto differente da quello tratteggiato da Marx. Le sue considerazioni sembrano non valere più, o meglio, vanno specificate: solo nel mercato mondiale il denaro e il lavoro diventerebbero adeguati al loro concetto, portando a compimento la loro astrazione e la loro universalità. Al contrario, ciò che possiamo constatare è che il denaro, la forma più astratta e universale del capitale, è sempre la moneta di uno Stato. Il dollaro è la moneta degli Stati uniti e regna solo in quanto tale. L’astrazione della moneta e la sua universalità (e i suoi automatismi) sono appropriate da una ‘forza soggettiva’ e vengono gestite secondo una strategia che non è contenuta nella moneta.  

Anche la finanza, come la tecnologia sembra essere oggetto di appropriazione da parte di forze soggettive “nazionali”, molto poco universali.  Nel mercato mondiale anche il lavoro astratto non trionfa in quanto tale, ma incontrando invece altri lavori, radicalmente diversi (lavoro servile, schiavistico, ecc.) è l’oggetto di strategie.

L’azione di Trump, lasciato cadere il velo ipocrita del capitalismo democratico, ci svela il segreto dell’economia: può’ funzionare solo a partire da una divisione  internazionale della produzione e della riproduzione definite e imposte politicamente, cioè con l’uso della forza che implica anche la guerra. 

La volontà di sfruttamento e di dominio, gestendo contemporaneamente rapporti politici, economici e militari, costruisce  una totalità, che non può mai chiudersi su se stessa, ma resta sempre aperta, scissa da conflitti, guerre, predazioni. In questa totalità scissa convergono e si governano l’insieme dei rapporti di potere. Trump interviene sull’uso delle parole, ma anche sulle teorie gender, nello stesso momento in cui vorrebbe imporre una nuova collocazione mondiale, sia politica che economica, degli USA. Dal micro al macro, azione politica che i movimenti contemporanei sono lontani anche solo di pensare.

La costruzione della bolla finanziaria, processo che possiamo seguire passo dopo passo, avviene nello stesso modo. Gli attori che concorrono alla sua produzione sono molteplici: l’Unione Europea, gli Stati che devono indebitarsi, la Banca europea, la Banca degli investimenti europei, i partiti politici, i media e l’opinione pubblica, i grandi fondi di investimento (tutti statunitensi) che organizzano il traghettamento di capitali da una borsa all’altra, le grandi imprese. Solo dopo che lo scontro / cooperazione tra questi centri di potere avrà dato il suo verdetto, la bolla economica e i suoi automatismi potranno funzionare. C’è tutta una ideologia sul funzionamento automatico da sfatare. Il «pilota automatico», soprattutto a livello finanziario, esiste e funziona solo dopo che è stato istituito politicamente. Non esisteva nei trenta gloriosi perché si era deciso politicamente in questo senso, funziona dalla fine degli anni 70, per esplicita volontà politica.

Questa molteplicità di attori che si stanno agitando da mesi è tenuta insieme da una strategia. C’è quindi un elemento soggettivo che interviene in maniera fondamentale. Anzi due. Dal punto di vista capitalistico è in corso una lotta feroce tra il «fattore soggettivo» Trump e il «fattore soggettivo» delle élite sconfitte nelle elezioni presidenziali, ma che hanno ancora forti presenze nei centri di potere negli Usa e in Europa. 

Ma perché il capitalismo funzioni dobbiamo prendere in considerazione anche un fattore soggettivo proletario. Gioca un ruolo decisivo perché o si farà il portatore passivo del nuovo processo di produzione / riproduzione del capitale o tenderà a rifiutarlo e a distruggerlo. Constatata l’incapacità del proletariato contemporaneo, il più debole, il più disorientato, il meno autonomo e indipendente della storia del capitalismo, la prima opzione sembra la più probabile. Ma se non riuscirà a opporre una sua strategia alle continue innovazioni strategiche del nemico, capace di rinnovarsi continuamente, cadremo dentro una asimmetria di rapporti di potere che ci riporterà a prima della rivoluzione francese, in un nuovo / già visto “ancien régime”.


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